L’idea di assistere a una partita del calcio storico fiorentino parte da molto lontano. Non ricordo esattamente quando la mia mente vi accese la lampadina della curiosità. Molto probabilmente l’intuizione – attraverso foto e video reperibili online – che ci potesse esistere una forma, seppur arcaica, di tifo, deve avermi dato la spinta definitiva nonostante virtù e contraddizioni fascinose di cui già questa manifestazione è pregna.

L’innata voglia dell’uomo di mettersi in contrapposizione non è certo relativa ai giorni nostri. Nessuno ha inventato niente se parliamo di rivalità ultras, ad esempio. Nei secoli borghi e paesi hanno fatto a gara per avere la torre più alta o l’evento più sfarzoso. Nelle nostre città esistono quartieri storicamente in conflitto e, ultimo ma non meno importante, se l’Italia è la terra del campanilismo per eccellenza, figuriamoci una regione come la Toscana. Che di questo vive in maniera da sempre netta e dichiarata.

Una bella domenica di sole fa da preludio alla mia partenza. La sveglia puntata alle 6 del mattino non pesa poi tanto pensando alla destinazione finale. Firenze, anche senza un motivo valido, vale già di suo una visita. Sebbene ci sia stato decine di volte e ne conosca ormai a memoria buona parte della planimetria del centro storico.

Eppure è sempre un colpo al cuore trovarsi di fronte le sue bellezze quasi “spudorate” e i suoi vicoli eleganti e carichi di storia. E poi è una città che io non posso che amare. Percorribile per intero in bicicletta, orgogliosa fino allo stremo del suo passato e capace – malgrado il turismo becero e sfrenato – di mantenere sempre un minimo di identità. Difesa strenuamente con le unghie e con i denti. Insomma, cosa sia Firenze non sta a me dirlo. Ma venendo da Roma e frequentando spesso posti maestosamente belli come Napoli, Palermo e Bologna (per citarne tre, potrei dirne altre 300) è sempre valido ricordare quello che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Pur non accorgendocene a volte.

Per un novizio è importante capire cos’è il calcio storico, come si svolge e chi si fronteggia. Innanzitutto va detto che a trovarsi di fronte sono i quattro quartieri storici del capoluogo toscano: Santo Spirito (Bianchi), Santa Maria Novella (Rossi), Santa Croce (Azzurri) e San Giovanni (Verdi). Questa divisione caratterizza Firenze dal XIV secolo.

Non è chiaro da dove discenda esattamente il calcio storico. Di sicuro sin dai primordi dello sviluppo socio-culturale del genere umano, era frequente imbattersi in giochi che come oggetto della disputa avevano una palla. Spesso si trattava di un pallone ripieno di stracci o di pelle. Tra questi – per attenerci alla nostra area geografica – si hanno notizie di una disciplina in voga tra i greci chiamata Sferomachia e di un gioco diffuso tra i romani conosciuto come Harpastum.

Da quest’ultimo, secondo la tradizione, discenderebbe il calcio storico fiorentino. Ci sono alcuni collegamenti che avvalorano questa tesi, come ad esempio la nota diffusione, in Normandia e Piccardia, della soule. Una disciplina molto simile a quella praticata in riva all’Arno e, di conseguenza, probabilmente figlia anch’essa dell’Harpastum.

Quello che è sicuro è che tali manifestazioni erano quasi sempre caratterizzate da uno spirito violento, con poche regole in vigore, riuscendo però quasi sempre a far breccia nel cuore di giovani di ogni classe sociale, tanto da portare – in epoca medievale – al divieto di giocare a palla per le strade di Firenze. Ancora oggi sono visibili le decine di targhe recanti ciò.

Già questo è un primo indizio che dà un forte senso di continuità sia con gli sport moderni che con il calcio e i suoi tifosi. Chi oggi addita gli amanti del pallone come dei “trogloditi” o “senza valori perché vanno appresso a undici coglioni in mutande” si fa sfuggire il vero e proprio valore antropologico che lo sport ha in seno alla nostra cultura e, probabilmente, alla nostra natura. Abbiamo bisogno di creare continui confronti e competizioni. Va da sé che il tifo nasce comunque come una semplice conseguenza, come un qualcosa di naturale. A prescindere da qualsiasi forma organizzata. Ne parleremo più avanti, quando ci troveremo a descrivere lo scenario ambientale in Santa Croce.

