Siamo abituati a guardare senza vedere. Ci viene naturale. Un’abitudine con cui abbiamo fatto amicizia, senza renderci conto di quante cose profonde e semplici in realtà ci sfuggano.

E con questi occhi che guardano ma non vedono, anche all’esterno si sono fatti un’idea del movimento ultras: i cattivi. Sempre e comunque quelli che hanno bisogno di un codice etico.

Noi abbiamo avuto la fortuna di avere nella nostra vita un qualcosa che ci ha formato giorno dopo giorno; una nuova prospettiva: quando Bogdan un ragazzo non vedente è entrato a far parte della nostra famiglia.

Non stiamo qui a spiegarvi la sua storia, ma quanto la sua storia abbia influito nelle nostre vite personali e nel modo di vivere lo stadio, la curva e il nostro gruppo.

All’inizio abbiamo pensato alla cosa più banale del mondo: aiutiamolo e cerchiamo di essere i suoi occhi.

Ci sbagliavamo.

È iniziata così: entri, birretta, posto sui gradoni, sguardo al campo, distratti da cori, bandiere e colori dagli avversari, fino a quando senti lui che ti tocca un braccio sbraitando.

Tutt’ora lo scherniamo: “Ehi Bogdan sei sicuro che non ci vedi!?”

Non capivamo, fino a quando non abbiamo iniziato a sentire quel respiro trattenuto da tutti che poi riemerge all’unisono quando stai per prendere gol. Sentire quell’agitazione silenziosa quando la squadra sta in attacco.

E abbiamo capito che non siamo solo persone con una storia e scazzi vari,ma un’unica anima con gli stessi obiettivi, progetti e ideali.

Bogdan si appoggia alla nostra spalla, ed è cosi che funziona il nostro controverso mondo. Siamo tutti la mano sulla spalla di qualcuno. Solo che a volte siamo mano a volte spalla.

Siamo quelli degli scontri e degli aiuti dopo terremoti e alluvioni, quelli degli insulti e della beneficenza, delle rivalità accese ma che in momenti come il post Sandri, Speziale, Fanesi siamo stati tutti dalla stessa parte.

Bogdan ci dice sempre che siamo la sua luce, ma noi lo sappiamo che quelli che hanno iniziato davvero a vedere siamo noi, che le disabilità e diversità sono solo risorse.

Non abbiamo bisogno di un codice etico, perché se tutti avessero usato il modo di guardare di Bogdan avrebbero davvero visto cos’è il movimento ultras.

Provate a pensare e immedesimarvi, solo per un istante, nei panni di un ragazzo non vedente che, paradossalmente, riuscirebbe con estrema facilità a cogliere alcuni aspetti che comunemente non riusciremmo a carpire.

La testimonianza che il seguente articolo vuole riportare è quella di Bogdan, un ragazzo, per l’appunto, cieco, che tutt’ora frequenta lo stadio e viene abitualmente in trasferta a seguire le partite della sua squadra del cuore: il Fano.

Bogdan costituisce l’anima più appassionata della curva, la stessa per la quale sarebbe disposto a compiere anche il più impensabile dei sacrifici se non fosse per il fatto che la medesima cecità rappresenta allo stesso modo il suo più grande limite. Ciò nonostante, questo fattore non gli ha mai impedito di vivere una vita infelice, anzi.

Proprio per via del della sua felicità e della sua risata tremendamente contagiosa, Bogdan è il cuore pulsante della curva e l’animo più umano e sensibile di tutti noi.

L’essenza di un ragazzo come lui sta nella spensieratezza e consapevolezza delle cose. Nel riuscire a divertirsi con poco e nel mostrare al mondo intero l’altra faccia della medaglia del panorama ultras, macchiato in maniera irriversibile dai media e dallo Stato da molti anni a questa parte, ahinoi.

Un ragazzo speciale, indispensabile per tutti coloro che lo hanno a cuore, coi quali condividono momenti di svago come una semplice birra allo stadio, i cori e le esplosioni di gioia quando la palla si insacca in rete e viene letteralmente giù la curva.

Una persona di cui tutti quanti noi siamo orgogliosi, grazie Bogdan.

Marco Cini
Claudia Trozzi