Dove eravamo rimasti? Sì, a un pomeriggio di undici anni fa. Due lustri, più 365 giorni. Solito viaggio su rotaia, solite facce al seguito delle tante amate “partitelle” e solita adrenalina in attesa di uno show assicurato. Cavese-Taranto era uno degli spettacoli migliori a cui poter ambire in quegli anni. E il pomeriggio non tradì minimamente le attese. Ho ancor ben impresse nelle mente alcune scene di quella giornata: il Lamberti pieno, la Sud con tutti i suoi striscioni storici, l’arrivo dei supporter jonici a partita iniziata, le tensioni con la polizia, la partita sospesa per gli incidenti e gli animi surriscaldati per le seconde maglie indossate nell’occasione dal Taranto: verdi. Un colore non propriamente caro ai tifosi pugliesi.

E poi ricordo il tifo da ambo le parti. Le torce, i fumogeni, gli striscioni, i tamburi e i bandieroni. L’essenza del nostro mondo racchiusa in novanta minuti (in realtà in oltre due ore, a causa della sospensione). Quelle domeniche sempre così diverse e uniche da farti tornare a casa stanco, stordito ma con qualcosa da raccontare con orgoglio il giorno dopo a scuola. Sebbene, a dire il vero, le abbia tenute quasi sempre per me. Difficile parlare di un mondo così complesso e articolato a chi non va al di là del suo piccolo orticello.

Mi fa sorridere il fatto che, undici anni dopo, per tornare a Cava scelga ancora una sfida tra gli aquilotti e una compagine rossoblu. Stavolta un pochino più a nord di Taranto, ma sempre intrisa di storia sia nella sua componente calcistica che in quella del tifo.

Il Potenza vanta diversi campionato in Serie B e proprio come i metelliani è da anni costretto a dimenarsi nei bassifondi del calcio nazionale, anche a causa di un passato recente a dir poco travagliato, fatto di fallimenti, rinascite e brutte ricadute. Sembra possa essere l’anno buono per il ritorno tra i professionisti, almeno questo dicono gli addetti ai lavori. Di certo in un girone del genere, contrassegnato da cotanta gloria pallonara, non sarà facile per nessuno dettare i ritmi.

Undici anni dopo non ho chiaramente la pretesa di trovare tutto immutato. Non solo la Cavese galleggia ormai da qualche tempo tra i dilettanti, ma tante dinamiche all’interno e all’esterno degli stadi sono cambiate. Così come la geografia della curva biancoblu. Cava de’ Tirreni, nel suo piccolo, ha saputo scrivere importanti storie di tifo che, viste da un’occhio pretenzioso di fare una piccola analisi antropologica pur non avendone i mezzi accademici, rappresentano una vera e propria rarità.

Ciò non vuol dire che i cavesi rappresentino la perfezione (cosa che per me non esiste al mondo) ma è esplicativo di quanto sia importante portare avanti un movimento aggregativo, identitario e inclusivo nel corso degli anni. Esistono pochi casi simili in Italia, ma credo che la formazione di una coscienza comune aiuti soprattutto nelle difficoltà, facendo sì che lo zoccolo duro di una tribù non molli mai e lasci giocoforza ardere il proprio fuoco vita natural durante.

Certo, rispetto a undici anni fa i cavesi non riempiono più lo stadio (ma chi lo fa oggi?) e forse se un tempo a tifo erano da 10 e lode oggi sono da 8.5 (c’è chi nel frattempo è proprio crollato) ma quello spirito originario, che ha fatto conoscere la Sud al mondo intero, sembra resistere. Fuori dallo stadio i ragazzi parlano tra loro spronandosi. “Senza la squadra, senza la nostra Cavese, tutto quello che costruiamo in settimana e sulle gradinate sarebbe inutile” sembrano dire. Vuol dire che un filo trasparente collega ancora intere generazioni, anche in questi nostri asettici anni.

Ho un difetto: apprezzo chi porta avanti le proprie battaglie. Fino alla fine. Lo apprezzo persino se non sono d’accordo. Sarà che essendo un inconcludente cronico ho sempre avuto simpatia per quelli che fanno ciò che dicono o seguono la linea che hanno tracciato inizialmente.

Malgrado il meteo annunciasse piovaschi e maltempo il sole sembra tenere alla grande, tanto da permettermi un buon “antipasto” di partita con una bella passeggiata tra i caratteristici portici del centro storico. In tanti girano con maglia e sciarpa biancoblu già qualche ora prima della partita, e questo sempre un bel segnale.

Il primo impatto con lo stadio non è certo dei migliori. Anche a queste latitudini la struttura è stata ingabbiata dai cancelloni teoricamente adibiti al prefiltraggio. Tante volte credo che gli ultimi quindici anni per i nostri impianti sportivi siano stati un po’ come gli anni ’60/’70 per il territorio italiano, quando tutti si improvvisarono costruttori smembrando letteralmente bellissime zone d’Italia in favore delle oscene colate di cemento che ancora oggi appaiono ai nostri occhi. Bene, fatte le dovute proporzioni, io direi che si tratta dello stesso modus operandi, anche se con finalità differenti.

