Per scrivere la cronaca di questa giornata è giusto fare un passo indietro lungo esattamente 21 anni. Siamo nel 1995 e la Reggiana sta per terminare il suo secondo anno in Serie A, che la vedrà retrocedere. In aprile il club emiliano saluta definitivamente il vecchio stadio Mirabello, compagno di tante battaglie, oltre che gioiellino posto a pochi passi dal centro cittadino, per approdare al Giglio; primo stadio di proprietà all’epoca oltre che costruzione avveniristica posta qualche chilometro fuori la città e dotata addirittura di una stazione ferroviaria (tutt’oggi attiva e servita da treni regionali) e, almeno inizialmente, da tornelli che regolano gli accessi.

Parliamo di un altro calcio e, soprattutto, di un’altra Reggiana. La società emiliana, infatti, dopo un pronta risalita in massima serie, retrocede nuovamente e stavolta affonda negli inferi del calcio italiano, tra dissesti finanziari che portano al fallimento e alla vendita dello stadio da parte del curatore fallimentare (2005) e annate anonime che fiaccano la passione di molti sportivi granata.

Il Giglio, con i suoi 29.000 posti iniziali (poi ridotti a 23.000) recita spesso il ruolo di cattedrale nel deserto, incappando in diverse vicissitudini gestionali che culminano nel 2013 con l’acquisizione dell’impianto da parte della Mapei, capeggiata da Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, nonché del Sassuolo Calcio, che, nel frattempo, è stato promosso in Serie A ed ha spostato il proprio campo di gioco dal Braglia di Modena proprio al Giglio, intanto ribattezzato Mapei Stadium-Città del Tricolore.

La cosa non passa ovviamente inosservata ai tifosi reggiani, che sentendosi defraudati della propria casa organizzano vari sit-in di protesta al motto “Via il Sassuolo da Reggio Emilia” (emblematica è quella in occasione del Trofeo Tim nell’estate 2014, quando i tifosi della Regia presenziano in Curva Sud scandendo cori potenti contro il passaggio di proprietà).

È chiaro, quindi, come la contaminazione di un certo modo imprenditoriale e asettico di intendere il calcio sia nocivo verso tutti. Se infatti la dirigenza del Sassuolo può vantarsi di aver raggiunto un traguardo storico per la storia del club, provo a mettermi nei panni di un tifoso neroverde e realizzo che non dev’essere il massimo giocare, ormai da diversi anni, lontano dalla propria città, in stadi dove si è sempre ospiti indesiderati e che, per una tifoseria comunque dai numeri minuti, rappresentano un ostacolo insormontabile per creare un vero e proprio senso d’appartenenza e identificazione nella squadra come realtà radicata nel territorio. La domanda che mi pongo è: il signor Mario Rossi di Sassuolo, che ha visto due partite in tutta la sua vita (per giunta della Juventus, di cui dice di esser simpatizzante), per quale motivo dovrebbe percorrere tutte le domeniche 50 km andata e ritorno per la squadra del suo paese quando può vedere in tutta tranquillità Sky Italia con il suo infinito bouquet? Fondamentalmente è la fine di quella tradizione e di quell’identità che ha da sempre mosso il tifoso e che ha reso questo sport più popolare di altri.

Quindi non me ne vogliano i tifosi sassolesi ovviamente, perché la mia non è una critica “lotitiana” nei loro confronti, semmai verso quello che  l’industria-Sassuolo rappresenta nel calcio di quest’epoca (e che sono certo non piaccia neanche alla maggior parte di loro).

Sarebbe bello, sempre per esempio, vedere imprenditori e affaristi investire e prendere rischi con società storiche del calcio italiano che da anni galleggiano a malapena nei bassifondi pallonari. Ma appare altrettanto ovvio che farsi carico delle esigenze di una piazza grande e turbolenta, come può essere Taranto, piuttosto che Foggia, Bari, Salerno, San Benedetto del Tronto o proprio Reggio Emilia, implica pressioni maggiori. “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso si indovina”, diceva Giulio Andreotti. Uno che di acque torbide ne sapeva qualcosa.

