Mentre mi appresto a scrivere questo pezzo sto aspettando che un treno per Milano assolva ai suoi classici ritardi partendo da Roma Tiburtina. La destinazione finale è Kharkiv, in Ucraina, a pochi chilometri dal confine russo, dove mercoledì lo Shakhtar Donetsk riceverà la Roma.

Il prosieguo di due settimane a dir poco intense, cominciate proprio con un viaggio in terra teutonica. E proprio con un altro ritardo, stratosferico, sul volo per Colonia firmato, manco a dirlo, Ryanair. Viaggio spostato di tre ore, coincidenza con il pullman per Dortmund ampiamente saltata e meta da raggiungere in treno. Unica certezza: le Deutsche Bahn, fortunatamente funzionali e rapide, tanto da permettermi di giungere a destinazione con una sola ora di ritardo sulla tabella di marcia originaria.

Borussia Dortmund-Atalanta non è la riproposizione moderna di quella mitica sfida tra orobici e Dinamo Zagabria, chiariamolo subito. Troppa differenza di tempo trascorso ma soprattutto un paragone non fattibile tra l’ambiente della cittadina renana e quello della calda e controversa capitale croata.

È tuttavia un’occasione storica per intere generazioni di tifosi atalantini, che magari sono cresciuti vedendo il Borussia alzare la Coppa dei Campioni  nel 1997, contro la Juventus all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, o gli schwarzgelben (gialloneri) di Jurgen Klopp contendere titoli e campionati al colosso Bayern Monaco. Inoltre c’è un mito da sfatare, quello del muro giallo e della sua acclamata pregevolezza nel sostenere la propria squadra.

Che per i tifosi della Dea si tratti di un appuntamento con la storia non si intuisce tanto dal treno speciale partito da Chiasso la sera precedente (sottolineo le carrozze retrò, stile Espressi italiani anni ’70) e nemmeno per gli innumerevoli pullman partiti alla volta della Germania, quanto dalla presenza di ragazzi in sciarpa nerazzurra persino all’aeroporto di Ciampino. Un fatto che inizialmente mi lascia interdetto, avvicinando il binomio cromatico a qualche tifoso interista di passaggio nello scalo aeroportuale.

Non so esattamente questi ragazzi che fine facciano quando guadagno la strada dell’uscita dall’aeroporto di Koln/Bonn per montare sul primo dei tre convogli che mi porteranno a Dortmund. Quello che vedo chiaramente, invece, è un paesaggio completamente candido di neve che si estende per chilometri e chilometri.

Diciamocela tutta, senza offendere nessuno, ogni volta che “passeggio” su suolo tedesco capisco perché gli autoctoni rimangano sempre stregati, quasi ipnotizzati, dalla varietà dei Paesi mediterranei, ma anche dalle vicine Svizzera e Austria. Chiaramente senza voler generalizzare, ci sono posti incantevoli e stimolanti anche in Germania, ma l’area della Renania Settentrionale è tutt’altro che indimenticabile.

Approfittando dei comodissimi armadietti low cost messi a disposizione in ogni stazione teutonica, “abbandono” i miei bagagli, inoltrandomi in direzione stadio a piedi, spinto dalla curiosità di vedere che aria tiri nella zona centrale.

Tutto sommato non c’è moltissima gente, sebbene quasi tutte le persone in circolazione indossino sciarpe giallonere e siano intente a divorare grossi panini con wurstel accompagnati dall’immancabile birrozza bionda. Non manca il classico stereotipo di tifoso tedesco anni ’90, giubbotto di pelle addosso e sciarpe legate in ogni parte del corpo. Roba che fortunatamente da noi non si vede davvero in nessuna parte dello Stivale, nemmeno laddove resistono forme più folkloristiche di andare allo stadio.

