Ricrodate sempre di certe gente, del loro vomito di ipocrisia e luoghi comuni. Ricordatevelo sopratutto voi, amici e sodali di stadio che volevate sdoganarlo dopo quell’operazione subdola che si chiamava “Acab”. Queste persone, le “Repubbliche”, le “Gazzettedellosport” concorrono al quotidiano scempio del mondo degli ultras, al costante aumento della repressione e delle condanne perpetue dell’opinione pubblica e dei salotti televisivi.
MF

ultras_torciaGli stadi, le loro curve e quel fenomeno che per convenzione linguistica definiamo “ultras” sono per esperienza un microcosmo tra i più fedeli ed esatti nel testimoniare un tempo, un luogo, una cultura popolare che si è fatta maggioritaria. E il rapporto di cui Repubblica dà conto in questa inchiesta ne è una conferma. L’Internazionale del tifo organizzato e violento ha un colore sempre più nero. La sua dimensione si è liberata di uno specifico domestico. Lo “spettacolo” si è fatto globale negli interpreti che danno calci ad un pallone e “globale” è diventata la dimensione dei mazzieri che, insieme, lo tengono in ostaggio e lo utilizzano come palcoscenico.

Gli 88 gruppi e i loro legami censiti dalla Polizia di prevenzione definiscono uno stagno velenoso che appare impossibile da prosciugare, quasi fosse un dazio necessario da pagare al rito collettivo più amato al mondo. Né più e né meno che una iattura confinata a problema di ordine pubblico e su cui esercitare periodicamente una revisione degli strumenti di legge nel Paese con più leggi al mondo (Daspo, tessere del tifoso, discriminazione territoriale). La verità, quella che si fa fatica a pronunciare e dunque regolarmente si elide nel discorso pubblico, è che lo stadio e dunque l’appendice violenta del suo spettacolo è da sempre, e continua ad essere, il luogo dell’irresponsabilità e del consenso facile.

La Politica e con lei la Lega Calcio (la Confindustria del pallone) e la giustizia sportiva sono oggi lo specchio di una fragilità arcaica incapace di misurarsi con la modernità e complessità del business. Di fronte alla constatazione elementare che nessuna attività di impresa tollererebbe di essere ostaggio di qualche migliaio di individui, dei loro burattinai (per altro per lo più noti da anni agli archivi di polizia), si obietta che nessuna altra attività di impresa è mossa da passione irrazionale come il calcio. Un riflesso pavloviano utile a non assumere di fatto nessun rischio nell’aggredire la questione, a ridurla a faccenda di “poche mele marce” (e dunque residuale), fino al punto di sostenere che l’unico rimedio ragionevole sia non parlarne. Secondo il principio che esiste solo ciò che si vuol vedere.

Il punto è che l’Internazionale del tifo ultras ha compreso e conosce perfettamente la fragilità del Sistema. E’ consapevole della propria forza di ricatto. Cinquanta, cento mazzieri possono in ogni momento sfigurare uno spettacolo in diretta e porre le condizioni perché lo stadio si svuoti nei suoi settori per qualche settimana. E non per disaffezione, ma per le sanzioni della giustizia sportiva. Un tempo, l’ultras estorceva biglietti gratis per le trasferte o il monopolio di fatto sul merchandising. Oggi, più semplicemente, chiede la propria impunità, per avere la sua parte nello spettacolo in diretta. Una parte fatta non necessariamente di coreografie. Ma di minacce, parole d’ordine che diventino senso comune, cultura politica.

Con un’ulteriore garanzia. Che se le cose si dovessero mettere male, politica e opinione pubblica verranno eventualmente in soccorso (è successo con la trasferta dei tifosi della Lazio a Varsavia, diventata questione diplomatica capace di occupare per settimane l’agenda del nostro governo). Né la modernità degli impianti (pure necessaria e in qualche modo non rinviabile) può diventare la soluzione. Prova ne sia quanto accaduto allo “Juventus stadium” dopo i cori antisemiti durante la recente partita con la Fiorentina. La vedova di Gaetano Scirea cui è intitolata la curva da cui si era levata quella vergogna aveva con coraggio sfidato quell’oltraggio chiedendo di togliere il nome del marito da quel settore dello stadio. La risposta dei “Drughi”, il più importante gruppo ultras della Juventus, è stata lapidaria e sprezzante: «Mariella Cavanna (il cognome da nubile della signora), la Juventus siamo noi». Già, di chi è la Juventus? E come lei, di chi sono le altre 19 squadre di serie A?

Carlo Bonini

[Fonte: La Repubblica]