Isernia, domenica 6 maggio 1984, stadio X Settembre. L’Aesernia del presidente Pontarelli e del “mitologico” mister Di Pucchio, affronta, a due giornate dalla fine del campionato d’Interregionale girone G, la forte compagine laziale del Pro Cisterna – che la precede di un solo punto – e che proprio coi biancocelesti pentri si contende la vetta della classifica che vale la promozione diretta in Serie C2.

È la classica partita da dentro o fuori. Al netto degli infuocatissimi derby e delle centinaia di partite giocate nel corso dei decenni e nei tre campionati professionistici disputati – che hanno visto grandissimi squadroni calcare i campi di gioco isernini, al X Settembre, prima, e al Le Piane, dopo – credo che ci siano stati dei match rimasti nell’immaginario collettivo della città, come qualcosa di unico e irripetibile, quasi il tempo si fosse cristallizzato. La burrascosa sfida col Sanità del ’77, al vecchio X Settembre, che trasformò le strade d’Isernia in uno scenario di guerra; la vittoria contro la Turris Santa Croce di Vincenzino Cosco nell’aprile ’98, sempre al X Settembre, che riportò la Polisportiva in Serie D dopo 12 anni grazie a una magistrale punizione del fuoriclasse campano Serìno; il pareggio contro la Caivanese nel maggio 2003, al Le Piane, grazie ancora a una punizione, stavolta del bomber argentino Cantòro, che significò per l’Isernia FC il ritorno in Serie C2 dopo 19 anni. E naturalmente Aesernia-Pro Cisterna.

Forse è stata questa la gara per antonomasia, quella che tutti ricordano, bambini, vecchi e massaie, e di cui tutti hanno sempre sentito parlare e raccontare. Non una partita, ma “La Partita”. Il momento in cui il connubio tra squadra e città è stato più stretto, una sorta di totale simbiosi, la celebrazione del Giuoco del Calcio ad Isernia, una città che si risvegliò in un sogno, la gemma più fulgida di quella metà degli Anni ’80.

Le poche immagini di quel giorno parlano da sole, il resto lo fa la memoria del cuore e quella dei racconti di chi c’era: parole sempre uguali e rivestite d’un’ingenua aura di pomposità ed esagerazione, ma che non si smetterebbe mai d’ascoltare. Basta guardare questa foto per rendersi conto di cosa stiamo parlando: più che uno stadio, un campo sportivo di paese, in terra battuta (quando l’erba era già arrivata ovunque in Italia) e con una recinzione degna più d’un lager che d’un campo di gioco. Ma l’immagine di folla è impressionante. Nell’unica tribuna (che l’anno seguente sarebbe stata dotata di copertura in alluminio ed affiancata da altre due) sul lato Via Giovanni XXIII, una moltitudine umana incredibile. E nei due “corridoi” laterali, penso, almeno quattro o cinque file di persone addossate e schiacciate alla rete. E di fronte – quello che la foto non può mostrare ma che è bello poter anche solo immaginare – è peggio.

Nel cosiddetto prato, culla del tifo pentro (che l’anno dopo sarebbe diventata una gradinata stile terrace britannica con gradoni stretti e fitti) ci saranno almeno 2.000 persone, in un settore che potrebbe contenerne a malapena la metà. È un’intera città che s’è fermata per scrivere un pezzetto importante della propria storia. E poi c’è l’immagine d’una fase di gioco, che mostra solo quattro giocatori, forse un calcio piazzato (come si diceva una volta), chissà… E la magia di casacche semplici e attillate (curiosamente rosse per i padroni di casa), con pantaloncini striminziti e calzettoni spartani. E un’Aesernia che – forte del calore di tanto pubblico e partecipazione collettiva – vince la partita grazie a un goal di Piemontese, scavalcando i pontini in classifica (che vinceranno il campionato l’anno seguente), catapultando un’intera città, per la prima volta nella sua storia, nel Calcio professionistico e precipitando il suo pubblico nel più totale delirio.

Quel campionato avrebbe avuto una coda inaspettata, con un’Aesernia che si sarebbe aggiudicata il torneo solo a bocce ferme, grazie a una sentenza del tribunale sportivo emessa a seguito di presunte aggressioni patite dai propri calciatori in quel di Casalotti (un sobborgo di Roma) e di cui s’è detto tutto e il suo contrario. Ma la bellezza e l’euforia di quel giorno rimangono intatte.

Quel 6 maggio ’84: quel vecchio, sgangherato, assurdo e romanticissimo X Settembre divenne un luogo del tempo, uno scrigno della memoria, dove ognuno dei presenti poté riporre le immagini più care e più vere legate al Calcio e al suo saper essere veicolo di aggregazione e fenomeno sociale e di costume d’un intero popolo e d’un’intera nazione. E s’è vero che ogni cosa perfetta tende a diminuire, dopo di allora non si toccò più quel livello di pathos, così difficile da descrivere e raccontare a parole. Che tempi e che squadra quella dell’Aesernia!… e che città e comunità di sportivi!… un melting pot di veraci oriundi e forestieri naturalizzati giunti dopo l’istituzione della Provincia. E che magnifici ragazzi quelli in campo e quelli fuori!… e che gioia assoluta, contagiosa e irripetibile, meraviglia e sintesi di quegli Anni ’80 nella piccola città molisana, quando si viveva in funzione della domenica pomeriggio e il Calcio era la vera ragione di vita. E che giorno, quel giorno!… la pelle s’aggrinza al solo pensarci.

Luca “Baffo” Gigli.