Una sfida del genere riveste sempre un fascino un po’ particolare, è inutile negarlo. Ma per chi, come il sottoscritto, ha perennemente vissuto ogni singola partita della propria squadra con un certo tipo di attaccamento e di passione, quasi fosse sempre una finale di Champions League, determinate emozioni sono, di fatto, all’ordine del giorno. E sono convinto di non raccontare nulla di nuovo, in merito, alla maggior parte delle persone che avranno il piacere (spero) di leggere questo mio resoconto.

La mia mente rimugina. Ci penso e ci ripenso più volte mentre percorro, per l’ennesima volta nella mia vita, la strada che anche oggi mi condurrà allo Stadio Olimpico. Sono passati tanti anni da quando ho varcato per la prima volta quei cancelli e salito quei gradoni. Sono cambiate tante cose da allora. Sia a livello puramente personale e sia per quanto riguarda l’ambiente ed il contesto circostante. Sono quasi quarantenne, sposato, una figlia, un lavoro fortunatamente stabile, e da qualche anno a questa parte ho anche deciso di provare a raccontare, in un certo qual modo, quello che accade nelle curve degli stadi, dopo aver passato gran parte della mia vita al loro interno. Ma ogni qual volta mi incammino verso il Tempio, verso quella che considero la mia seconda casa, oltre che una vera e propria palestra di vita, le emozioni che provo sono sempre le stesse. E con la stessa, identica, intensità.

Ad esempio l’ansia per quanto potrebbe accadere da lì a qualche ora. Mista ovviamente alla felicità di poter condividere tutto questo tempo in compagnia dei miei fratelli di curva, con i quali ho avuto modo di vivere, syde by syde (fianco a fianco, in inglese), numerose trasferte e tantissime partite in Curva Nord. Anche per molti di loro le cose sono sicuramente cambiate. Alcuni non vengono proprio più allo stadio, chi per una sorta di disinnamoramento, chi per altri generi di motivi, dettati per lo più dal proprio lavoro o da altre esigenze. Ma ognuno di loro ha avuto comunque la capacità di lasciare qualcosa nella mia vita. E poter rivedere alcuni di loro quest’oggi è per me un motivo di grande gioia.

Seguire le sorti della mia squadra è sempre stato piuttosto difficile per il sottoscritto. A causa del lavoro di mio padre ho passato praticamente la mia intera adolescenza in Calabria. E poi, a causa del mio di lavoro, mi sono dovuto trasferire all’estremo ponente della Liguria. In pratica ogni singola partita casalinga della Lazio per me è sempre stata una sorta di trasferta. Ultimamente, poi, ho sempre meno la possibilità di poter raggiungere la città di Roma, ma quest’oggi, in occasione della finalissima di Coppa Italia contro la Juventus, non volevo, e non potevo, farmi sfuggire questa occasione.  Al di là del risultato. Al di là dei valori in campo, nettamente a favore della squadra bianconera. Queste sono situazioni che vanno ben al di là di quanto accade nel rettangolo di gioco. E sono certo che anche in questo caso non sto raccontando nulla di nuovo alla maggior parte di voi.

Mentre la mia mente rincorre questo turbinio di pensieri e riflessioni a casaccio, arrivo dunque in prossimità dello Stadio Olimpico piuttosto presto, come mia consuetudine.

Le strade circostanti sono un brulichio di persone. Oltre alla partita, oggi ci sono anche gli Internazionali di Tennis al Foro Italico. E questo ha contribuito ad aumentare notevolmente il numero degli sportivi e degli appassionati presenti nelle zone antistanti lo stadio.

Tantissima gente indossa i colori della propria squadra. Numerosi bambini sventolano le bandiere bianconere e biancocelesti. L’atmosfera è molto tranquilla e anche al termine della sfida non si sono registrati eventi di rilievo relativi a contatti tra tifosi rivali.

