Qualche tempo fa avviamo una rubrica dal titolo “Ask & Answer”, “Domande e risposte”, con cui rispondendo pubblicamente ad alcune domande ricevute in privato via email o canali social, cercavamo anche al contempo di allargare il dibattito su varie questioni di attualità. La (buona?) pratica s’è persa nel solito tran tran quotidiano, schiacciata dai tanti impegni. Torniamo a farlo oggi, ad una domanda di un nostro lettore sul comunicato congiunto di alcune tifoserie italiane dopo la cosiddetta “eliminazione della tessera del tifoso”.

 

Ciao, buongiorno. Volevo chiedere se avevate notizie un po’ più precise inerenti questo comunicato, firmato da gruppi che in teoria hanno battagliato e non chinato la testa sulla questione tessera. Ma come mai sono presenti, in firma, gruppi che si sono tesserati o che hanno sottoscritto la “Away Card”? E perché gli altri gruppi lo hanno firmato, nonostante la presenza di tali gruppi che ci hanno voltato le spalle?
Grazie.
DT.

Buongiorno D., bisognerebbe chiederlo a loro direttamente per avere una risposta più aderente possibile alla realtà. Anche se credo sia difficile avere una risposta univoca da un movimento “multiforme”, esistente da tanto tempo, composto da tante realtà e con diverse e sostanziali differenze al suo interno.

Una parte del movimento ha perseguito una strada molto più oltranzista e “pura”, senza sottoscrivere tessere di sorta, preferendo rifiutare e cercare la sopravvivenza della propria realtà nelle gare interne, dando poi corpo a tutta una serie di attività extra-stadio per far gruppo quando la trasferta (inaccessibile per loro) li obbligava a stare a casa. Alcuni sono riusciti più o meno a tenere insieme il proprio gruppo, altri praticamente, ad un certo punto, si sono resi forse conto che la linea oltranzista stava diventando autodistruttiva e così fra i tanti estremisti del “No alla tessera” della prima ora, molti hanno cominciato a ritornare sui propri passi. Qualcuno, come nei fallimenti pilotati, ha scelto addirittura di sciogliere il gruppo per rinascere sotto nuovo nome e forma pur di avere la coscienza pulita e tesserarsi (ammesso e non concesso che sia giusto parlar di coscienza, in questi casi).

Poi, per fortuna di tanti, sono arrivate le tessere “Away” per le trasferte o “Home” per sottoscrivere gli abbonamenti, e tanti si sono auto-convinti o hanno cercato di convincere i propri adepti che non fossero delle tessere del tifoso. Sul varo di queste tessere di diverso tipo, ci hanno lavorato molto gli avvocati vicini al movimento, Contucci, Adami ecc., e ciò per tanti bastava a ritenerle una scelta percorribile, una sorta di piccola vittoria, una proposta propria e alternativa rispetto alle imposizioni calate dall’alto da Osservatorio e Ministero. Per questi ultimi, le stesse Home+Away erano conformi al programma tessera del tifoso e per questo non hanno poi posto veti di sorta. E a suffragare questa idea vi è il fatto che dopo qualche tempo le stesse Home e Away sono state mandate in pensione dalle società perché “le criticità sono state superate e le tessere parziali sono state rese obsolete ed inglobate nelle vecchie tessere full” e così un po’ tutti hanno sottoscritto più o meno la stessa tessera che in principio avevano rifiutato. Ma da semplice osservatore, direi che ci può stare: è una scelta anche logica ed è assurdo continuare a porre questioni etiche o morali in un mondo, come quello ultras, dove è onestamente sciocco o almeno discutibile parlare di etica. Dopo i primissimi tempi in cui la contrapposizione fra tesserati e non era asprissima, forse gli stessi tifosi hanno cominciato a rendersi conto che non si trattava d’altro che dell’ennesimo “Divide et impera” a vantaggio dei poteri forti: mi sovviene sempre la prima partita del post tessera a Pisa, quando si registrarono fortissime tensioni ed anche qualche schiaffone fra le due fazioni, a fronte dell’ultima stagione dove tesserati e non tesserati nerazzurri, senza divisione, hanno fatto muro dapprima contro lo scempio societario e poi per lo stillicidio di diffide strumentali post Pisa-Brescia. A tifoseria frammentata, forse la loro protesta non avrebbe avuto tutta questa forza e questa eco.