Ma perché proprio a Firenze questa tradizione è rimasta così forte e immortale? È un episodio in particolare che rende il calcio storico l’orgoglio del popolo fiorentino e ne contraddistingue la rievocazione. La “madre di tutte le partite” è datata 1529, durante l’Assedio di Firenze. Approfittando del Sacco di Roma i fiorentini erano insorti, riuscendo a cacciare i Medici e proclamare la Repubblica. La reazione di Papa Clemente VII fu repentina, traducendosi nell’intervento delle truppe di Carlo V (che della famiglia medicea era parte).

Pur resistendo, i fiorentini versarono a breve giro di quadrante in una situazione di stremo, a causa delle forze impari tra loro e il nemico. Ciononostante non vollero rinunciare ai festeggiamenti del Carnevale, organizzando – in segno di sfida verso l’esercito di Carlo V – una partita in Santa Croce (dove prendevano luogo le sfide più importanti e prestigiose. All’epoca il calcio storico veniva giocato ufficialmente nel periodo carnevalesco e nelle maggiori piazze della città).

Questo avvenimento incarna ancora oggi lo spirito orgoglioso, arcigno e battagliero dei fiorentini, che in quella giornata si rispecchiano e nel calcio fiorentino riversano tutto il proprio vanto. Inoltre la preparazione al torneo comincia diverso tempo prima: nei giorni delle festività pasquali vengono estratti gli abbinamenti per mano del sindaco e successivamente in cima alla Signoria vengono incrociate le quattro bandiere dei quartieri partecipanti in base agli incontri sorteggiati.

Per quanto possa sembrare – agli occhi esterni – una manifestazione commerciale e spendibile con i turisti, resta al contempo profondamente identitaria e autentica. Basti pensare alle annose difficoltà che, di tanto in tanto, caratterizzano il suo svolgimento. Se, infatti, nei secoli scorsi molte partite sono state annullate e per anni il gioco è stato addirittura vietato per evitare episodi violenti, in epoca moderna questo clima non è poi tanto acquietato. E non occorre andare molto lontano con i ricordi.

Nel 2013 il sindaco Nardella annullò la finale a causa delle troppe tensioni accumulate nelle semifinali, mentre lo scorso anno – in maniera forse sin troppo scenica per dirla tutta – a entrare in campo per sedare gli animi degli Azzurri fu addirittura la polizia. In quel caso i calcianti di Santa Croce si resero protagonisti di pesanti risse e aggressioni agli arbitri, ritenuti tutt’altro che imparziali. Un episodio che ha lasciato strascichi anche in questa edizione. Le tante squalifiche comminate dalla Commissione Disciplinare in seguito a quella giornata (qualcuno è stato anche radiato) hanno decimato la squadra, che per protesta ha deciso di non scendere in campo nella semifinale di quest’anno, mandando di fatto i Rossi direttamente in finale.

Tuttavia a sottolinearne la veracità non ci sono solo episodi sopra le righe ma anche e soprattutto il colore e il folklore che caratterizzano sia il cerimoniale che lo svolgimento vero e proprio delle gare. Già nel primo pomeriggio Piazza Santa Maria Novella comincia a riempirsi dei personaggi che andranno a dar vita al corteo che marcerà fino a Santa Croce. A sfilare sono le molte figure che danno vita al calcio storico, tra cui i Colori (le squadre), gli sbandieratori degli Uffizi, il pallaio e la vitella Chianina che costituisce storicamente il premio per i vincitori.

Un fiume di costumi medievali che si impossessa repentinamente dei vicoli di Firenze, facendo un effetto imponente e scenico. Di tanto in tanto, appostati negli angoli, i tifosi dell’uno o dell’altro Colore salutano i propri beniamini con cori e fumogeni, gridando al cielo il classico coro del calcio fiorentino “Picchia Bianco, Picchia Bianco eh!” (ovviamente nel caso di quelli di Santa Spirito).

Non posso negare che il passaggio dei calcianti incute un certo timore. “Omoni” alti quasi due metri e dalla stazza mastodontica. Interessante sapere che da qualche anno è obbligatorio che gli stessi risiedano da almeno dieci anni nel comune di Firenze e non abbiano avuto gravi condanne penali (ad esempio omicidi).

