Dopo la sbornia di Trani-Fasano, di cui conservo ancora negli occhi la masnada di tifosi festanti e nelle orecchie i cori incessanti per tutti i 90′, non esito nel buttarmi a capofitto in una sfida che già dalla sua designazione si presenta davvero interessante.

Chieti-Giulianova è un derby. Uno dei tanti che contraddistinguono il nostro calcio, direte giustamente voi. Tuttavia quella tra neroverdi e giallorossi è anche una sfida tra nobili decadute che ormai da troppi anni provano a ritornare nell’eden del pallone per poi ritrovarsi puntualmente al punto di partenza. Triste cartina al tornasole di come vanno le cose nello sport italiano e in particolar modo di come vengono gestiti innumerevoli club del centro-sud, abituati saltuariamente a festeggiare un traguardo sportivo conservando un sano scetticismo che – a ragione – troppo spesso si rispecchia in vere e proprie catastrofi.

Di sfide bollenti la terra d’Abruzzo ne ha sempre offerte tante. E anche oggi, che il nostro mondo risulta annacquato e spesso insipido, lo scontro tra giuliesi e teatini offre comunque degli ottimi spunti.

A tal proposito, manco a dirlo, ci pensa anche il Comitato Regionale a porre ulteriori ostacoli sulla strada di due tifoserie già falcidiate dalla sorte. La finale di Coppa Eccellenza, infatti, si disputa a Città Sant’Angelo (non proprio il miglior stadio della regione) e soprattutto in un orario a dir poco svantaggioso per tutti: le 15.

Questa scelta è arrivata al termine del classico e stucchevole conciliabolo all’italiana, fatto di capovolgimenti e promesse disattese. Le due società avrebbero voluto disputare la partita di sera, con il normale intento di favorire un maggiore afflusso di pubblico. Per rendere possibile ciò e contestualmente evitare campi come Pescara o Lanciano, che secondo i sommi cervelloni chiamati a disquisire avrebbero messo a repentaglio l’ordine pubblico (parola d’ordine del ventunesimo secolo, sic!), i dirigenti avevano addirittura optato per il Fadini di Giulianova, facendosi garanti di tutta la macchina organizzativa.

Un atteggiamento talmente maturo che non ha comunque trovato il riscontro positivo della Lega, ufficialmente “preoccupata” di mantenere l’imparzialità e la neutralità sportiva (quando si dice l’integerrima coscienza dei dirigenti calcistici, sic-bis!). Ufficiosamente forse solo vogliosa di lavarsene le mani, ponendo il calcio d’inizio in un luogo e in un orario che permettesse a meno persone possibile di assistere alla sfida.

Terminata questa doverosa prefazione, utile a non far dimenticare mai quanto bugiardo e ipocrita sia quello slogan che vorrebbe le famiglie allo stadio, possiamo accendere i riflettori su ciò che più ci interessa: il comportamento dei tifosi. Che ovviamente, malgrado tutto, hanno deciso di prendere parte allo spettacolo. Con la chiara preponderanza dello zoccolo ultras.

Città Sant’Angelo si erge su una collina, 320 sul livello del mare. È un mercoledì dal tempo incerto e venendo da Roma ho incontrato neve e pioggia sulla dorsale appenninica. Fortunatamente avvicinandomi al mare Giove Pluvio chiude i rubinetti, lasciando spazio a una coltre nebbiosa che disegna un paesaggio quasi spettrale guardando la vallata che dal centro abitato volge verso l’Adriatico. Neanche il clima è dalla parte di questa finale.

Un’ora prima del calcio d’inizio opto per un piccolo giro di perlustrazione attorno allo stadio, ricordandomi tutto d’un colpo di esser già stato da queste parti. Inizio anni 2000, campionato di Serie D. Renato Curi Angolana-Albalonga. Ricordo sfocati che piano piano riemergono, facendomi porre dei legittimi quesiti sulla mia sanità mentale già in fase adolescenziale.

Il dispositivo di sicurezza è di quelli importanti. Transenne e camionette sono piazzate un po’ ovunque, così come le strade di avvicinamento all’impianto sono sorvegliate attentamente, per scongiurare probabili incontri tra le opposte fazioni, obbligate a percorrere per un buon tratto la stessa strada.

Ritiro l’accredito e dopo aver superato i ferrei controlli all’ingresso (con tanto di telecamerina puntata verso chiunque varchi i cancelli) sono sulla pista d’atletica con tanto di pettorina addosso.

