Cassino-Formia non è un derby, ma è “il derby” per tanti. Le granitiche generazioni che hanno vissuto questa sfida negli anni ottanta, la ricordano come quella più attesa, sentita e vissuta con passione. E il discorso ultras c’entra fino a un certo punto. Cassino e Formia sono separate da 40 km. Una si affaccia sul mare, facendo da proscenio alla zona costiera più bella del Lazio, l’altra è circondata dai monti, vegliata dall’Abbazia e da una storia che l’ha resa celebre non solo in Italia.

Lungi da me fossilizzarmi per l’ennesima volta sul passato glorioso e sugli antichi fasti del tifo italiano, ma una cosa va detta: ucciso l’amore per il calcio, tramortita quella magia che ammantava questo genere di match a suon di divieti, restrizioni e campagne mediatiche pilotate da un malevolo terrorismo psicologico, si è perso gran parte del fascino del calcio. Non me ne voglia nessuno. Se viene a mancare la classica vecchietta o il vulcanico signore della domenica che si infervora all’arrivo dei tifosi ospiti, insultandoli in dialetto, o se vengono meno le basi di una rivalità campanilistica e il pathos della sfida, che senso hanno queste partite? Mi accorgo di quanto in Italia i derby siano cambiati, proprio in simili occasioni. Gli ultras non “vincono sempre”, come recita un inflazionato motto curvaiolo, ma quanto meno sono gli ultimi custodi di un modo “retrogrado” (come piace definirlo ai “marchesi” con la puzza sotto al naso, tipici ormai dell’ambiente) di intendere il calcio. Uno sport seguito da sempre meno appassionati, i quali hanno lasciato spazio a semplici spettatori. E a uno spettatore di vedere una partita di Eccellenza non frega assolutamente nulla. Al massimo ci va con lo stesso spirito con cui potrebbe visionare un cinepanettone.

Cassino-Formia di oggi lo vivi innanzitutto negli occhi e nei discorsi dei vecchi delle due curve. Sono stati loro a tramandare ai più giovani le storie, la rivalità e i cori partoriti dalle balaustre dei dì che furono. Su ambo i fronti, ad esempio, resta storica la finale di Coppa Italia dilettanti della stagione 1984/1985 disputata allo stadio Dei Pini di Viareggio. L’esodo dei supporter, l’incredibile vittoria di un Cassino che militava in Promozione, a fronte del più quotato Formia allora in Interregionale (non esisteva l’Eccellenza) e poi i tantissimi match in campionato. Al Perrone come al Salveti. Storie di vita vissuta, acre odore di fumogeni e torce infiltratosi per sempre nei polmoni di chi, nel suo piccolo, ha scritto pagine memorabili del tifo laziale in quegli anni.

Ci si ritrova di fronte dopo ben 11 anni, con tanta acqua passata sotto i ponti e tante delusioni smaltite dagli aficionados dei due sodalizi. Nel bel mezzo di questi due lustri il Cassino è fallito, ripartendo dai bassifondi e facendo perdere traccia nei radar dei pallonari meno attenti; il Formia è invece mestamente retrocesso in Promozione, risalendo la china lo scorso anno, grazie a un magistrale successo in campionato che gli è valso il salto di categoria e il nuovo approdo al gradino più alto del calcio regionale. Il destino ha fatto il resto, mettendo di fronte le due squadre all’inizio del campionato.

E allora parliamone. Quando manca un’oretta al fischio d’inizio, diversi tifosi di casa sono radunati davanti al centro commerciale, a pochi passi dallo stadio. Il sole già picchia forte, in una giornata che si contraddistinguerà per l’afa. Qualche fumogeno si disperde nell’aria, e il suono del tamburo scalda l’ambiente di una Laterale Sud per l’occasione radunata in strada.

I tifosi ospiti hanno deciso di raggiungere il Salveti in automobile e un ingente dispiegamento di polizia sbarra molte delle vie d’accesso all’impianto, impedendo al settore di casa di entrare in comunicazione con quello riservato ai formiani. Nulla di sorprendente, anzi, di questi tempi bisogna restare esterrefatti di fronte all’assenza di divieti e restrizioni. Incredibilmente i tifosi tirrenici possono arrivare fin sotto i botteghini e acquistare un tagliando senza esibire documento alcuno. Roba d’altri tempi, insomma. Roba da Paese normale.

Entro sul terreno di gioco quando manca un quarto d’ora dall’inizio. L’impatto è sempre di quelli positivi. Stadio di vecchia fattura, con quelle curve basse e in cemento, ora chiuse al pubblico ma un tempo in grado di ospitare centinaia di spettatori, che rendevano l’impianto uno dei più grandi della zona. Mentre gli ultras del Cassino consegnano una targa ai figli di Strument, storico tifoso biancoblu recentemente scomparso, le due squadre rientrano negli spogliatoi.

