In questi giorni ha fatto notizia l’arresto di Pablo “Bebote” Alvarez, jefe della beboteBarra dell’Independiente, che si è fatto beffe delle forze dell’ordine brasiliane, riuscendo ad assistere ad alcune partite della nazionale Argentina in questo Mondiale, travestendosi da tifoso delle squadre avversarie o, come in occasione del suo fermo, con una maglia del Flamengo. Questo, come affermavano con contrito dolore i giornali, nonostante un “daspo” in corso.

Ora, al netto di chi sia “Bebote” Alvarez, che i media italiani tra l’altro nemmeno lo sanno per certo, ma si affidano ciecamente a quel che ne trapela dall’Argentina o che ne capiscono dopo una veloce e sommaria traduzione con Google Translator, la questione in genere è molto complicata da dipanare. Come al solito i giornalisti nostrani si sono distinti solo per sciatto sensazionalismo e pochissima informazione. La verità è che il “Derecho de Admision” è qualcosa di molto particolare e contestualizzandolo (ripetiamo al netto di chi abbia fatto cosa), l’unica “sensazione” che i giornalisti dovrebbero ricavarne e trasmettere all’esterno a tutti i lettori, è che il fermo di polizia ad una qualsiasi persona con un tale provvedimento a carico è un insulto alle più basilari libertà individuali.

Il “derecho de admision” per quanto lontanamente assimilabile al nostro daspo è qualcosa, per assurdo, ancora peggiore da un punto di vista legalitario. In buona sostanza, per intenderci, è come la selezione all’ingresso che attuavano le discoteche in Italia nei tempi d’oro. In maniera arbitraria, senza dover fornire alcun tipo di spiegazione e senza alcun motivo plausibile se non la propria volontà di effettuarla, magari per avere un ambiente più elitario: su queste basi i gestori delle discoteche potevano decidere l’ingresso agli uomini solo se in coppia con una donna, oppure vietare l’ingresso a chi vestiva in jeans o in modo (a loro insindacabile giudizio) sciatto, piuttosto che tutta un’altra serie di pregiudiziali pretestuose e discriminatorie.

Su questa falsariga, se una società argentina di calcio ha dei problemi con determinate persone all’interno della propria tifoseria, che siano esse effettivamente violente o solo “scomode” perché avversano le politiche societarie, la stessa dirigenza manda alla polizia una lettera, come quella dell’Independiente che girava a corredo degli articoli in merito. Con tale lettera, semplicemente, e senza dover fornire troppe spiegazioni, dice che quella data persona è sgradita e non ha più “diritto di ammissione” allo stadio. Con la stessa, si chiede alle stesse forze di polizia di fornire assistenza al servizio di sicurezza in loco (gli steward), onde evitare ingressi indebiti, che potrebbero avvenire ugualmente senza violare alcunché se non la volontà del “proprietario” di non farti entrare nel suo locale.

Un “Derecho de Admision” per lo stadio “Libertadores de America” de Avellaneda, per esempio, vale come la carta da cesso nello stadio “Monumental” di Buenos Aires, in cui si potrebbe ovviamente accedere senza nessun tipo di problema. Il discorso diventa un po’ diverso quando, specie nei casi dei personaggi più in vista delle Barras, il derecho è imposto direttamente da un Pubblico Ministero, ma anche in quei casi la faccenda è piuttosto contorta perché l’applicazione è vincolata a questioni “provinciali” o addirittura “distrettuali”: in una città tentacolare come Buenos Aires, con 48 distretti, magari lo si applica per intera “provincia”, altrove si è meno selettivi e si lascia che sia l’immensa vastità dell’Argentina, con l’indigente povertà, a far da deterrente ed impedire che i tifosi delle barras cerchino di farsi “ammettere” negli stadi in cui la propria squadra gioca in trasferta. Cosa che tra l’altro potrebbero fare senza ripercussioni legali, scontrandosi talvolta solamente con l’inutilità oggettiva di farlo per divieti di trasferta e settori ospiti chiusi. In uno scenario del genere, con dei provvedimenti che spesso non valgono da città a città, ovviamente è del tutto impensabile poter imporre dei veti internazionali.