I primi a mettere piede sulle gradinate sono i giuliesi, che lentamente si compattano dietro lo striscione “Uniti per vincere” e alle classiche pezze che da qualche tempo contraddistinguono gli ultras giallorossi. Sul fronte opposto gli ultras del Chieti fanno il loro ingresso tutti assieme, sistemando lo striscione degli Ottantanove e quelli degli amici monopolitani.

Le ore che hanno preceduto questo mercoledì d’inizio febbraio sono state funestate dall’ennesimo, pesante, provvedimento della Questura nei confronti di Frank, storico personaggio del tifo teatino rientrato proprio in novembre da una lunga diffida: quattro anni di ulteriore interdizione con due firme, più di un anno di reclusione e quindicimila euro di multa.

Nella fattispecie allo stesso è stata contestata la violazione di un Daspo per aver frequentato i ragazzi dello stadio, assieme a una tifoseria gemellata, a due ore dal termine della partita. Un accanimento che purtroppo chi frequenta il nostro mondo conosce bene e che lascia davvero basiti, mandando il pensiero a casi simili che vogliono ormai da anni noti leader di grandi curve fuori o addirittura esiliati dalla propria città.

Appare chiaro come, soprattutto in piccole realtà di provincia, non si perde l’occasione per distruggere e perseguitare chiunque abbia il minimo potere di fare aggregazione e compattare movimenti da sempre mal visti e combattuti come quello ultras. Senza fare retorica o inutili piagnistei. Credo sia un dato abbastanza incontrovertibile.

La cosa non è ovviamente passata inosservata neanche ai giuliesi, che durante la partita esporranno uno striscione in merito intonando cori contro la repressione assieme ai rivali neroverdi.

Quando le due squadre rientrano negli spogliatoi la cornice di pubblico è pressoché completa. E, a dirla tutta, non è neanche delle peggiori tenute in considerazione le difficoltà di cui sopra. Sono circa 800 i presenti.

Le squadre fanno il proprio ingresso sul terreno di gioco e le due tifoserie cominciano a riscaldare i motori. Il settore giuliese si colora con una bella fumogenata giallorossa, scandendo a gran voce i propri cori. Per quanto riguarda i teatini, nulla di particolar per l’aspetto coreografico ma sin da subito mostrano di non voler lasciare nulla al caso cantando a gran voce al ritmo del proprio tamburo, facendo mostra del solito materiale molto curato.

Liquido in poche parole la questione tifo, che come noto non amo particolarmente affrontare. Penso che oggi non si possa davvero imputare nulla ad ambo le tifoserie. 120′ di partita più i calci di rigore in cui praticamente le curve hanno sempre cantato, facendo veramente prevalere l’assioma “meno quantità, più qualità”. Manate, cori a rispondere, buona dose di pirotecnica, partecipazione attiva alla partita con gioia e sofferenza annessa e davvero un bel senso di appartenenza.

Senza tanti giri di parole: una di quelle partite in cui dirigenti calcistici e federali dovrebbero stendere il tappeto rosso agli ultras. Pensiamo solo all’eventuale assenza delle tifoserie e al desolante acquario in cui questa sfida si sarebbe giocata. Se si cerca il modo per svalorizzare il calcio, soprattutto quello regionale, la linea tracciata negli ultimi anni è senza dubbio quella corretta.

Malgrado la superiorità tecnica in campo il Giulianova non riesce a trovare il gol e, anzi, il Chieti regge bene e nel finale esce impaurendo gli avversari. Il vincitore sarà decretato dalla lotteria dei calci di rigore.

Il dischetto premia i giuliesi e regala l’ennesima delusione al popolo teatino, dando il la alle classiche scene di giubilo e disperazione previste da ogni finale che si rispetti.

I giallorossi accedono alla fase nazionale, dove affronteranno il Vastogirardi, mentre il Chieti può solo rituffarsi a capofitto in campionato dove però, proprio a causa della corazzata adriatica, il successo appare alquanto difficile da raggiungere.

Il freddo ha cominciato a stringere seriamente Città Sant’Angelo e per me è giunto il momento di incamminarmi verso Pescara, per salire sul pullman che mi riporterà nella Capitale. Lascio l’Abruzzo soddisfatto e speranzoso che queste due tifoserie (e i loro storici sodalizi) possano riconquistare il palcoscenico che meritano. Il calcio italiano ha bisogno di tornare a ospitare piazza affamate di pallone e ricche di tradizione.

Simone Meloni