Non che abbia nulla contro il folklore, sia chiaro. Non a caso vedere la masnada di bergamaschi sorseggiare bottiglioni di vino rosso davanti al settore ospiti l’ho ritenuto spettacolare. Ma trovarsi di fronte lo stereotipo fatta persona lascia sempre perplessi. Un po’ come se domani, andando allo stadio a vedere la Roma, incontrassi uno vestito da centurione, con la sciarpa giallorossa al posto della tunica e un piatto di amatriciana in mano.

Il Borussia è chiaramente molto più che la semplice squadra di Dortmund e in tanti giungono costantemente da ogni parte del Paese per seguirne le gesta. Questo, lo sappiamo bene, ha più lati negativi che positivi nell’economia di ciò che più ci interessa, vale a dire il tifo e la compattezza della curva. Ma ne parleremo più avanti.

Come accennato sopra, la folla di tifosi atalantini è veramente impressionante. Quando mancano un paio d’ore al fischio d’inizio, fuori agli ingressi c’è già una fila immensa per superare i controlli ed accedere allo stadio. Qualche gruppetto intona cori, altri si danno da fare con vino e birra, altri ancora si riversano nei chioschetti adiacenti per ingurgitare ogni tipo di carne commestibile.

A margine di tutto ciò la polizia controlla attenta. Le forze dell’ordine tedesche sono ben lontane da quelle spesso impreparate che troviamo nei nostri stadi. La loro presenza è massiccia ma non si avverte. Gli uomini in divisa non opprimo i tifosi ma – e mi è capitato di vederlo in altri viaggi fatti in Germania – alla prima scaramuccia o attimo di tensione intervengono con fermezza, senza fare sceneggiate o utilizzare in maniera arbitraria e quasi compiaciuta il manganello o la violenza.

È una differenza importante, anzi credo che sia quella da cui più si evince l’immenso abisso che divide il fare ordine pubblico all’italiana e il farlo a queste latitudini. Eppure anche qui hanno un’opinione pubblica a cui render conto, anche qui i politici potrebbero fare carriera su ciò (ci sarà anche in Germania la famosa massaia di Voghera, magari qui sarà di Saarbrucken…) e anche qui si verificano con una certa costanza disordini tra tifosi.

Inutile ripetere che di divieti o tessere ministeriali nessuno sembra sentire l’esigenza. Anzi, c’è da dire che quando la Federcalcio ha proposto giri di vite nei confronti dei tifosi, questi ultimi hanno sempre reagito in maniera unitaria, facendo spesso desistere i primi. Sono collusi? Sono “amici delle guardie”? Chi lo sa. Come ho detto altre volte però, forse è meglio “trattare” in qualche occasione che fare i duri e puri, salvo poi chiedere di nascosto autorizzazioni per materiale e coreografie.

Certo, va anche detto che i tifosi italiani (la società italiana) posseggono un retroterra totalmente differente da quello tedesco. Basti pensare al contesto di piazza da cui provengono e comunque all’oggettiva scia di violenza che ne ha sempre caratterizzato una parte. Diciamo che per le istituzioni tedesche è “più facile” aver a che fare con un movimento ultras che, per quanto in grande espansione, ha sicuramente più margini di morbidezza e malleabilità. Oltre che una naturale apertura al dialogo.

Per tante ragioni non voglio mai guardare all’erba del vicino come la più buona, perché ancora oggi mi risulta difficile trovare qualcosa di più “spontaneo ma organizzato” del movimento ultras italiano, se guardiamo all’Europa Occidentale. Sta di fatto che in Germania si dimostra costantemente come la convivenza tra i diversi tipi di tifosi non solo sia possibile, ma sia addirittura necessaria per far sì che lo spettacolo abbia maggiore appeal.

