Avezzano-Sangiovannese nonostante l’uscita dal lavoro fissata per le 14. Yes I can. Sfruttando una delle poche cose positive del transitorio luogo dove mi trovo attualmente a prestare la mia forza lavoro (maledetta Italia), cioè la vicinanza con lo svincolo dell’autostrada Roma-L’Aquila, posso programmare anche il ritorno della semifinale-spareggio d’Eccellenza tra abruzzesi e toscani, in barba ai tempi ristretti. Sarà perché ho sempre avuto buoni maestri a tal merito, o forse perché la passione e l’amore per ciò che si fa meglio concilia con la programmazione e l’ordine (quest’ultimo praticamente inesistente nella mia vita), ma devo dire che la tabella di marcia dell’andata non sgarrerà di un solo secondo.

Lasciato l’ameno luogo dove si pretendono prestazioni lavorative anche la domenica (Morte, morte, morte! Direbbero i veronesi), posso raggiungere prima il vicino Raccordo Anulare e poi imboccare l’A24. C’è un bel sole e mano mano che la città scompare alle mie spalle, ai miei lati si fanno sempre più fitti i boschi e le montagne che, da lì a poco, introducono il confine tra Lazio ed Abruzzo. Saranno pure piccole soddisfazioni, ma dopo aver passato 5 ore davanti ad un computer in un giorno in cui generalmente si riposa, a me fa immenso piacere vedere un po’ di natura e ricordarmi che al di fuori dello schifo che ci propina questa società, ed in particolar modo la mia città che si fregia di tante, inutili, onorificenze, esiste ancora un mondo fatto di bei paesaggi e di sana tranquillità dell’Italia che fu.

Ma non perdiamoci in troppe chiacchiere. Per fare un po’ di economia, come sempre, esco a Carsoli, sfruttando il tratto di Tiburtina che fino ad Avezzano è abbastanza buona. Se sull’autostrada il paesaggio era bello, lungo la via consolare è mozzafiato, a tratti fiabesco con le vallate che scoscendono a picco oltre il guardrail e le montagne che si inerpicano selvagge ora alla mia destra ed ora alla mia sinistra. Nonostante le previsioni dessero sereno su tutto il centro d’Italia, non manca qualche spruzzo di pioggia intervallato dal cielo azzurro che si apre di tanto in tanto.

Il romanticismo del momento è rotto dalla discesa che con il passare dei chilometri mi riporta nel centro abitato. Dapprima Tagliacozzo, poi finalmente Avezzano. Sono le 15:20. Ho ampio margine per cercare parcheggio, ritirare l’accredito ed entrare.

Il primo di questi tre compiti oggi non è affatto scontato. Il Dei Marsi infatti presenterà il pubblico delle grandi occasioni ed un po’ tutti hanno ben pensato di lasciare le proprie automobili a ridosso dello stadio. Ciò mi costringe almeno ad un quarto d’ora di tour forzato che si conclude con il mio classico parcheggio alla bird of dog, anche detto cazzo di cane. Non manca poi l’atletica corsetta verso i botteghini ed infine l’ingresso trionfante con macchinetta e casacchina indosso.

Ad attendermi sul manto verde dell’impianto marsicano c’è niente popò di meno che Andrea. Un altro noto partitellaro che di questo termine non solo ne ha fatto tesoro, ma lo ha trasformato in un vero e proprio motto personale. Del resto oggi si vive con talmente tanti neologismi di cui faremmo a meno (selfie e bunga bunga un esempio su tutti) che fare proprio un termine dal sapore così italico e virile è un qualcosa di raro e prezioso. Bravo Andrea, partitellari te salutant!

Terminati i convenevoli non è che ci sia tanto tempo da perdere, tra poco le due squadre faranno il loro ingresso in campo ed i due settori di casa stanno preparando le coreografie. Curva Nord e tribuna coperta sono quasi piene, un bel colpo d’occhio per l’Eccellenza. Nel settore ospiti ci sono una sessantina di tifosi biancazzurri, che si raggruppano dietro la pezza SGV. Come nella gara di andata si mettono subito in mostra per il tanto colore, con i loro bandieroni e le loro sciarpe in bella evidenza sin da subito.

Le due squadre fanno capolino dagli spogliatoi e lo stadio si colora a festa, tanto che noi non sappiamo dove scattare talmente tanta è la carne al fuoco. Già, il fuoco è proprio il regio protagonista di tale spettacolo. La Nord fa scendere tre teli a cui si aggiungono numerose torce e fumogeni, mentre in tribuna ci sono tantissimi palloncini bianchi e verdi ed almeno una trentina di torce attaccate sulla ringhiera ed accese all’unisono. Insomma, la pirotecnica è la vera padrona di queste coreografie, ed è a dir poco bello notare come nessuno si faccia alcun problema ad accendere torce e fumogeni, che evidentemente da queste parti non solo non sono criminalizzati, ma sono visti come parte integrante dello spettacolo calcistico. Cosa che dovrebbe essere sempre e comunque. Ci vorrebbero i vari Pistocchi, Giletti, Piccinini e compagnia bella in simili situazioni. Come se nei loro paesi o nelle loro città non si fosse mai data la festa del Santo patrono in cui vengono accesi interi arsenali. Ipocrisia unica via per un paese allo sbando e fatto di chiacchiere, sensazionalismi e processi sommari solo ed esclusivamente per determinate categorie. Fottetevi e fatevi le pugnette nei vostri studi televisivi, che noi pensiamo ancora a fare l’amore negli stadi. Beccatevi ‘sta metafora va…

Se su fronte avezzanese colore e calore sono un qualcosa di non trascurabile, anche nel settore ospiti non mancano torce e fumogeni, completati dalla consueta sciarpa e dal ritmico suono del tamburo portato, come ai bei tempi, anche in trasferta. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti e la giornata si annuncia interessante.