Concludo questo mia riflessione asserendo un concetto dal quale non mi discosterò mai: ogni squadra dovrebbe giocare nel suo stadio, con il suo pubblico e nel rispetto delle sue tradizioni. Senza voler entrare nel merito, ma possibile che al “Ricci” non ci fossero i margini per un ampliamento e una ristrutturazione massiccia? Sarebbe stato sicuramente più bello e molto più romantico, anche per le tifoserie ospiti (palese che la parola romanticismo sia bandita totalmente da tutto questo discorso). Si invoca spesso l’Inghilterra da prendere a modello, va detto che Oltremanica in seguito a esperienze simili hanno imparato la lezione, ponendo in essere regole ferree che vietano lo spostamento di un club da una città all’altra (il caso Wimbledon-MK Dons fece scuola a tal merito).

Gli “avventori” del settore ospiti dell’ex Giglio, oggi saranno i romanisti. Si gioca di martedì sera, in piena armonia con i viziacci ormai assunti dal nostro calcio e di cui difficilmente ci libereremo. A tornar indietro mi vengono in mente un paio di foto della tifoseria giallorossa a Reggio Emilia, una è il primo anno in A dei granata, quando il settore ospiti del Mirabello si accese con una fitta torciata e in campo non si andò oltre lo 0-0, la seconda invece è della stagione 96/97, la prima che forse ricordo nitidamente. La pessima squadra di Carlos Bianchi uscì con un punto dal Giglio, contro una Reggiana che quell’anno retrocesse praticamente già in primavera. Settori in entrambi i casi stracolmi e gonfi d’amore. Annate lontane, quasi anni luce, rispetto alla realtà odierna.

Dal centro di Reggio Emilia raggiungo lo stadio direttamente a piedi. Una passeggiata di mezz’ora, uscendo lentamente dalla città per inoltrarmi in un’area circondata perlopiù da campagne e campi di grano. Non è la prima volta che vengo da queste parti. Il ricordo di un Reggiana-Cavese datato 2005/2006 è ancora ben nitido in me, si trattava di Serie C2 e quel pomeriggio, assieme a un altro partitellaro, godetti uno spettacolo non indifferente da ambo le parti. Oggi tante cose sono cambiate anche in quello stadio che già dieci anni fa sembrava ben diverso da altri impianti italiani. Ci sono stati i decreti emergenziali e le leggi speciali, quindi anche il Città del Tricolore è circondato da gabbie, cancelloni gialli e prefiltraggi, mentre al suo interno si è ben pensato di istallare seggiolini con stemmi e colori della Mapei. A ognuno il suo giudizio, ma come non sopportai la sostituzione di quelli dello stadio Olimpico in luogo di sediolette moderne con tanto di schienale anche in curva, non posso certo trovare esteticamente impeccabili questi. Al cospetto di uno stadio che, tuttavia, resta uno dei più belli per forma e visibilità (se si concepissero tifo e tifosi in un altro modo, sarebbe un impianto perfetto anche per il “calore umano”).

Altro fattore “pittoresco” della giornata saranno le notizie del tutto infondate che, sin dal mattino, parlavano di un rinvio del match causa nebbia. Alcuni network romani, infatti, avevano messo in rete la foto di una Reggio Emilia abbracciata dalla foschia nelle prime ore dell’alba e, più di qualcuno, era addirittura arrivato a scrivere che le due squadre non sarebbero proprio scese in campo. Chissà, forse siamo così disabituati a questo fenomeno meteorologico, da non sapere che i banchi di nebbia variano con il passare delle ore e, a queste latitudini, un minimo di foschia mattutina è un qualcosa di assolutamente normale. Sta di fatto che con l’inoltrarsi della sera la visibilità andrà addirittura migliorando, dando alla notizia tutti i contorni di un inutile allarmismo.

Dopo aver appurato l’esistenza di un centro commerciale nella pancia dello stadio, posso ritirare l’accredito ed entrare in tribuna stampa. Gli spalti si vanno lentamente riempiendo, anche se si andrà ben lontani dal sold out.

