Prima di qualsiasi considerazione inerente a questa assolata domenica bolognese, vorrei soffermarmi su un aspetto che ritengo carico di significati. Si tratta di un applauso. Anzi, di due applausi: l’uno al momento dell’esposizione (da parte felsinea) di uno striscione contro il taser in dotazione agli agenti, l’altro in onore a Stefano Cucchi (da parte romanista). Apprezzamenti che hanno coinvolto non solo le curve, ma buona parte dello stadio Renato Dall’Ara.

Una reazione unisona che lascia presagire come, malgrado il lavaggio del cervello e l’instradamento verso l’accettazione di qualsiasi forma di abuso e strumento ai limiti del consentito pur di tutelare l’ordine pubblico, c’è un campione di persone che frequenta certi ambienti – e ben conosce il sovente utilizzo spropositato che la pubblica sicurezza fa del proprio potere – ancora in grado di ragionare in maniera lucida e comprendere dove finisca la sicurezza e inizi la repressione. Oltre che, nel caso Cucchi, la giustizia nel termine più puro di questa parola.

Non è un caso che questo “campione” trovi luogo proprio negli stadi. Né tanto meno che lo stadio sia quello di Bologna, che ancora oggi mi fa piacere immaginare come una città viva, in prima linea per difendere sé stessa e i propri diritti. Ma anche quelli altrui (vedi le tante iniziative realizzate in favore della famiglia Aldrovandi).

Bologna-Roma, rivalità sentita (sentitissima a inizio 2000) viene così per qualche minuto accantonata. Perché ci sono tematiche che nella nostra cara Italia non solo vanno rammentate quotidianamente, ma su cui occorre tenere alta la guardia. Se ci sono film scomodi, tolti dalle sale dopo una sola settimana, se ci sono notizie che non vanno fatte uscire e sindacati vogliosi di difendere a spada tratta assassini che trovano nei cittadini della facile carne da macello, ci dev’essere sempre una coscienza popolare, una coscienza del cittadino – di quello che la strada la vive – in grado di far fronte.

Una missione difficile (se non impossibile) in un mondo che ci ha schiantati tutti davanti a computer e cellulare, a rincoglionirci per bene e a farci credere che in fondo, pure se ci scappa un morto o un ferito grave, ci può stare perché è ad appannaggio della nostra incolumità. La sicurezza giustifica armi mortali come il taser, i suoi infimi propagandisti giustificano l’utilizzo dello stesso persino sui clochard – come successo a Firenze qualche settimana fa – perché a quanto sembra due agenti non sono in grado di bloccare un senza tetto in stato di alterazione.

Difficile ora tornare a parlare di tifo e calcio, ma doveroso per dar credito a quel fil rouge che collega tutte le tematiche sopra elencate.

C’è anche un altro filo conduttore che lega le sfide tra rossoblu e giallorossi degli ultimi anni. Due stagioni fa, nella mia ultima apparizione sotto le Due Torri, mi trovavo a scrivere un pezzo dedicandolo a Roscio e Coca Cola, figure storiche della Sud romana di cui in quella settimana cadeva l’anniversario della scomparsa.

Quest’oggi sono ancora costretto ad aprire il cassetto dei ricordi per salutare un personaggio che, almeno nella Capitale, ha fatto storia. Si tratta di Giorgio Rossi, massaggiatore che ha lavorato per il club giallorosso ben 55 anni (su 88 della sua vita), scomparso proprio in mattinata. Una miniera di storia romanista, un lavoratore umile e sempre disponibile. Oltre che uno dei pochi (forse l’unico?) a potersi vantare di aver vinto ben due scudetti con la Roma (l’equivalente di 30 in altre piazze). Lui c’era già nel 1983. E già nel 1983 sembrava un uomo grande (effettivamente aveva superato i cinquant’anni da un pezzo), di quelli che incutono sicurezza e che sai per certo sappiano distinguere il taglio dell’erba dei campi da calcio in base all’odore che la stessa emana.

Bando alla retorica, che negli ultimi tempi detesto in maniera forsennata, Giorgio Rossi non è stato solo la storia dell’AS Roma, ma rientra di diritto in quelle figure a cui tutti i tifosi sono attaccati. Quelle icone senza tempo, che quando le guardi nelle foto degli anni ’70 ti sembrano uguali a quelle degli anni 2000. Mancherà, perché mancano sempre più quelli come lui. Mancano gli operai semplici ma specializzati, con la rete del pallone in mano, la tuta addosso e il sudore pronto a grondare pur di completare in ordine le proprie mansioni. Mancano quelli che hanno questo sport nel cuore e che sanno legarsi con fedeltà alla maglia, ai colori e al simbolo. Mancano a Roma come in qualsiasi altra parte d’Italia.

E la partita del tifo inizia proprio nel suo ricordo, con uno striscione esposto nel settore ospiti e una bella fumogenata giallorossa che si leva al cielo lentamente.

Nel settore ospiti sono presenti diversi bandieroni, che sembrano esser diventati una costante anche fuori casa rispetto agli anni passati. Scelta azzeccata che dà un bel tocco di colore, così come le vetrate ricoperte per intero dalle pezze. Il primo tempo degli ultras romanisti è senza dubbio di ottima fattura, con un tifo che si mantiene costante e intenso. Tante manate, anche quando la partita comincia a mettersi in salita con gli emiliani in vantaggio grazie al gol di Mattiello. Nella ripresa ospiti un po’ in calo, per poi riprendersi nel finale quando – a sconfitta ormai acquisita grazie al raddoppio di Santander – monta la contestazione nei confronti di squadra e società.

Presidenza e giocatori sono ovviamente sotto l’occhio del ciclone, in virtù di un inizio pietoso che attualmente annovera una sola vittoria contro il Torino, due pareggi casalinghi e due sconfitte contro Milan e Bologna. Al momento la rivoluzione tecnica attuata in estate (con la vendita di numerosi perni) non sembra aver dato i frutti sperati. Anzi, l’esatto contrario.

Spostandoci su fronte bolognese, comincio col dire che finalmente sono riuscito a vedere una Bulgarelli in discreta forma. Sarà l’entusiasmo per la prima vittoria casalinga e la prova gagliarda dei ragazzi di Inzaghi, saranno gli appelli circolati in settimana con tanto di sostegno durante gli allenamenti da parte di alcuni gruppi, ma i supporter di casa offrono una bella performance fatta di tifo costante, cori tenuti a lungo e belle manate.

Una piazza come Bologna – che spesso dal punto di vista curvaiolo avrà avuto anche delle defaillance – meriterebbe ben altro che una squadra perennemente invischiata nella lotta per non retrocedere e mai in grado (neanche una stagione) di regalare un sogno o una speranza ai propri sostenitori. In questo mi ricorda molto il Torino, nobili del nostro calcio ridotte a fare da sparring partner al resto delle astanti.

Come detto sul terreno di gioco sono i felsinei a imporsi per 2-0, potendo raccogliere il meritato applauso dei propri ragazzi e cominciare a guardare la classifica con maggiore speranza.

Si torna in campo già mercoledì: la Roma ospita il Frosinone, il Bologna nientepopodimeno che la Juventus.

Simone Meloni