Lo sapevamo già come vanno le cose in questa città. Ma questo non ci consola affatto. E non ci voleva molto a capirlo, già mesi fa. Lo sapevamo perché avevamo già una bara con il nome del Rimini Calcio alla color run, con un punto interrogativo: mancava solo la data. Era in mezzo ad altre casse da morto coi nomi degli altri sport, tutti inesorabilmente falliti, morti. Per mesi abbiamo cercato di sollecitare la coscienza di una città egoista che non costruisce niente di solido. Siamo stati per questo additati come sodali di De Meis, un presidente ambizioso, vulcanico e rispettoso dei tifosi che ha fatto l’errore decisivo di accollarsi debiti non suoi fallendo così il suo progetto, in totale solitudine. In verità, noi non abbiamo accettato di farne il capro espiatorio di un sistema città che non funziona e non ha mai funzionato con lo sport. Prima di lui ci siamo indignati con la Cocif che ugualmente chiese inutilmente aiuto alla politica e all’imprenditoria locale, prima ancora fu Bellavista a chiedere di costruire lo stadio, prima ancora c’era un altro fallimento del calcio in mezzo a quelli degli altri sport, quasi tutti inesorabilmente caduti. Oggi nei commenti dei giornali finalmente cominciamo a leggere che la città, intesa come amministrazione, imprenditoria, “categorie”, deve assumersi le sue responsabilità, senza demandarle solo ai presidenti di turno, longianesi, romani, marchigiani, toscani, bresciani, arabi, russi, inglesi o emiliani che siano. Perchè non basta fare appelli o tenere le porte aperte. C’è voluta la definitiva ecatombe dello sport riminese per cominciare a considerare che a Rimini succede da anni qualcosa di diverso da tutte le altre città, vicine e lontane. Non ci consola esser riusciti finalmente a introdurre questi argomenti nella discussione. Ma ci chiediamo, alla luce di questo, se è previsto un ruolo per i tifosi nella discussione sulla ripartenza del Rimini. Perchè se non fosse previsto, intendiamo prendercelo. Quei tifosi che, al contrario del sindaco e dell’assessore, allo stadio ci vanno ogni domenica e che – unici a mettersi le mani in tasca – hanno evitato alla città l’onta di non finire nemmeno il campionato.
Ora quella salvezza tra i professionisti conquistata con fatica ed orgoglio sul campo è tristemente dilapidata. Se si vuol ripartire da un progetto “sano” non crediamo possano essere esclusi i tifosi. Speriamo pertanto che questo ennesimo fallimento non venga archiviato con la solita autoassoluzione: prendiamo coscienza che la situazione dello sport a Rimini è una vergogna per la città a tutti i livelli. E soprattutto che questa situazione va cambiata radicalmente.
Per questo non siamo più disposti ad attendere (invano?) un futuro migliore calato da qualche messia di cui non c’è traccia, nè a fare noi stessi appelli che cadono nel vuoto.
Ci rammarichiamo se non siamo riusciti, come tifoseria, a salvare il Rimini. Era al di fuori della nostra portata sia per entità economica che per le tempistiche previste dall’iscrizione. La “colletta dell’orgoglio” è stato sicuramente un fatto encomiabile e che ci fa onore, ma evidentemente insufficiente alle esigenze attuali. Dobbiamo quindi cercare di avere l’ambizione di cambiare il corso della nostra storia anzitutto cambiando l’approccio a quello che è il rapporto con la squadra della nostra città: crediamo che se la stessa tifoseria fosse in grado di costruire una base economica su cui poi costruire la società del Rimini le cose non potrebbero che migliorare. La situazione nefasta in cui siamo stati fatti, ancora una volta, sprofondare, ci impone la ricerca di soluzioni inedite. Non abbiamo più nulla da perdere.
Lanceremo nei prossimi giorni un’assemblea della tifoseria per valutare la possibilità di un sostegno economico popolare verso la squadra della nostra città.
Ora più che mai non possiamo mollare, dimostriamolo.
RIMINI SIAMO NOI!

– CURVA EST RIMINI –