“Pestaggio nella curva della Virtus, 5 agenti feriti”. A leggere questo titolo sembrerebbe proprio che ieri in Viale Tiziano si sia consumata l’ennesima “follia ultrà” (come tanto piace scrivere a qualcuno). A leggere determinati articoli si dovrebbe condannare senza appello la solita condotta becera di quei mostri a tre teste che occupano le curve. Perché da una piccola lite per una bandiera si è arrivati ad aggredire la polizia e “addirittura” a far sospendere la partita. Certo, poi il fatto che le cose non siano andate proprio così è un dettaglio. In fondo cercare di capirlo, farsi venire qualche dubbio e approfondire la notizia è roba per feticisti. E probabilmente non fa audience e click come gli articoli di cui sopra. Cercare di decifrare i comportamenti di taluni gruppi e taluni ambienti è opera troppo fine per un Paese che accetta sempre più serenamente il suono dei manganelli al posto di quello della ragione e del buon senso.

Ovvio, nessuno mette in dubbio che una lite personale scoppiata tra due soggetti debba essere ripianata, magari anche estinta sul nascere. Così come nessuno mette in dubbio che chi si rende protagonista di atti violenti vada censurato. Tanto è vero che la sicurezza privata del palazzetto si è impegnata sin da subito perché ciò avvenisse. Lo hanno fatto anche con tatto e misura, condividendo questi spazi da anni con questi ragazzi e conoscendoli per quello che sono, magari a volte esuberanti o sopra le righe ma non dei mostri sanguinari da bastonare a vista. Nella stessa direzione s’è mosso il tifo organizzato, che ha scelto di raggiungere la zona dove il tutto si stava svolgendo per richiamare all’ordine uno di loro e porre la parola fine a una questione che, fino a quel momento, era certamente sgradevole ma di facile risoluzione.

Il perché – di lì a qualche minuto – nel settore abbiano fatto irruzione di prepotenza una decina di agenti, spintonando e calpestando tutti e tutto ciò che gli sia capitato a tiro, resterà un mistero per il resto dei nostri giorni. Una vera e propria voragine che si apre nello “spicchietto” di curva occupato dalle Brigate e una caccia all’uomo nei confronti di quei ragazzi che, forse d’istinto e per difesa (non dimentichiamo mai la disparità di forza in scena), avevano reagito alla carica selvaggia (fortunatamente senza l’uso dei manganelli) in uno spazio angusto e ristretto dove per alcuni minuti si è rischiato davvero il peggio. Fino a che alcuni di loro sono stati portati via con maniere poco ortodosse. Chi per i capelli, chi tirato per i piedi. Come bestie portate al macello.

Ragazzi. Non malavitosi dediti allo spaccio e affiliati a clan camorristici. Per questi ultimi – scusate la demagogia – spesso c’è morbidezza e rispetto delle basilari regole d’intervento.

“Il bilancio è di 5 agenti feriti con prognosi dai 5 ai 10 giorni”. Nessuno lo mette in dubbio. Ma a voler essere maliziosi ci si chiede come sia possibile che prognosi così importanti vengano dettate per agenti che possono usufruire di un corposo armamentario protettivo contro ragazzi disarmati.

E poi c’è stato il pubblico. Principalmente quello “di casa”. Un pubblico che si è arrogato, senza nessun diritto, l’onore di ergersi a giudice supremo di una situazione che – per distanza fisica – non poteva conoscere.

Potevano essere i vostri figli. Potevano essere i vostri nipoti. E potevano persino essere le vostre sorelle, le vostre amiche e i vostri genitori. Eppure avete preferito starnazzare: “Fuori, fuori!”. Voi, come quel fenomenale tesserato seduto in tribuna, che da cinquanta metri di distanza ha dimenticato il suo passato in maglia virtussina e l’assidua presenza di chi ha seguito in ogni palazzo dello Stivale la bistrattata squadra di basket capitolina.

Avete pensato che fosse più importante riprendere una partita di basket che capire cosa stesse succedendo a pochi metri da voi, perché avete usato quel metro di giudizio che la società vi ha inculcato e che voi con gioia vi siete fatti inculcare: perché essere imboccati, prendere notizie e nozioni senza spacchettarle, ponendosi qualche domanda, è la strada più facile. Da sempre. Perché i tifosi sono comunque “il male da combattere”. Loro come i manifestanti. Loro come chiunque provi ad uscire, anche pacificamente, da quel fetido recinto artefatto in cui le nostre città e la nostra società si stanno lentamente e silenziosamente chiudendo.