Un denso fumo bianco si alza da dietro gli alberi incastonati nel settore ospiti. Abbinato al chiassoso suono dei clacson, annuncia l’arrivo dei tifosi del Formia. Probabilmente la polizia li sta rallentando, convogliandoli verso i botteghini. Si ode subito il coro “Finchè vivrò odierò Sora e Cassino” al quale i padroni di casa rispondono immediatamente con il classico “Piscia-piscia-piscia-pisciaiuò!”. Ora il derby è davvero iniziato, benché i tirrenici debbano ancora fare il loro ingresso fisico sulle gradinate.

Le due squadre entrano in campo, salutate dalla bella fumogenata della Laterale Sud. Il pubblico è discreto nella tribuna centrale, mentre nella zona occupata dal tifo organizzato di casa, i ragazzi si dispongono sulle classiche pezze formando un buon quadrato. Inutile fare raffronti con il passato, come detto ormai questo genere di sfide interessano quasi esclusivamente gli ultras o quei pochi matti ancorati al cuore del pallone, rappresentato dall’attaccamento alle proprie origini, che rende la passione calcistica un qualcosa di ben più grande rispetto al semplice interesse per una disciplina sportiva.

Entrano i formiani. Ora lo show è completo. In totale sono un centinaio, tra ultras e pubblico normale. Anche qui, numeri non certo da capogiro. Ma sfido chiunque a fare meglio di questi tempi. Parliamo pur sempre di piazze calcisticamente martoriate, che inoltre debbono subire la classica repressione dei giorni d’oggi e un orario federale, quello delle 11 di mattina, che non favorisce certo l’afflusso di massa. Gli insulti si sprecano, mentre in campo si mette subito bene per il Cassino. L’1-0 su rigore apre una giornata che si rivelerà a dir poco da incubo per i dirimpettai. Basti pensare che le due squadre andranno all’intervallo sul 5-0, un qualcosa che personalmente non mi era mai capitato di vedere.

E le curve? Beh, difficile restare impassibili di fronte al susseguirsi dei gol. I cassinati ovviamente in visibilio spingono sull’acceleratore, offrono una prova pressoché impeccabile per continuità, colore e intensità. Ma se qualcuno si aspetta una resa immediata dei formiani, si sbaglia di grosso. In questi casi ci sono due cose da fare: andarsene o salvare la faccia almeno a livello di curva. E il fatto che i ragazzi della Coni abbiano optato per la seconda, va tutto a loro appannaggio. Da segnalare una simpatica coreografia con le ciambelle e lo striscione “Scusate, ma a settembre siamo al mare”. Oltre a un altro striscione, applaudito da tutti, di ringraziamento ai Fedayn Cassino, per la vicinanza mostrata in occasione dell’incidente occorso al giocatore formiano Andrea Scipione. Era il 2015 e il giovane calciatore rimase travolto da un automobile, salvandosi miracolosamente dopo aver conosciuto l’inferno del coma. In quella stessa giornata il Formia sfidava il Lido dei Pini, e la Federazione non volle per nessuna ragione posticipare l’incontro.

Striscioni anche su fronte cassinate. Almeno sotto questo aspetto il derby è rimasto fedele alle origini. Nella ripresa i padroni di casa trovano addirittura il 6-0, mentre io, a bordo campo, sono costretto a sorbirmi le castronerie di un personaggio per nulla avvezzo al pallone. Codesto, con la sua simpatia sorniona, afferma di trovare questi scambi di sfottò a dir poco fuori luogo, maleducati e colpevoli di rendere lo sport una vergogna inaccessibile ai bambini. Proprio mentre alcuni bambini seguono i cori poco cavallereschi degli ultras. Io annuisco, come si fa con i matti, ma dentro di me esulto a ogni improperio che si leva da una parte o dall’altra, pensando ai birilli di moralità e moralismo che vanno giù nell’animo candido del mio interlocutore.

In campo gli ultimi minuti volano via senza più mordente, mentre sugli spalti non posso biasimare più di tanto i formiani, che innervositi dalla scandalosa prestazione dei propri calciatori, nell’ultimo quarto d’ora tirano i remi in barca, disunendosi un pochino e gridando la loro rabbia. Al triplice fischio mister Rosolini andrà sotto al settore, con le mani alzate in segno di scuse. Fortunatamente siamo in Eccellenza, e nessuno verrà a parlare di squadra schiava degli ultras. Anche perché il gesto è spontaneo, nei confronti di chi attendeva questa partita da mesi. Tutt’altro clima dalla parte opposta, come è ovvio che sia. Il Cassino riceve l’abbraccio del suo pubblico, a coronamento di una giornata perfetta, che passerà certamente agli annali del calcio locale.

Sì è fatto tardi, il derby è finito anche per me. L’appuntamento è per gennaio, quando si disputerà il match di ritorno in riva al Tirreno.

Simone Meloni.