Al di là di questo, per capire come si è arrivati a certi avvenimenti strumentalizzatissimi, è utile conoscere anche un po’ di antefatti. Qualcuno ricorderà la recente conferenza stampa della “Hinchadas Unidas Argentinas” in cui le stesse annunciavano il proprio scioglimento e, nel rinunciare a seguire l’Argentina ai Mondiali, polemizzavano con il presidente federale Grondona che aveva rifiutato la loro richiesta di 650 biglietti gratis, per concederli invece ad altre barras esterne al “progetto” HUA, alcune delle quali ne hanno fatto anche mercimonio. Tra le beneficiarie figurava proprio la barra dell’Independiente e non a caso, dopo il fermo di polizia, Bebote aveva dichiarato che era entrato regolarmente con dei biglietti avuti da Grondona, quindi nulla di “irregolare” o scandaloso. O forse lo scandalo è Grondona, se proprio vogliamo dirlo.

Nel mare di polemiche a distanza, le HUA accusavano anche Grondona di aver fornito alle autorità di polizia brasiliane una lista di destinatari di “Derecho de Admision”, riveduta e corretta secondo i suoi bisogni estemporanei. Una vera e propria lista di proscrizione di barras invisi al potente padrone del calcio argentino, nella quale non rientravano né Bebote con banda e né altri personaggi discussi come l’ala de “La Doce” del Boca Jrs riconducibile a Rafa Di Zeo.

Se a questi livelli, vista la caratura dei personaggi coinvolti, sia saltato qualche equilibrio e sia stato lo stesso Grondona a dar mandato di disfarsi di Bebote, non è dato saperlo. In alternativa, se Grondona non ha parte in tutto ciò, non meno dovrebbe far riflettere che una persona possa essere bloccata in uno stadio, ad una frontiera o tratta in caserma della polizia e rispedita a casa solo sulla base di un foglio di carta scritto da una qualsiasi società di calcio con motivazioni spesso arbitrarie. In fondo lo stesso Bebote, ci ha tenuto a precisare che dal 1999 non è stato più destinatario di alcun addebito penale intra o extra-stadio.

Il “Derecho de Admision” è, insomma, un provvedimento ancor più ridicolo e labile della sanzione amministrativa che regola in Italia gli accessi allo stadio. Per estrema sintesi, le società di calcio sono solo tenute ad avvisare le autorità di polizia che lo applicheranno nei confronti di date persone. Per il resto alla polizia va benissimo così, non vogliono saperne niente e ne vogliono sapere ancora meno i pubblici ministeri che intervengono solo in casi rarissimi e veramente gravi o necessari, lasciando alle società tutto l’onere di queste grane. Il motivo? Semplicissimo: come in Italia hanno cose molto più importanti a cui badare che non a certe idiozie (che restano tali – a scanso di strumentalizzazioni – fino a quando non intercorrono morti o altri fatti gravi). La differenza sostanziale è che anche in Italia hanno cose più importanti a cui pensare, stato sociale disastrato, corruzione dilagante, politica incapace, disoccupazione galoppante, situazione economica ormai al collasso e tanto altro, ma la classe dirigente e soprattutto i giornalisti preferiscono preoccuparsi di stronzate, tirando fuori ad ogni 3×2 la “Follia ultrà” e il sensazionalismo inutile su questioni ridicole. Anche quando si parla di casi terzi e lontani, come in questa circostanza, ma che ricollegandoli alla buona, con un “daspo” buttato là a caso, vengono sempre bene per tenere alta la psicosi collettiva e bassa la soglia dell’italica attenzione su questioni più gravi. A campionato fermo, ad azioni ultras azzerate, con gli Azzurri fuori dal Mondiale, sia mai che qualcuno dovesse cominciare a preoccuparsi dello stupro barbaro del nostro paese.

Matteo Falcone.