Così avete applaudito con approvazione l’inaudita e sproporzionata furia degli agenti in tenuta anti sommossa che si abbatteva sulla Curva Ancilotto. Vi siete beati di ciò perché a prescindere, secondo voi, là risiede il colpevole. Il marcio. Quello che va eliminato e confinato senza se e senza ma. Perché la vostra mentre ragiona per compartimenti stagni e non sa vedere al di là del bianco o del nero. Siete in perfetta armonia con un Paese che fa altrettanto e con una città – Roma – divenuta schifosamente borghese. Ma non nell’accezione economica del termine, ma in quella mentale. Roma, almeno nella sua componente media, non conosce la solidarietà e non conosce il rispetto per la vita delle persone.

Sì, per la vita altrui. Perché se ne aveste vi rendereste conto nell’enorme sproporzione della reazione e di ciò che rischiano ragazzetti poco più che ventenni. “Pischelletti” come siete stati voi, che magari a volte sono un po’ sbruffoncelli, pure un po’ coglioni. Esattamente come lo siete stati voi a quell’età. Chissà come avreste preso, a vent’anni, determinati atteggiamenti. Ah già, ma voi siete quelli che in queste situazioni non ci sarebbero mai finiti. Chissà come mai, spesso, dietro questa frase si scoprono personalità inquietanti e che hanno ben altri scheletri nascosti nell’armadio.

Vi interessa sapere cosa è successo? Non credo. Vi interessa sapere perché è scoppiato quel parapiglia, chi può aver torto, chi può aver ragione, chi può aver sbagliato e chi può aver subito un abuso? Non credo. A voi, del resto, interessa che la partita riprenda. A quel celebre tesserato di cui sopra, interessa perorare una causa piccola e ignobile come il suo gesto. Tanto nessuno lo noterà. E pure se fosse il contrario, nessuno gli dirà niente. Anzi, probabilmente ne condividerà lo spirito. Quello del coniglio bagnato.

Ci sono stati incidenti tra tifoserie? No. C’è stato un comportamento premeditato dei tifosi nei confronti di altri tifosi o delle forze dell’ordine? No. Chi conosce bene l’ambiente cestistico romano sa che il PalaTiziano oggi, come il PalaEur ieri, sono posti dove si è sempre respirato un clima di estrema tranquillità e dove chiunque è potuto entrare passando una bella domenica ai margini di uno sport divertente e coinvolgente. Anche grazie ai ragazzi della Ancilotto che quell’ambiente l’hanno sempre fomentato, con tutte le difficoltà del caso.

Quei ragazzi che tanti oggi additano e vogliono fuori dalle gradinate, hanno portato il nome di Roma ovunque. Erano a Recanati lo scorso anno, quando la società rischiava di scomparire. Quasi nessuno glielo riconobbe, soprattutto molti di dei quali in quelle due tristi serate per la pallacanestro romana decisero di rimanere all’interno del Grande Raccordo Anulare.

Ci deve essere equilibrio nel giudicare i fatti. Chi parla a vanvera o per il gusto di farlo non può e non deve intaccare la dignità e l’onore altrui. Augurarsi che per delle inezie come quelle accadute ieri al PalaTiziano (che erano tali almeno fino a quando la Celere non ha deciso di intervenire) un altro essere umano perda la libertà, abbia la vita rovinata da spese processuali e carichi pendenti che gli impediranno di svolgere determinati lavori e lo faranno vivere per sempre come un emarginato in questa società di finti perfettini è un qualcosa che mette i brividi. Ed è anche un po’ cattivo.

Non bisogna mai abituarsi all’abuso o si finirà per giustificarne in automatico la perpetrazione e persino a pretenderne un maggiore utilizzo. Del resto nel 2017 esistono giornali, siti internet e programmi televisivi (oltre ai sempiterni libri) per leggere in maniera più profonda in queste situazioni. Di sicuro se ci si sofferma soltanto a leggere le probabili formazioni di Roma e Lazio o la nuova intervista a Ilary Blasi difficilmente si può avere una visione a tutto tondo.

E ricordatevi che in Italia i processi durano a lungo e quelli che ieri avete dipinto come “cancro sociale”, tra qualche anno potrebbero meritare le vostre scuse. Basterebbe analizzare l’altissima percentuale di tifosi assolti – alla lunga distanza – per reati da stadio/palazzetto per farsene una ragione. Ma per questo esercizio ci sarebbe bisogno di uno sforzo sovrumano. Avete ragione anche voi.

Simone Meloni.