Chi mi legge o mi ha letto anche sporadicamente in questi anni, sicuramente avrà intuito la mia idiosincrasia nei confronti dei nuovi stadi e delle loro modalità d’uso.

Non mi piacciono. E non tanto perché debba fare l’arcaico sentimentalista a tutti i costi, quanto perché nel nostro Paese vige la storta convinzione che “nuovo stadio” debba far rima con “repressione e oppressione del tifoso”. Oltre a una sua coatta trasformazione da spontaneo, viscerale e verace a impostato, politicamente corretto e benpensante. Fondamentalmente il mio astio è tutto qua.

In seconda battuta, ma questo è davvero un gusto personale, sono innamorato degli impianti vecchi, delle loro strutture fatiscenti e intrise di storia e di quei luoghi ancora ubicati vicino al cuore della città. In maniera da legarli appieno e quotidianamente ai suoi frequentatori.

Quindi dirigendomi verso l’Allianz Stadium già so di partire col piede sbagliato e una buona dose di pregiudizi in corpo. Il fatto di scendere per errore (indotto dal sonno) a Torino Lingotto e dover fare prima due chilometri a piedi per arrivare alla metro, poi cambiare col tram alla fermata Bernini (tempo di percorrenza totale circa un’ora) non aiuta certo a migliorare la mia considerazione su quello che, di fondo, fino a qualche anno fa ha rappresentato forse nella maniera più palese lo sperpero di denaro e il “magna magna” legati ai mondiali di Italia ’90.

Il mio riferimento è chiaramente al vecchio stadio Delle Alpi (ubicato sulla stessa sede dove ora insiste lo Stadium) e a tutte le sue proverbiali disfunzioni. Oltre alla sua “bruttezza” che, di fatto, ha profondamente modificato il modo di vivere lo stadio da parte dei torinesi. Un freddo macigno su una città che veniva da quasi tre decenni di tifo organizzato al Comunale, laddove in molti sostengono siano germogliati i primi gruppi ultras e laddove sicuramente si sono disputati i derby della Mole più accesi, belli e passionali.

Ma questa è storia passata e, ahinoi, le nuove generazioni possono solo scorgerne il riverbero.

Il gelo che viene dalle Alpi punge impietosamente le guance. Mentre decine di pullman arrestano la propria corsa di fronte al capolinea dei tram, lasciando scendere i moltissimi tifosi bianconeri provenienti da fuori città. Sicuramente il fatto che la Vecchia Signora sia la squadra più tifata d’Italia non aiuta a percepire un clima di unitaria appartenenza. Logico che ogni compagnia faccia riferimento alla propria regione o alla propria città. E questo credo che a grosse linee valga anche per la componente ultras.

L’aria soporifera che si respira attorno allo Stadium fa sì che molti tifosi della Roma girino indisturbati con la sciarpa al collo, senza che si avverta la minima tensione. Certo, indubbiamente questo è un punto a favore per l’opinione pubblica e le persone che non conoscono il mondo del tifo. Per me (e resta una considerazione personale) è invece un altro aspetto che conferma la mia idea sugli stadi nuovi. Ovviamente non sto foraggiando l’utilizzo della violenza, ma sto solo sostenendo che quella sensazione di tensione e “allerta” che si prova quando si arriva in uno stadio avversario fa parte del nostro modus vivendi.

Juventus-Roma, se parliamo prettamente di ultras, non è sicuramente la rivalità principale per le due curve. Se si parla di antipatia sportiva però credo che la vicendevole mal sopportazione sia quasi ai livelli di quella che intercorre tra viola/napoletani e bianconeri. E non sentire minimamente questo, all’esterno dello stadio, credo sia avvilente. Ma tant’è.

Dopo aver ritirato il mio biglietto mi appresto a superare i primi varchi. Veri e propri metal detector in stile aeroporto. A presidiarli non c’è nessun agente di forza pubblica, bensì gli steward privati della Juventus. Tutto molto in stile britannico bisogna dire. Se passare sotto a un metal detector per una partita di calcio non è molto piacevole, a mente fredda va anche detto che è sicuramente meglio rispetto a subire perquisizioni vessatorie e/o provocatorie o inutili eccessi di zelo. Che almeno nei settori di casa non sembrano avvenire.

Un po’ diversa la situazione agli ingressi riservati agli ospiti. I 2.100 romanisti vengono fermati uno a uno, venendo controllati in maniera meticolosa, alcuni addirittura quasi denudati malgrado la temperatura sia prossima allo zero. Le aste dei bandieroni vengono bandite e come negli anni precedenti tutti sono costretti a togliersi le scarpe. Un atteggiamento che i supporter capitolini conoscono bene, essendone stati vittime per quasi due anni nel periodo “barriere”.