La giornata molto calda ha contribuito notevolmente a far confluire presto la gente in zona. Quando arrivo a Ponte Milvio, punto di ritrovo principale dei sostenitori biancocelesti prima della partita, sono già tantissimi i sostenitori laziali che si sono radunati in attesa di poter entrare allo stadio.

L’allegria regna sovrana. Tra cori cantati a squarciagola, birra a fiumi e l’accensione di alcuni fumogeni, ho addirittura l’occasione di conoscere un gruppetto di tifosi biancazzurri provenienti dalla Svezia, uno dei quali, alcuni anni fa, ha perfino deciso di cambiare il proprio cognome, previo pagamento di circa 200 euro all’ufficio preposto nel suo paese, in Klose. Tutto questo raccontato mentre il coro per lo svedese Sven Goran Eriksson, l’allenatore della Lazio dello scudetto del 2000, veniva lanciato a gran voce.

Ma gli aneddoti e le curiosità legati al prepartita di questa finale potrebbero essere innumerevoli. Le vite, le esperienze, gli umori e le emozioni di tutta questa gente che oggi si è data appuntamento in questo luogo, si intrecciano inevitabilmente e si legano indissolubilmente l’uno all’altro. Il coro goliardico levatosi al cielo in fondo alla piazza rimbalza e viene subito ripreso dalla parte opposta. Le bandiere sventolano. La gente passeggia, alza lo sguardo, e si unisce ai cori. I bimbi si guardano attorno estasiati. I papà, orgogliosi, li tengono per mano o li portano in braccio, fieri che il proprio figlio indossi i suoi stessi colori. È una questione di appartenenza, di identità. E anche in questo caso il tutto va puramente al di là del risultato e di quello che il campo potrà decretare da lì a poco.

L’ora del calcio d’inizio, intanto, si avvicina inesorabilmente. E la gente comincia, lentamente, a raggiungere i varchi di ingresso dell’Olimpico.

Per questa occasione, così come per ogni finale di Coppa Italia disputata in gara unica in quel di Roma, i settori dello stadio sono stati suddivisi equamente tra le due tifoserie. Curva Nord, ovviamente, e Tribuna Tevere ai laziali. Curva Sud e Monte Mario agli juventini.

Sui cancelli d’ingresso della Curva Nord e dei Distinti sono affisse alcune locandine che spiegano a tutti i sostenitori biancocelesti come comportarsi in occasione della coreografia di inizio partita. Nei giorni precedenti all’incontro, gli Irriducibili avevano avuto modo di parlarne, tramite il loro programma radiofonico “La Voce della Nord”, senza ovviamente entrare nei dettagli, ma sottolineando che sarà una coreografia straordinaria che lascerà tutti a bocca aperta” e soprattutto che “serve il contributo di ogni singolo laziale, anche dei Distinti. La riuscita dipenderà dal comportamento di ognuno nel settore Nord”.

E dire che qualcuno aveva anche tentato di smorzare l’entusiasmo degli Irriducibili e dell’intera tifoseria biancoceleste, con la notizia, divulgata il giorno precedente alla partita, della convocazione, da parte della Digos di Roma, di quattro esponenti di spicco della Curva Nord laziale, tra i quali Diabolik. All’ordine del giorno la storia dei manichini appesi nei pressi del Colosseo, di cui abbiamo già avuto modo di parlare recentemente e che gli ultras laziali hanno, per altro, rivendicato pubblicamente, anche con un’intervista a “Le Iene”. Se mai ce ne fosse stato bisogno, è stato sottolineato l’intento goliardico di tale gesto. Goliardia della quale però gli inquirenti non hanno tenuto conto, decidendo di aprire un fascicolo di indagine per minacce ai calciatori della Roma.