Il serpentone si snoda in maniera composta e colorata verso Santa Croce, che come detto è ormai il campo tradizionale dove le partite prendono luogo. Mi piace comunque ricordare come molte partite degli anni ’70 si siano giocate in un’altro suggestivo scenario, quello dei Giardini di Boboli.

Da qualche anno la finale viene svolta in concomitanza con la festa di San Giovanni, santo patrono di Firenze, chiudendosi con i bellissimi fuochi notturni realizzati nella soprelevata Piazza Michelangelo, in maniera da poter sovrastare l’intero capoluogo.

Volendo entrare nel merito dei tifosi, noto subito come siano nettamente tangibili molti odori e sensazioni riscontrabili allo stadio. Innanzitutto la maggior parte dei ragazzi che si recano alla partita hanno tatuati chiari riferimenti alla Fiorentina. Ci sono gigli ed icone viola “stampigliati” sulla pelle di molti. E questo rientra appieno in un’altra particolarità tutta toscana: uniti e compatti nel calcio, divisi e rivali in questo tipo di manifestazioni. Comprendo che per chi non conosce certe logiche risulti alquanto complesso capire l’iter mentale. Eppure l’accettazione e la comprensione del concetto alla base di ciò mi viene alquanto naturale.

Gli ingressi poste nelle viuzze ai lati della piazza sono presidiati da steward e polizia, che tuttavia non sembrano tenere atteggiamenti invasivi e provocatori come spesso avviene in altre sedi a noi note.

Per l’occasione sarò nel settore occupato dai Bianchi di Santo Spirito, proprio ai piedi della Basilica. Salire le scalette delle gradinate appositamente allestite è un qualcosa di emozionante, che sembra catapultarti di forza in una Firenze di qualche secolo fa. Da frequentatore di determinati ambienti voglio subito togliermi la curiosità di sbirciare la composizione del pubblico: la quasi totalità dei presenti – almeno nelle curve – sono autoctoni, mentre mi viene fatto notare che tanti di quelli seduti nelle tribune riescono ad entrare in possesso dei tagliandi grazie ad alberghi che fanno pacchetti specifici.

Comprare un biglietto non è infatti cosa semplice. Gli stessi vengono affidati dal Comune ai diversi Colori, che logicamente tendono a rivederli anzitutto a chi li frequenta ed è veramente interessato alla manifestazione. Non è possibile acquistare tagliandi online o fuori Firenze. E questa – lasciatemelo dire – credo sia una scelta sacrosanta per non snaturare l’anima del calcio storico.

Mentre faccio le mie valutazioni, in campo si sta svolgendo la seconda cerimonia della giornata, quella che vede entrare tutte le componenti del precedente corteo per essere presentate. Man mano che il terreno di gioco si va riempiendo, si profilano anche le due squadre che andranno a contendersi la semifinale.

Ora, sono sincero: del calcio storico non conoscevo mezza regola. Non sapevo neanche come si realizzassero i punti. Quindi già apprendere che in campo andranno ben 54 giocatori (27 contro 27) mi lascia alquanto sorpreso. Il tempo di gioco è 50 minuti, senza alcuna interruzione. Durante la contesa è quasi tutto concesso, tranne che le risse e gli assembramenti. Generalmente interrotti dagli arbitri.

Chi pensa che il calcio storico sia soltanto un grande vortice di energumeni che se le danno di santa ragione senza una logica sportiva, secondo me si limita a semplificare uno spettacolo ben più complesso. Se sul darsele di santa ragione non c’è dubbio, devo dire che la sensazione che si ha è che comunque non ci si trovi di fronte a dei meri boxeur o, peggio ancora, picchiatori scelti il giorno prima in mezzo alla strada. Basti pensare che le squadre si allenano per diversi mesi e sebbene l’aspetto fisico sia predominante, non è l’unico valore che scende sulla sabbia marroncina di Santa Croce.

I punti – che prendono il nome di “cacce” – si realizzano riuscendo ad appoggiare la palla su una rete posta esattamente lungo tutto il lato delle curve. Non ci sono regole su come ottenerli: mani, piedi, testa. L’importante è che il pallone venga depositato sulla rete.