È la seconda volta che metto piede al Westfalenstadion. Qualche anno fa giunsi qui per il derby contro lo Schalke 04, all’interno di un tour di tre o quattro giorni. Oggi la situazione è differente, perché lo stadio apre le sue porte all’Europa e l’ospite d’onore è quell’Atalanta che, giocoforza, fa gola anche agli ultras di casa. Vuoi per la storica amici tra i lombardi e i rivali di Francoforte, ma vuoi soprattutto per la fama che la tifoseria nerazzurra si porta dietro. Da anni i tedeschi guardano noi come esempio, studiando le nostre movenze e ammirando le curve d’Italia. Ovvio che l’arrivo di uno dei capisaldi del nostro movimento dia qualche stimolo in più.

Ciò che sempre mi colpisce degli stadi locali è la libertà di movimento che si ha al loro interno. Si può girare tranquillamente intorno al perimetro delle tribune anche dopo aver superato l’accesso, cartina al tornasole di come concedere queste piccole libertà e non far sentire i tifosi in gabbia aiuti e non poco a morigerare fenomeni di violenza. Non ci vuole di certo uno studio in sociologia per capirlo, ma da noi ci sono cervelloni troppo impegnati a partorire i livelli di pericolo di una gara e poi passare la palla al Casms di turno, per fare simili valutazioni.

Una mezz’ora prima dell’inizio il contingente bergamasco continua a ingrandire le proprie fila. 5.000? 6.000? 7.000? 8.000? Il numero davvero non ve lo so quantificare, anche perché di tanto in tanto spuntano sciarpe nerazzurre in ogni settore della Nordtribune. Il colpo d’occhio è così imponente, tuttavia, che comincio a temere un effetto negativo sul tifo. Trasferta di massa quasi sempre fa rima con poca qualità e starà a lanciacori e tamburisti farsi carico di coordinare il tutto.

Almeno in fase di riscaldamento non ci sembrano essere grandi problemi. La voce esce che è una meraviglia, tanto che sembra di essere già a gara iniziata. Sul fronte opposto la Sudtribune va lentamente riempiendosi, così come il resto dello stadio. Le due curve sembrano scambiarsi le prime “opinioni”, con gli ultras di Francoforte, manco a dirlo, ripetutamente chiamati in causa da quelli di Dortmund.

Le squadre entrano negli spogliatoi e ci si avvicina all’avvio delle ostilità, che avviene regolarmente alle 19. Il settore ospiti saluta le squadre con sciarpe, bandiere e qualche torcia, prontamente stigmatizzata dallo speaker dello stadio, il quale ricorda che “nel nostro Paese non è possibile usare pirotecnica, basta pirotecnica tifosi dell’Atalanta!”. Un vera e propria fisima quella dei tedeschi contro torce e fumogeni tanto che verrebbe da chiedersi, scherzosamente s’intende, quale reazione potrebbero avere in una qualsiasi festa patronale del nostro Paese. Forse meglio non provare.

Bella anche la scelta dei supporter di casa, che colorano il proprio settore con una bella cartata gialla, tantissimi bandieroni e una sciarpata. Sicuramente il momento più bello della serata per quanto li riguarda.

Ora, cercherò di essere sincero sperando che nessuno si offenda: quella del “muro giallo” è più che altro una leggenda metropolitana. Almeno tra le mura amiche. Un falso mito che, alla stregua dei 90′, si riduce a poco più di un migliaio di persona a tifare nella parte centrale di un settore dove i restanti 8/9.000 spettatori guardano inermi la partita senza partecipare mai (e ripeto mai) in maniera colorata e vistosa neanche ai cori che sembrano essere più gettonati.

Ok, gli 80.000 del Westfalenstadion sono tanta roba. Così come è bella l’aggregazione che si è formata attorno al calcio tedesco. Ed è innegabile che qua il movimento ultras abbia fatto passi da gigante rispetto al passato, sia in grado di produrre materiale di ottima fattura e realizzare coreografie maestose. Ma scoprendo il pentolone, di “ciccia” ce n’è ancora troppo poca. Almeno se si fa eccezione per qualche piazza che effettivamente merita e dimostra costantemente il proprio valore.

