I più ottimisti parlano di un movimento ultras malato terminale.
Gli altri di un cadavere già morto e sepolto.
Io, come di fronte ad un grande lutto, continuo a rifiutare l’idea e mi aggrappo a quel che resta.
Sono cresciuto in una curva che mi somigliava molto.
O bianco o nero.
Nessuna via di mezzo ed una coerenza che alla lunga è stata la mia, la nostra condanna.
Io, in fondo, sono ancora quello di dieci anni fa.
Il ragazzino cocciuto ed idealista che non si voleva arrendere ai cambiamenti.
Un codice di regole tutto suo che non permetteva sgarri.
E per questo mi sono ormai chiamato fuori e quella curva che è stata casa mia, come di tanti altri, ora è solo un ricordo.
Distinguersi per non estinguersi” recita un vecchio adagio. E la chiave sta proprio lì.
Coerente, in cuor mio, so che fino in fondo non lo è mai nessuno, quindi tanto vale provare a reggere il confronto con il tempo che va.
Provare a cambiare, per non morire.
Il rischio altrimenti è quello di diventare le controfigure di sé stessi.
Entella-Pescara mi ha aperto gli occhi, ancora una volta.
Non mi era piaciuto vedere i pescaresi fare l’Away, a suo tempo, e, in tutta onestà, dopo i tira e molla sull’apertura del settore ospiti in settimana, io me ne sarei stato comunque a casa.
Voglio decidere io quando, come e dove andare in trasferta, non la questura o l’osservatorio di turno.
Il bianco o il nero. L’utopia totale.
Non nutrivo molte aspettative sulla Chiavari ultras. Una realtà troppo giovane, l’ombra di Genova, una città tendenzialmente fredda.
Tutte idee prontamente smentite.
Perché i pescaresi dentro sono compatti. Belli da vedere. Rumorosi. Un tifo di alto livello già dal riscaldamento.
Dall’altra parte la nuova Gradinata Sud Chiavari mi sorprende. Non tanto per il tifo in sé ma per la crescita costante che stanno avendo. Per l’ottimo lavoro che stanno facendo con la città, coinvolgendola con iniziative e sconti sui biglietti. Per l’onesta con cui parlano di sé stessi ed analizzano la propria realtà.
Tutte questioni che la mia coerenza malata fatica a comprendere ma che sembrano dare nuova linfa ad un movimento col fiato corto.
Lungi da me utilizzare toni entusiastici però è bello vedere che ancora si muove qualcosa.
Hanno ragione loro e me ne accorgo.
Cambiare non è un male, anzi.
Cambiare a volte è l’unico modo per continuare a vivere.
Mentre sistemo macchina fotografica e appunti nello zaino, dalla curva di casa si alza forte un coro. “Domenico” gridano i ragazzi di Chiavari, in ricordo dell’ultras pescarese ucciso nel 2012.
Gli ospiti rispondono con un applauso.
Qualcosa di ciò che era, resterà per sempre.
E allora, perché non crederci ancora?

Tienimi stretto un po’ più forte
finché riusciamo ad andare oltre
immagina possibile un’altra verità”.

Gianluca Pirovano.