Il freddo stringe la prima domenica dicembrina della Capitale.

I volti coperti da cappelli e sciarpe non lasciano trasparire molte emozioni. Eppure sono in tanti ancora là. A salutarlo di nuovo. A omaggiare il suo vocione, la sua anima romanista e il suo portamento talmente unico da esser rimasto nel cuore di centinaia di persone. Pure di ragazzi che non ci hanno mai parlato o che lo hanno intravisto qualche volta da lontano.

Cosa fosse Giorgetto per la Curva Sud non è un qualcosa da spiegare. E quello che lui sapeva è giusto che venga spiegato in silenzio da tutti quelli che se lo sono stampato nella mente. Anche un anno dopo. 365 giorni dal suo ultimo saluto. Da quel momento che per tanti ha sancito uno spartiacque della propria gioventù.

Quando, dopo un derby vinto, ci ha lasciato beffardamente. Beffardo come il suo sorriso o la sua voce baritonale. Beffardo come il destino che spesso fa scherzi non divertenti.

Ma contro il ricordo neanche il fato può nulla.

Ecco perché erano tutti là. Ad omaggiarlo come lui amava. Con i colori che si è tatuato nel cuore prima che sulla pelle. Con le torce, i fumoni e i bomboni che tanto gli piaceva citare nei cori inventati ora sui treni, ora sui furgoni, ora nei settori ospiti.

C’era ovviamente il calcio a fare da sottofondo. C’erano le sfide tra i ragazzi della Sud. Tra i tifosi della Roma che non sono scesi in campo per vincere, ma per deliziarlo a ogni tocco. E lui li ha visti eccome. E tanto per non smentirsi se ne è anche fatto beffa, facendo cadere delle intermittenti gocce di pioggia proprio nel finale. Quando l’odore acre della pirotecnica ha provato ad invadere il cielo.

Forse voleva solo soffiarci sopra, come fossero candeline. Per raccogliere nelle sue mani i regali che tutti quei ragazzi vorrebbero ancora donargli. Ma poi si è girato ed ha cominciato a cantare. E chissà se qualcuno l’ha sentito. Era l’inizio di un nuovo canto. E lui si stava preparando per la prossima partita.

Simone Meloni