Ma tutto questo, ovviamente, non ha scalfito minimante l’umore e la voglia di stupire dei ragazzi della Curva Nord. E quindi, mentre i calciatori delle due squadre erano impegnati nei riscaldamenti pre partita e mentre l’impianto audio dello stadio diffondeva, a tutto volume, alcuni successi musicali del momento (tra cui Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani, cantata a gran voce dai tifosi laziali nella versione “riveduta e corretta” per sfottere i cugini della Roma dopo la sconfitta nel derby di Coppa), ecco che gli Irriducibili si danno un gran da fare per sistemare gli ultimi dettagli di questa coreografia, con l’affissione dello striscione (coperto) al centro della vetrata e la preparazione del copricurva che dovrà essere srotolato al momento opportuno.

Ogni singolo seggiolino è stato dotato di un cartoncino colorato. Le istruzioni sono state chiare: per nessuna ragione i cartoncini dovranno essere spostati dal proprio posto. Senza dimenticare che nessuna bandiera dovrà essere sventolata in occasione della coreografia.

È finalmente tutto pronto. Le squadre fanno il loro ingresso in campo e lo sventolio del tricolore, nella parte bassa della curva, è il segnale stabilito per dare il via a tutto.

I cartoncini si alzano al cielo e un’imponente aquila di oltre 60 metri viene srotolata ed esibita al centro del settore. Il risultato è mozzafiato. Lo sfondo è realizzato in diverse cromature di blu che vanno a schiarirsi dalla parte alta della curva fino alla vetrata. La scritta “S.S. LAZIO”, composta dai cartoncini bianchi, campeggia per tutto il settore, da un distino all’altro, passando per la curva. Lo striscione sulla vetrata recita testualmente “AMORE E CORAGGIO”. E a completare il tutto c’è questa aquila imperiale con la scritta “IRRIDUCIBILI” sul piedistallo.

Anche nel settore dei tifosi bianconeri, nel contempo, è prevista una coreografia, che però, oggettivamente, non riesce al meglio. L’idea dovrebbe essere quella di un tricolore al centro della curva composto da alcune bandierine colorate di bianco, di rosso e di verde. Ma qualcosa non va per il verso giusto. Solo qualche ora più tardi inizieranno a filtrare alcune indiscrezioni in merito ad un probabile boicottaggio della coreografia, tra l’altro organizzata dalla società, da parte del gruppo dei Viking, in rotta da tempo con la dirigenza bianconera. Da quanto è stato reso pubblico, si è appreso che gli appartenenti al gruppo ultras della Juventus si sono impossessati, a pochi minuti dall’inizio della partita, di numerose bandiere verdi, di un grande bandierone raffigurante una maglia bianconera e di un lungo striscione con lo slogan della coreografia. Tutto questo ha, ovviamente danneggiato irrimediabilmente la stessa, con il risultato che si può tranquillamente evincere dalle foto scattate e girate in rete pochi minuti dopo il fischio d’inizio della partita.

Lo stadio è stracolmo di gente. In Curva Sud ci sono tutti i gruppi ultras bianconeri, unitamente, come di consueto, ai numerosi drappi e agli striscioni con i nomi di diverse città italiane in rappresentanza delle tante delegazioni di sostenitori bianconeri provenienti da tutto lo Stivale.

I bandieroni garriscono al vento. Le voci si levano al cielo. La sfida ha inizio, e non solo sul prato verde dell’Olimpico.

L’apporto vocale risulta piuttosto continuo da entrambe le parti. Diversi i cori di reciproci insulti tra le due tifoserie. Gli ultras delle due squadre si danno un gran da fare per sostenere le squadre impegnate sul campo, con diversi battimani, cori a rispondere, ecc.

Il risultato che matura sul rettangolo di gioco, con il passare dei minuti, influisce ovviamente sugli umori e, di conseguenza, sull’intensità del tifo delle due fazioni.

