È una regione piena di contraddizioni la Calabria. Ci pensavo questa estate, percorrendo la Statale 106 da Sibari a Cirò Marina, dove mi trovavo in vacanza. Dalla strada si vede un paesaggio suggestivo, fatto di montagne e vallate che cadono a picco sul mare cristallino. In giornate con il termometro che sfiora i 40° è l’unico rifugio per non morire di caldo.

Ci pensavo inoltrandomi all’interno, nella Sila. Laddove canyon degni dei più bei panorami panamericani si stagliano, venendo di tanto in tanto interrotti da orribili ecomostri, costruiti a sfregio del territorio, della sua gente e dell’immenso bagaglio storico e culturale che questa terra – attraversata e governata da nobili popoli – possiede.

È anche la regione che ti costringe a una romantica traversata di tre ore per passare dal Tirreno allo Jonio. Lamezia Terme e Crotone sono divise da soli 107 km, ma per coprire questa distanza bisogna prima salire sul pullman per Catanzaro Lido e poi da lì, dopo una lauta attesa, imbarcarsi su una vecchia carrozza diesel destinata a percorrere parte della linea jonica.

Per il sottoscritto non è un qualcosa di inadeguato, ma un modo di entrare al meglio nei costumi autoctoni e respirare a pieni polmoni la salsedine che entra dai finestrini, mentre un sole timido ma deciso prova a farsi spazio tra le nuvole. Il resto d’Italia è sommerso dall’acqua e dal freddo, qui la mattinata costringe a togliersi la giacca: semplice magia del profondo Sud.

In pochi ci avrebbero sperato, ma il Crotone si trova al suo secondo anno di Serie A, ancora in piena lotta per ottenere il pass al terzo. Un vero e proprio vanto per la piccola città pitagorica, che ormai posso dire di conoscere abbastanza bene essendo alla mia terza visita complessiva.

La sfida con la Roma fa parte di quei match proibitivi che ormai il calcio italiano è solito offrirci. Partite in cui, ad andar bene, la squadra di casa imbastisce qualche azione offensiva, crea un paio di palle gol ma poi finisce puntualmente per perdere, anche se l’avversaria passeggia a ritmo di trotto o schiera le seconde linee. La Serie A è diventata un torneo talmente noioso e prevedibile che qualcuno comincia a provare più emozioni nel seguire anonimi tornei maltesi o ciprioti.

Fortunatamente ci sono le eccezioni, come la Spal, che la sera precedente ha fermato stoicamente la schiacciasassi Juventus. Ma si tratta, per l’appunto, di casi isolati. Più rari della neve in agosto.

Gli ultimi risultati della Roma, coronati dal passaggio ai Quarti di Champions League battendo lo Shakhtar, hanno fomentato l’ambiente e i giornali parlano di 1.500 tifosi giallorossi in arrivo. Dato che, come spesso accade, risulterà abbondantemente fallace.

Rispetto allo scorso anno è notevole la presenza di forze dell’ordine. Non solo allo stadio, ma anche nei punti nevralgici della città. Forse anche uno schieramento esagerato, considerata la sostanziale assenza di precedenti tra le due fazioni.

Faccio il mio ingresso in tribuna stampa quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio. Le gradinate si stanno riempiendo alla spicciolata, con la Sud che registrerà quasi sold out mentre il resto dello stadio offre un buon colpo d’occhio.

Come detto nel settore ospiti non ci sono i 1.500 tifosi annunciati ma credo almeno la metà. Una presenza discreta ma forse un po’ sotto le mie aspettative. È vero che la trasferta non è delle più agevoli (per quanto possa essere scomoda una trasferta del 2018: i tempi delle “trenate” notturne o dei pullman rallentati sono lontani anni luce) e gli ormai “consueti” 35 Euro per un settore ospiti non incentivano gli indecisi, ma è pur vero che la vittoria in Champions di qualche giorno prima, l’unica trasferta al Sud dell’anno e l’orario del match (finalmente domenica alle 15) avrebbero fatto pensare a qualche centinaia di giallorossi in più.

Ma mi appello forse a criteri desueti. Ormai si vede troppo spesso una sufficienza atavica nell’approcciare le gradinate. Svogliata e poco accanita. Cosa che anni fa sarebbe stata impensabile. Un imborghesimento ormai a tutto tondo, che colpisce il tifoso normale come l’ultras. A tal merito non posso non menzionare scherzosamente (ma neanche tanto) tutti quelli che per qualche folata di sano vento marittimo non potranno far a meno di indossare la propria mantellina gialla. Una delle cose più brutte, antiestetiche e ridicole che si possano vedere all’interno dello stadio. Al pari degli ombrelli.

Il tifoso 2.0 non si deve bagnare, non deve prendere il raffreddore, non deve essere esposto al vento e deve cantare con moderazione, per non ricorrere alle cure mediche di mammà. “Disgustorama, disgustomatico!” diceva Luttazzi interpretando uno dei suoi personaggi: il Professor Dervis Fontecedro da Palo Alto. 

Diciamo che questo diktat sarà seguito abbastanza fedelmente quest’oggi dai romanisti. Un prestazione non esaltante, con lo zoccolo duro ultras che fatica a compattare e stimolare i presenti, apparentemente più interessati a osservare stancamente le fasi di gioco che a sostenere la squadra. A foraggiare ciò c’è l’esultanza ai due gol con cui la Roma espugna lo Scida: fiacche, non entusiasmanti e pacate. Certamente legate al poco appeal che queste partite riscontrano (vedi sopra) ma fondamentalmente l’antitesi di quello che dovrebbe significare macinare parecchi chilometri essendo coscienti di potere essere parte integrante del risultato ottenuto sul campo.

Se dovessi sintetizzare la performance dei capitolini quest’oggi direi: scostanti e sottotono. Come spesso gli capita rappresentano quell’alunno dalle capacità infinite che però ne esprime soltanto il dieci percento. “È bravo ma non si applica”.

Su fronte casalingo la sfida si apre con la classica sciarpata sulle note de “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano. Gli ultras pitagorici, non facilitati da un settore divenuto immenso dalla loro promozione in A, si mettono in mostra con un discreto tifo (che coinvolge solo la parte inferiore) almeno fino al raddoppio romanista. Certo, rispetto ad altre volte mi è sembrato di vedere meno colore. In compenso da segnalare un paio di fumogeni arancioni, tipici delle città di mare (le fiaccole orange sono di solito custodite nelle navi e utilizzate come segnali riconoscitivi in mare aperto).

Come avvenuto nella gara dello scorso anno e in quella dell’Olimpico qualche mese fa, i calabresi non lesinano diverse offese ai dirimpettai, i quali rispondono abbastanza superficialmente. Un’antipatia, quella dei crotonesi, che non affonda ovviamente in nessun precedente e in nessuna provocazione iniziale partita dai romanisti. Ripercorrendo la”cronologia del tifo” ricordo che lo scorso anno le offese partirono dopo alcuni cori in memoria di Ciro Esposito. Probabile, quindi, che i buoni rapporti con Catania e la vicinanza ideologica ai partenopei abbia dato come somma un odio preventivo nei confronti dei romanisti.

Al fischio finale è la squadra condotta da Di Francesco a festeggiare, sebbene anche per gli uomini di Zenga ci siano applausi di incoraggiamento.

Le nuvole hanno offuscato il sole e il momento del ritorno si avvicina. Un’altra domenica finita in cassaforte, con la Magna Grecia che mi saluta a suon di raffiche ventose e il sole che va a coricarsi sul Tirreno, dall’altra parte della regione.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Giuseppe Pipita.

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