Un modo di fare che a mio avviso va comunque condannato e riporta in auge quanto scritto sopra: perché “stadio nuovo” deve far rima con “oppressione del tifoso”? Perché nei nuovi impianti il tifoso ospite deve per forza esser ritenuto l’intruso da piazzare nei posti più remoti possibili (e in ciò il settore dello Stadium è un fulgido esempio) ed esser anche limitato nel fare il tifo? Io credo che se davvero si vuole fare un piano per rinnovare le strutture in Italia bisognerebbe renderle accessibili davvero a tutti. Nei prezzi e nelle modalità. Va compreso che il tifoso avversario è comunque parte dello spettacolo (parlando con lo stesso linguaggio degli addetti ai lavori). Siamo ripetitivi e stucchevoli: ma il modello tedesco nella gestione degli impianti è l’unica soluzione avveniristica che si può adottare se davvero si ha intenzione di ripopolare gli spalti in maniera sana.

Questo è il passaggio cruciale da cui far partire ogni discorso di rinnovamento. Ed è proprio su questo che verte la maggior parte del mio scetticismo.

All’interno tutti i seggiolini sono “agghindati” con bandiere bianconere preparate dalla società, che come capita spesso in queste occasioni ha deciso di colorare gli spalti. Curva compresa. Ora, è ovvio che qua si snodi un altro punto fondamentale sul giudizio complessivo. Da osservatore esterno, che conosce un minimo la realtà ultras, dico che in fin dei conti ci può stare che il club voglia colorare i settori. Però, è altrettanto ovvio, la curva dovrebbe pensare a se stessa. Diciamocela tutta: vedere un settore ultras che realizza una coreografia imposta dal club non è il massimo. E non solo per il concetto di non accettare nulla dalla dirigenza, quanto per un mero fattore di creatività.

Ai tempi del Delle Alpi, vado a memoria, ricordo anche discrete coreografie realizzate dagli ultras juventini. Bei lavori di fantasia che davano risultati ben più belli e originali rispetto alle perenni bandierine con i colori sociali. Ognuno a casa sua è libero di agire come meglio crede, ovvio, però qua c’è un altro aspetto che valorizza la mia sfiducia verso gli stadi nuovi: bisognerà essere per forza omologati a tutti quello che il club vuole? Addirittura nelle coreografie?

E di certo, ai miei occhi, non risulta più edificante lo spettacolo di luce – in stile NBA – offerto sempre nel pre partita. Una spettacolarizzazione eccessiva che lascia intendere una vera e propria plastificazione dell’evento, dove di verace e spontaneo resta davvero ben poco.

Intanto la partita volge verso l’inizio e nel settore ospiti tutte le pezze sono state sistemate nei due anelli. All’ingresso in campo i giallorossi si fanno sentire col classico “Quando l’inno s’alzerà” colorato da un paio di fumogeni. Per tutta la partita il loro tifo si terrà sempre sulla sufficienza, senza riuscire mai a spiccare il volo.

Juventus-Roma con un settore ospiti così piccolo e una situazione di classifica contingente, significa anche ressa ai botteghini – causa voglia di trasferta da parte degli occasionali – e parecchia gente avvezza allo stadio che resta giocoforza fuori. Il che si tramuta in una componente poco omogenea che, a sua volta, si riflette nel tifo. Inoltre la conformazione stretta e a due anelli del settore non agevola certamente la coordinazione del tifo.

Comunque sempre belli i battimani e i picchi di tifo con cui i tifosi della Roma sovrastano nettamente i padroni di casa.

Cosa dire sulla Sud juventina? Sapevo di non trovare il catino caliente del Marakana di Belgrado, ma onestamente mi aspettavo qualcosina di meglio. Soprattutto in un impianto che, grazie alla sua copertura e alla sua compattezza, può aiutare molto il tifo. Anche in virtù del ritorno di tamburi e megafoni.

E invece la prestazione dei padroni di casa è insufficiente. Davvero troppe pause tra un coro e un altro e poca gente che partecipa costantemente. Sia sopra che sotto.

In campo è la Juventus ad avere la meglio grazie a un gol di Benatia nel primo tempo e al clamoroso errore del romanista Schick, che a tempo ormai scaduto a tu per tu con l’estremo difensore avversario sbaglia praticamente un gol già fatto. Un successo che rilancia definitivamente la Juve in orbita scudetto.

Al triplice fischio i miei arti inferiori sono ormai in ipotermia e non mi resta che buttarmi in un bar nell’attesa di tornare definitivamente a casa. Mentre intorno la masnada di tifosi bianconeri provenienti da ogni dove escono festanti avviandosi verso i propri mezzi.

Simone Meloni