Per i tifosi capitolini la trasferta è diventato ormai un momento agognato, dove poter sfogare tutta la frustrazione causata dalla protesta in casa. Sono passati ben sei mesi da quel Roma-Siviglia dello scorso agosto, quando l’incubo Gabrielli-D’Angelo si concretizzò di fronte ai tifosi romani, eppure la situazione sembra ancora molto ingarbugliata e lontana da una risoluzione. Di certo attendere che qualcuno, in seno alle istituzioni, faccia uso del proprio buon senso è una speranza a dir poco vana. Di sicuro a molti parrà persino strano entrare in stadio come questo, dove i controlli sono fondamentalmente normali e non asfissianti, e a nessuno salterebbe mai in mente di sanzionarti per un cambio posto o per aver lanciato un coro dalla balconata.

Le due squadre entrano in campo e anche le tifoserie scaldano i motori. Ovvio che per i ragazzi di Sassuolo l’impresa di farsi sentire sia ardua. C’è da dire però che il centinaio di ultras neroverdi non perderà mai la propria compattezza, dando comunque una buona idea di gruppo e colorando il proprio spazio con un paio di sciarpate e il continuo sventolio dei bandieroni. Come detto in precedenza, l’immensa curva loro destinata li penalizza, anche perché appare chiaro che il resto dei presenti abbia scelto quel settore esclusivamente in base al prezzo. In queste condizioni resta ovviamente difficile fare aggregazione e mi piacerebbe vederli nel loro stadio, dove a mio giudizio potrebbero paradossalmente crescere e avere una maggiore spinta ambientale. Di certo lo stendardo “Mai in casa” la dice lunga su come debbano vivere questa situazione. Della serie: “prendiamola a ridere che è meglio”.

Su fronte romanista, quei “mostri a tre teste” (cit. Questore di Roma), subdolamente banditi all’Olimpico, si presentano in discreto numero in terra d’Emilia per sostenere la propria squadra. È chiaro, le invasioni del passato sono un ricordo bello, ma che resterà tale. Si pensi solo all’orario del match, al giorno lavorativo e al prezzo del biglietto (30 Euro). Fattori che scoraggiano in molti. L’andamento della squadra, di contro, non dovrebbe essere invece un aspetto in grado di intaccare la voglia di stadio, ma in questi tempi, forieri di contestazioni facili dopo il primo gol subito o due sconfitte di fila che ti fanno passare dal primo al terzo posto, è purtroppo una discriminante di cui tenere conto.

Sta di fatto che i presenti sono, evidentemente, quelli “giusti”. Il sostegno di questa sera è infatti sempre su ottimi livelli, con una buona intensità e un discreto colpo d’occhio per quanto riguarda il colore; tanti sono i bandieroni e i due aste. Gli ultras capitolini si fanno sentire per tutti i 90′, rispolverando vecchi tormentoni della Curva Sud (a dimostrazione di come il classico repertorio italiano invogli a cantare anche chi generalmente non lo fa) ed esultando davvero in maniera scomposta ai gol e, soprattutto, al rigore sbagliato da Berardi nel finale, che avrebbe regalato al Sassuolo un insperato pareggio.

Come accennato, in campo è la Roma ad avere la meglio, con Spalletti che ottiene la prima vittoria della sua gestione. Al gol di Salah nel primo tempo, risponde El Shaarawy nel finale, pochi minuti dopo il penalty fallito dai padroni di casa. Un successo che ridà speranze all’ambiente romanista, anche se resta un mistero la motivazione che ormai da qualche anno spinge i giocatori a tenersi sempre a debita distanza dai propri sostenitori. Potremmo parlare di mancanza di rispetto, ma quando si fa riferimento ai calciatori occorre sempre pesare le parole, tuttavia è ovvio che anche un gesto di ringraziamento sarebbe opera gradita per chi di martedì sera si è sobbarcato 800 km tra andata e ritorno, dovendo probabilmente lavorare il giorno successivo. Ma siamo nella Serie A dei lustrini, dell’ipocrisia e del politicamente corretto a tutti i costi. Quindi nulla di cui sorprendersi.

Non mi resta che riprendere tutte le mie cose e avviarmi nuovamente verso la stazione, per fare pronto ritorno a Roma. Della nebbia ancora non v’è traccia.

Simone Meloni.