Ed oggi eccoci qua di fronte a questa presunta abolizione della tessera del tifoso, che forse non è una abolizione vera e propria ma più che altro una “smaterializzazione” della stessa. Strada percorribile a cuor leggero da parte della politica nostrana, anche perché ormai son quasi tutti tesserati e non basta più quel semplice pezzetto di plastica a far da discriminante. Come dicevano non a torto quanti avevano sottoscritto la tessera sin da subito, le stesse restrizioni (art. 8 e 9 su tutti) valgono su ogni titolo d’accesso, compreso anche il biglietto che richiedeva le stesse credenziali (documento e passaggio attraverso il sistema “Questura online”) della tessera. In quel caso, per la stessa sterile contrapposizione morale, gli acquirenti di biglietto guardavano i tesserati dall’alto in basso per il fatto che il biglietto (o il voucher o la Away) non contenesse una propria foto, convinti che ciò significasse assenza di controlli di polizia.

Le cose sono realmente cambiate oggi con questa presunta riforma? Hanno ragione certe tifoserie ad esultare?

Il calcio, adesso come adesso, ha bisogno vitale di un’iniezione di pubblico e consensi e l’unica categoria realmente agevolata da queste presunte innovazioni è quella degli occasionali, che potranno avere un migliore e maggiore accesso ai vari tagliandi di accesso.

È davvero una vittoria per gli ultras se non esiste più un pezzo di plastica ma sono state sdoganate le registrazioni dei dati biometrici all’ingresso? È davvero una vittoria se i contestatissimi articoli 8 e 9 sopravvivono immutati? È una vittoria se i daspo, per tali articoli, deve essere scontato due volte come nel più assurdo e kafkiano stato di polizia? È una vittoria se la possibilità di dispensare daspo, anche a tempo, è stata allargata anche alle stesse società?

Non lo so, onestamente non mi pare. Però, oltre agli occasionali, ritengo questa una piccola vittoria simbolica per quelle tifoserie che non hanno mai fatto un passo indietro sulla questione, con una coerenza forse deleteria e auto-flagellante. Per quelle tifoserie che lo hanno fatto al di fuori del tentativo di corporativismo di “movimento ultras” (o di quella che, al di là della sigla, ne è la prosecuzione) e anche per queste stesse tifoserie consociate: si possono dire mille cose e persino le peggiori cose sul corto-circuito ideologico di queste iniziative, ma avendo avuto il piacere di conoscere da vicino tante di queste realtà, io sulla loro buonafede ci metto la mano sul fuoco. Almeno su larga parte della loro rappresentanza: poi è ovvio che anche al loro interno ci sia chi vive a rimorchio e solo per godere di luce riflessa, ma questa è un’altra questione.

Ovviamente è chiaro che l’apparato calcistico-politico continuerà a concedere i Chievo-Atalanta e vietare i Verona-Atalanta, tanto per fare un esempio, ma poter rivedere i nerazzurri in trasferta, anche solo per un momento, quando non li si vedeva ormai da tempo immemore, è un piccolo premio che loro – come altre tifoserie che al loro pari hanno sempre lottato – si meritano sicuramente. Poi è chiaro che (come tra l’altro hanno detto anche loro nel comunicato unitario) la battaglia non si può fermare qui e che sono ancora tante e forse persino di più le storture da cambiare, ma almeno qualcosa si muove. E l’unico modo per cambiare le cose è ponendo in maniera unitaria le istituzioni di fronte a questi obbrobri giuridici, muovendo vertenze legali contro gli abusi di potere, contro le leggi inique e campagne mediatiche contro l’asservimento dei media tradizionali alla verità di parte di chi detiene il monopolio del potere e della violenza.

Gli ultras non si devono istituzionalizzare? Devono rimanere clandestini e ribelli? Potrebbero delegare, come nella questione tessera, i loro legali di fiducia o altre persone deputate a farlo per loro conto senza che si espongano personalmente e continuino ad alimentare il corto-circuito della sovraesposizione quasi spettacolarizzata dei singoli appartenenti ad un movimento che aveva e continua ad avere nel collettivo la propria forza. Su quanto sia opportuno ancora parlare di clandestinità e ribellismo negli stadi del 2017 è forse meglio stendere un copricurva pietoso.

Personalmente non sono ottimista, non trovo niente da esultare, non vedo il futuro così roseo ma, ripeto, che certe tifoserie si godano questa piccola grande vittoria simbolica lo trovo a dir poco sacrosanto.

MF