Finalmente rimetto piede sul manto verde del tempio cavese. E, benché abbia ormai una certa abitudine che mi ha reso inespressivo di fronte agli stadi, provo un certo piacere. Me lo ricordavo persino più piccolo. Fatte le mie valutazioni giungo subito alla conclusione che potrebbe tranquillamente disputare la Serie B, se non addirittura la massima categoria con qualche aggiustamento. Onestamente: molto bello. Vecchio stampo nella sua anima, abbastanza grande e a pianta circolare. Perciò perfetto per scattare le tifoserie sfruttando la pista d’atletica (sic!).

La Sud presenta già tutti i suoi striscioni mentre nel settore ospiti per ora hanno finto l’ingresso solo qualche decina di tifosi potentini. Ne sono previsti trecento. Un bel numero, sicuramente foraggiato da un campionato che si annuncia ai vertici e da una trasferta che dopo tanti anni torna a essere libera. E forse la notizia del giorno è proprio questa: nessuna limitazione per i supporter lucani. Un bel passo avanti. Soprattutto se si pensa che i gironi meridionali della Serie D sono ormai da anni ostaggio delle folli decisioni di Osservatorio, Casms e – spesso e volentieri – di quelle arbitrali dei singoli Prefetti.

Sarebbe anche ora di tornare un po’ alla normalità. Rispetto al passato che tanti noi hanno vissuto e ben conoscono oggi c’è sicuramente un altro approccio alle gradinate. Sì, ci possono essere tensioni e scaramucce, ma è altrettanto vero che questa decade di repressione e terrorismo psicologico nei confronti dei tifosi ha radicalmente trasformato gli stessi. C’è molta meno scelleratezza nel compiere determinati gesti e in tanti hanno scelto una via più soft. Del resto quando rischi anche otto anni di Daspo (ovviamente in recidiva) per aver acceso una torcia non può essere altrimenti.

Peraltro sottolineo come questi divieti fossero pressoché ingiustificati. Tra le due fazioni vige una rivalità, è vero, ma non parliamo certamente di odio storico e profondo. Una rivalità come ce ne sono tante tra campani, pugliesi e lucani. Ma questo triangolo spaventa le istituzioni, mi sembra chiaro. Chissà che questa non sia l’annata giusta per dimostrare come uno Stato normale possa gestire anche partite di Serie D con rivalità pesanti. La speranza è l’ultima a morire.

Intanto le squadre hanno terminato il riscaldamento e rientrando negli spogliatoi si preparano a fare il proprio ingresso sul terreno di gioco. A rompere la fastidiosa monotonia della musica da stadio (odiosa) ci pensa l’arrivo dei tifosi ospiti che immediatamente si scambiano attestati di stima con quelli di casa. Gli ultras del Potenza si sistemano velocemente, facendo sfoggio delle loro pezze e mettendosi in evidenza con alcuni bandieroni che sventoleranno per tutta la partita. Due lanciacori si arrampicano sulle reti e quasi tutti si tolgono la maglietta mostrando il petto nudo. La gente sembra quella giusta e per la Ovest si potrebbe trattare veramente dell’ultimo atto di una lenta rinascita di cui si è fatta protagonista in questi ultimi anni.

Dall’altra parte gli ultras della Cavese riempiono lo spazio dietro al proprio striscione. Come detto, se si vuol far loro un appunto occorre riferirsi proprio all’aspetto numerico. Con tutte le attenuanti del caso. Poco da dire per quanto riguarda il tifo. Con la squadra che praticamente subisce per l’intera partita, rimanendo in nove contro undici e terminando con il pesante passivo di 0-3, la Sud tiene botta alla grande continuando a cantare, sventolare i propri bandieroni ed accendere qua e là torce e fumogeni. Se un tempo era persino futile sottolineare questo, oggi è ormai un valore aggiunto. Viviamo nell’era in cui la squadra trascina la curva e non viceversa.

Il settore ospiti, chiaramente fomentato dalla vittoria schiacciante, offre altrettanto spettacolo. I potentini sembrano volersi scrollare di dosso gli anni bui e ora cantano e tirano su le mani con ottima continuità. Per loro sarà importante integrare col tempo anche lo spicchio di pubblico non ultras in maniera da creare un blocco costante in giro per l’Italia. Esattamente come oggi.

Cavese-Potenza è anche la sfida tra due diversi modo di fare il tifo. Tamburi e striscioni da una parte, pezze e cori “all’inglese” dall’altra. Io, che sul tifo ammetto di essere nazionalista e quindi di preferire in tutto e per tutto lo stile italiano, non disdegno questo confronto. Anche perché, pur avendo delle preferenze, se un modo di tifare è concepito da tutti ed eseguito alla perfezione risulta come un gran bel vedere. Proprio come gli ultras lucani quest’oggi.

Finisce così con un netto risultato in campo e un bello spettacolo offerto dalle due tifoserie.

Undici anni dopo sono cresciuto, tante cose sono cambiate e alcune non esistono più. Ma anche stavolta il viaggio di ritorno cela una buona soddisfazione per quanto visto. E stavolta, a differenza dei miei stolti compagni di scuola, ho anche qualcuno a cui raccontarlo. Tutto sommato non mi sembra cattivo come inizio di stagione.

Simone Meloni