Non voglio accanirmi contro i ragazzi di Dortmund, che comunque nel loro contesto si vede che ce la mettono tutta ed essendo la loro una delle squadre più tifate del Paese, sicuramente si ritroveranno a “combattere” con molti “occasionali”, tuttavia trovo davvero esagerate e inopportune le recensioni che generalmente si leggono in giro sulla Sudtribune. Senza scomodare mostri sacri del nostro movimento, ma davvero credo che in Italia anche una media tifoseria di Serie C (persino qualcuna in D) sia di gran lunga superiore. E non ne faccio solo un discorso di curva, ma di pubblico in generale in questo caso.

Facendo una battuta: attualmente più che un “muro” si tratta di una “staccionata”. Di strada per avvicinare il “mito” italiano ce n’è davvero tanta e complessivamente credo che, oltre al nostro, ci siano realtà mittleuropee come quelle svizzere o austriache che risultano ancora ampiamente migliori in quanto a sostanza. Per non parlare dei Balcani, ma là anche l’Italia è attualmente fuori competizione.

Il miglior specchio per dimostrare quanto detto credo sia proprio il settore occupato dagli atalantini. Con un tifo davvero notevole. Certo, è il loro momento e viaggiano sulle ali dell’entusiasmo. Ovvio, sarebbe ingiusto oscurare quanto fatto in questi anni da juventini, romanisti, laziali, interisti, milanisti e viola che in Europa hanno sempre viaggiato, all’evenienza si sono sempre fatti rispettare ed è ovvio che una certa “abitudine” non possa comportare lo stesso loro entusiasmo. Però, se pensiamo ai nostri stadi odierni, non è neanche scontato che tutta questa gente (molta della quale non va alla partita con continuità) riesca ad esprimere questo genere di passione, trasudando attaccamento e voglia di sostenere i propri colori a prescindere dal risultato e dall’andamento del match.

Insomma, i bergamaschi restano una garanzia, oltre che un popolo fieramente attaccato alla sua squadra. Gente che si riconosce in quei colori e che ha portato ben oltre le Alpi l’orgoglio di quella città, che non è metropoli ma che, negli anni, ha saputo sempre militare negli stadi da tale.

Altra dimostrazione di quanto detto in precedenza credo sia fornita dalle esultanze. Quasi sempre composte o comunque non eclatanti quelle dei tedeschi (benché il Borussia sigli il 3-2 proprio al 90′), a cascata e prolungate quelle degli atalantini. Ma qua forse parliamo più di vero e proprio calore personale e, parlando per stereotipi, i popoli nordici non sono celebri per essere i più scalmanati.

In campo la contesa è bella ed emozionante. Il Borussia la sblocca con Schurrle ma la squadra di Gasperini si dimostra tutt’altro che timorosa. Gioca, attacca e costruisce occasioni. A inizio ripresa una letale doppietta di Ilicic fa letteralmente esplodere il settore e manda in visibilio il clan bergamasco. Una gioia che forse toglie un po’ di lucidità alla squadra, che invece di sfruttare l’inerzia e chiudere il match finisce per ritrarsi e subire prima il gol del pareggio e poi il nuovo sorpasso, entrambi ad opera di Bathshuayi.

3-2 è un risultato che lascia sicuramente tutto aperto ma che lascia anche l’amaro in bocca all’Atalanta, che avrebbe francamente meritato il pareggio. Ovviamente per i nerazzurri ci sono applausi prolungati.

Devo uscire dallo stadio in maniera alquanto celere, per non perdere il pullman che mi riporterà a Colonia. In stazione mi imbatto ancora nei tifosi italiani, che stanno per imbarcarsi sul treno in direzione Chiasso. Per loro la trasferta è finita ma, nonostante la delusione per la sconfitta, hanno ancora voglia di cantare e ballare per l’Atalanta. Mettendo la parola fine al primo tempo di un momento storico per loro e il loro club.

Simone Meloni