Che poi uno, alla soglia dei 30 anni, a raccontare certe cose si dovrebbe vergognare. C’è gente che per salvaguardare la propria misera dignità ha rinnegato persino foto che li vedeva ritratti con il compagno secolare di trasferte dietro ad uno striscione o con una genuina torcia in mano. Ma io sono sempre stato convinto che se si nasce quadrati non si muore tondi. E viceversa. Così partendo da questo assioma parageometrico, vi racconto una strana notte in casa Meloni.

C’era una volta. Anzi no. Questo fa troppo Cenerentola. E visto che gli ultras di donne, per definizione, ne hanno sempre visti poche, meglio lasciar perdere scarpette perse, balli di gala e sorelle racchie che tanto non ce l’avrebbero data alla stregua della sfortunata strafica resa nota dalla Walt Disney.

Diciamo allora così: in una notte qualsiasi, di un anno qualsiasi a ridosso del 2000, ho la brillante idea di coricarmi. Come tutte le notti precedenti del resto. Quando si attraversa l’adolescenza le cose si vivono con trasporto, a volte eccessivo. Dopo il classico dormiveglia cado così nelle braccia di Morfeo (non Domenico, il poliedrico fantasista di Atalanta, Parma e Fiorentina). Il sonno si protrae beato e felice. Ma il colpo di scena è dietro l’angolo. Come la porta del tempo nel cartone Doraemon, mi si apre davanti uno scenario del tutto inaspettato. Sono dentro casa, ma ho il sentore che qualcosa stia per succedere. Dal salone avverto un suono di tamburi e secondo dopo secondo odo sempre più i cori da stadio.

Ma cosa sta succedendo? Come è possibile che nel mio, tutto sommato tranquillo, quartiere ci sia un corteo e per giunta di ultras? Fatto sta che le domande, oltre a non trovare una risposta logica, divengono ben presto merce da relegare in archivio. La realtà si fa prossima. Ho timore ad aprire la porta. Forse ho fatto qualcosa a qualcuno. Magari uno dei miei corrispondenti su Supertifo non ha trovato gradevole il materiale scambiato. Oppure qualche lettera non è arrivata a causa del centesimo francobollo riutilizzato cancellando il timbro postale grazie alla colla Pritt appositamente passata prima della spedizione.

Non lo so. Non ragiono più. Ma non è il momento di esser codardi. L’uscio è là a pochi metri. Sollevo il tappino e guardo. Davanti niente. A destra niente. Ma a sinistra trovo tutte le risposte alle mie domande. Ecco il corteo. Ecco i tamburi. Ecco i cori. Striscione in mano. Ultras, con il teschio alato. Dietro di loro gli stendardi delle sezioni. UCN Noci su tutti. Stanno marciando verso casa mia.

Ma perché? A memoria non conosco nessuno di Bari e neanche ho mai avuto modo di interagire con qualcuno di loro. Eppure poco gliene importa. Questi vengono, ed io sono solo dentro casa, sono ormai come Gaeta assediata dall’esercito Piemontese.

Arrendersi mai. Ma difendersi sempre. Provo a barricare la porta. Sedie e materassi. Ma c’è poco da fare. In men che non si dica sfondano ed entrano nel mio appartamento continuando il loro corteo, con tanto di bandieroni, devastando tutto.

Non mi rimane altro che fuggire sul terrazzo e calarmi al piano di sotto (questa peraltro è un’azione ricorrente nei miei sogni, tanto che qualche anno fa, quando fui costretto a realizzarla per rientrare in casa dopo che un saggio fabbro aveva deciso di distruggermi la serratura nel pieno delle sue attività lavorative, provai una strana sensazione).

Fortunatamente vivendo al secondo, ed anche abbastanza basso, non ho problemi. Ma la casa è andata. Gli ultras me l’hanno tolta. Ed io da lontano osservo il mio balcone ormai adibito a Curva Nord. Anche un bel tifo ad esser sinceri, non fosse casa mia me lo godrei in pace. Ma purtroppo, lo è.

Riesco a svegliarmi di soprassalto. Strizzo gli occhi. È tutto finto e tutto finito. Ma forse è il caso di smetterla con tutte queste menate sulle fototifo e sui giornalini che riportano questa piuttosto che quell’altra tifoseria in fermento a destra e a manca. Con lo zio Nick a gettare acqua sulfurea nelle menti di idioti come il sottoscritto.

All’indomani sarà il racconto della giornata assieme ai compagni dell’epoca. Tra risate, prese per il culo e domande semiserie sull’andamento del sogno.

Era bello quando questo mondo ci permetteva persino di sognare questo genere di cose. Era sintomo di come fosse pregno di divertimento, genuinità e spensieratezza. Oltre ad una galassia di “cazzaroni” che se ne fregava altamente della mia casa che diventava bottino di guerra degli Ultras Bari, perché tanto loro sarebbero stati pronti là a scattare e chiedere adesivi e sciarpe in cambio. Malati di mente.

Simone Meloni.