Chiaro, sto spiegando il gioco in maniera “terra terra”, quindi mi si perdoni se tralascio molteplici particolari. Per meglio rendere l’idea riporto un passaggio preso da internet:

“I ventisette calcianti si dividono nei seguenti ruoli: quattro Datori Indietro (portieri), tre Datori Innanzi (terzini), cinque Sconciatori (mediani), quindici Innanzi o Corridori (attaccanti). Al centro della rete di fondo viene montata la tenda del Capitano e dell’Alfiere che hanno il compito di intervenire nelle risse per pacificare gli animi dei propri calcianti. L’incontro viene diretto dal Giudice Arbitro, coadiuvato da sei Segnalinee e dal Giudice Commissario che risiede però fuori campo. Al di sopra di tutti c’è Il Maestro di Campo che sorveglia lo svolgersi regolare della partita e interviene per ristabilire l’ordine e mantenere la disciplina in caso di zuffe sul terreno di gioco.

La partita ha inizio con il lancio del pallone da parte del Pallaio sulla linea centrale e la seguente “sparata” delle colubrine che salutano l’apertura delle ostilità. Da questo momento in poi i calcianti delle due squadre cercheranno (con qualunque mezzo) di portare il pallone fino al fondo del campo avversario e depositarlo nella rete segnando così la “caccia”. È importante tirare con molta precisione poiché qualora la palla finisse, in seguito ad un tiro sbagliato o ad una deviazione dei difensori, al di sopra della rete, verrebbe assegnata la segnatura di mezza caccia in favore dell’avversario. Ad ogni segnatura di caccia le squadre si devono cambiare di campo. La vincitrice sarà la squadra che al termine dei 50 minuti di gioco avrà segnato il maggior numero di cacce”.

In questo tourbillon di emozioni non posso evitare di raccontare tutto il vortice chiassoso che mi circonda. L’ingresso delle due squadre è salutato da bellissime fumogenate realizzate sia dalla curva bianca che da quella verde, le quali si dilettano esponendo anche dei bandieroni copricurva. Non c’è tifo organizzato vero e proprio, ma di tanto in tanto i settori si accendono intonando vari cori e non lesinando offese ed insulti.

Credo che uno scenario simile possa essere paragonato agli stadi pre ultras, quando il tifo era spontaneo e non dettato da megafoni, tamburi e gruppi chiamati a coordinare le persone presenti. È una vera e propria battaglia primordiale, in cui si riconosce ancor più lo spirito antagonista e campanilista dei fiorentini e, forse, degli italiani in generale. Sicuramente uno spaccato essenzialmente utile per capire quanto il movimento ultras, ma in generale il tifo da stadio, sia solo un “effetto collaterale” di un nostro bisogno vero e proprio: quello di metterci in gioco e in opposizione per difendere un colore, un quartiere, una città.

Qua la gente urla, esulta, sbraita e bestemmia. Esattamente come doveva essere quattrocento anni fa. Un filo continuo che rende l’idea di quello a cui si sta assistendo.

Sportivamente la partita non si mette bene per i Bianchi, che in avvio subiscono quattro cacce compromettendo seriamente il prosieguo del match. Alla fine infatti saranno i Verdi ad avere la meglio, raggiungendo i Rossi nella finale del 24. Io, che ero entrato come un perfetto “ignorante in materia”, lentamente me ne sono appassionato, riuscendo a capire minimamente le dinamiche di gioco fino a seguirlo con molto interesse.

Certo, non so fino a quanto sia corretto definire questa disciplina l’antenata del nostro calcio. Complessivamente assomiglia di più al rugby (che è comunque uno sport da cui il football ha estratto parecchie nozioni). Comunque resta una bella particolarità meritevole di una visita e di un approfondimento. Un modo originale e acuto per conoscere meglio le tradizioni del nostro Paese e leggere qualche pagina di storia unitamente al desiderio di partecipare a talune celebrazioni di massa.

Quando sono le 20 gli spalti cominciano a svuotarsi, mentre i Verdi stanno ancora festeggiando sotto il loro settore. L’allenatore dei Bianchi ha appena voltato le spalle ai propri tifosi, dopo esser stato lungamente sotto di essi con le mani al cielo in segno di scusa e gli occhi colmi di delusione.

Il calcio storico è tutt’altro che uno show-business per turisti giapponesi in cerca di fenomeni da baraccone.

Posso andarmene a casa soddisfatto e con il mio bagaglio culturale nettamente rinfoltito. E solo questo varrebbe il viaggio andata e ritorno.

Simone Meloni