Mano a mano che le lancette scorrono, la tifoseria bianconera si fa più arrembante, mentre in Curva Nord si fa sempre più chiara la consapevolezza di uscire sconfitti da questa finale. Emblematico, in questo contesto, il famoso coro “non mollare mai”, lanciato dai ragazzi sulla vetrata della Nord verso il trentesimo della seconda frazione di gioco e cantato ininterrottamente per diversi minuti dalla tifoseria laziale.

Per quanto riguarda la partita vera e propria, onestamente devo dire di aver visto davvero molto poco di quanto è accaduto in campo. Senza ombra di dubbio la disparità di valori tra le due compagini si è notata inequivocabilmente. La Juventus ha avuto il merito di archiviare la pratica nei primi venti minuti di gioco, con due reti, e successivamente si è limitata ad amministrare il risultato. La Lazio, soprattutto nel secondo tempo, ha provato a reagire disperatamente al doppio svantaggio, tentando in tutti i modi di rientrare in partita, ma si è scontrata contro il muro bianconero. Inoltre la Juventus ha anche cercato di incrementare ulteriormente le reti a proprio favore, ed è solo grazie alla bravura dell’estremo difensore biancoceleste che tutto questo non è avvenuto.

Mentre mancano ormai pochi istanti al novantesimo e si sta per entrare nei minuti di recupero, la Curva Nord della Lazio si esibisce anche in una bella sciarpata, intonando a gran voce il proprio inno e coinvolgendo anche la tribuna.

Dalla parte opposta gli juventini, che non hanno smesso di cantare un solo istante durante tutto il corso della partita, aumentano ulteriormente i decibel del loro sostegno vocale, supportati anche dai sostenitori bianconeri in Monte Mario.

Al triplice fischio entrambe le tifoserie continuano a cantare, chi per gioia, per l’ennesimo trofeo conquistato, chi per orgoglio e per rendere onore ai ragazzi che in campo hanno comunque combattuto strenuamente.

La squadra juventina si riversa sotto il proprio settore per festeggiare. I giocatori biancocelesti salutano prima, mestamente, i tifosi laziali assiepati in Tribuna Tevere, e poi si dirigono sotto la Nord. Alcuni sono a testa bassa, delusi e amareggiati. La tifoseria laziale, però, li omaggia con cori di incitamento e di ringraziamento.

I calciatori biancazzurri, nei pressi dell’area di rigore, restano qualche istante a guardare la curva e a ringraziare i propri tifosi, e poi si voltano per far ritorno al centro del campo. Ma la Nord non ci sta, e richiama nuovamente i calciatori, questa volta sotto il settore, sulla pista di atletica. I giocatori si guardano tra di loro e decidono di raccogliere l’invito, raggiungendo quindi i propri sostenitori. Ci sono tutti, compreso l’allenatore, Simone Inzaghi, osannato a gran voce dalla tifoseria laziale. C’è ancora spazio per un ulteriore coro di ringraziamento per l’impegno profuso in mezzo al campo. Poi parte il più classico “chi non salta della Roma è”, al quale partecipano prima i calciatori biancocelesti, poi l’intero stadio, compreso i settori dei tifosi bianconeri, facendo letteralmente tremare l’impianto sportivo capitolino.

Pochi istanti dopo inizia la premiazione, con la Juventus che alza, meritatamente, la sua dodicesima Coppa Italia, in un tripudio di coriandoli tricolore. I calciatori e i tifosi bianconeri si lasciano andare ai festeggiamenti, mentre lo speaker juventino lancia per ben due volte l’inno della squadra bianconera, che viene cantato a gran voce dai suoi tifosi.

Sventolano le bandiere della Juventus, si alzano le sciarpe, mentre i tifosi biancocelesti abbandonano lentamente la curva e al di fuori dello stadio vengono fatti esplodere anche diversi fuochi d’artificio.

E anche per il sottoscritto è giunto il momento di tornare a casa.

Testo di Daniele Caroleo.
Foto di Salvatore Izzo, Lello Onina e Giuseppe Scialla.

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