Cominciano davvero forte gli ultras abruzzesi, manate possenti, sbandierate, stendardi tenuti spesso in alto e tanta, ma tanta voce. Tra loro da segnalare la presenza di cassinati e fermani, storici gemellati. Il sostegno biancoverde è premiato dal gol del vantaggio dell’Avezzano che porta la firma di Di Genova, una marcatura che manda in visibilio il pubblico, provocando le ennesime accensioni di torce e fumogeni, tenuti liberamente in mano come ai bei tempi. Benedetta Eccellenza, che Dio ti abbia in gloria.

La sciarpata sulle note di Montagne Verdi è un classico per gli ultras marsicani, ed anche questa volta non delude, coinvolgendo l’intero settore. Per quanto riguarda i toscani, il gruppo si compatta e fa il suo, non lasciando nulla al caso. Neanche dopo il vantaggio avversario che mette subito in salita la gara della Sangiovannese. Ma i ragazzi della Valdarno non hanno intenzione di mollare e vogliono crederci continuando a sostenere i propri ragazzi con orgoglio e passione.

Già, la passione. Questa sconosciuta ormai nella stragrande maggioranza dei campi di calcio. Eppure oggi, qui ad Avezzano, è stata una costante. Perché, nonostante ci siano sicuramente tanti spettatori occasionali, ho visto un attaccamento a questo tipo di calcio che forse una decina di anni fa non sarebbe potuto sussistere. In molti si sono stancati delle marionette da Serie A e degli squallidi teatrini offerti dal calcio professionistico, capendo che il sostegno alla squadra della propria città è l’unica via per riportare un pochino i fattori in equilibrio. E poi, parliamoci chiaro, il bambino non vuole vedere Balotelli che piange perché riceve un intervento fuori posto, oppure non vuole sapere perché Conte ha adottato un determinato schema favorendo il gioco offensivo di Llorente anziché quello di Tevez. Il bambino, quello delle tanto decantate famiglie allo stadio, se vole divertì, come si dice dalle mie parti. Vuole vedere i colori, vuole sentire gli odori ed i rumori del calcio. Non il rumore tonfo e sordo del telecomando della televisione. Il calcio è per antonomasia uno sport popolare, restituitelo ai legittimi proprietari, cialtroni che non siete altro!

Finisce il primo tempo e le nuvole che in precedenza mi avevano salutato sulla dorsale appenninica, pensano bene di ricalcare nuovamente la mia strada. Ed allora una, dieci, cento, mille gocce cominciano a cadere sulle nostre teste. Fortunatamente lo sgrullone è passeggero, anche se di tanto in tanto sarò costretto a riaprire il mio ombrello per evitare danni alla macchinetta. E sempre per un fatto di buona sorte, nonostante la ristrettezza del campo, la terna arbitrale non ha nulla da ridere, come invece successe lo scorso anno a Santa Maria delle Mole, costringendo la mia povera Canon a subirsi un copioso temporale e me a terminare la scorta di fazzolettini tenuti in borsa.

Si ricomincia così a giocare, con qualche sostituzione nelle due squadre ed i ritmi che si fanno più serrati. Gli ospiti sembrano essere entrati in campo con un piglio totalmente diverso e con il passare del tempo si fanno sempre più vivi dalle parti del portiere di casa. Gli ultras biancoverdi capiscono che è un momento cruciale per la qualificazione e continuano a tifare senza sosta ed in maniera impeccabile. Ma in campo i marsicani si innervosiscono, ne fa le spese per primo lo stesso autore del gol Di Genova che si fa espellere dando una mano non da poco conto alla Sangiovannese in un momento delicatissimo del match.

I tifosi biancazzurri a questo punto ci credono più che mai, aumentando i decibel e continuando nel loro ben riuscito lavoro di colorare la gradinata. Così, in prossimità del fischio finale arriva il pareggio ospite con Righetti. Un colpo di testa in avvitamento che manda in visibilio tutto il clan toscano e getta a dir poco nello sconforto pubblico e giocatori di casa.

Il colpo è di quelli terribili. All’Avezzano servirebbe infatti un altro gol, ma in pieno recupero, con tutta la squadra abruzzese protesa in attacco, la Sangiovannese trova anche la marcatura del sorpasso, ancora con Righetti, ponendo la parola fine sul discorso qualificazione. Il pubblico della tribuna si scalda inveendo contro la terna arbitrale ed i dirigenti ospiti. In campo vola un po’ di tutto mentre le due squadre vanno a ringraziare rispettivamente le proprie curve. Le due facce del calcio sono ben immortalate davanti a me, da una parte la gioia sfrenata dei sangiovannesi, che quasi tutti rimasti in slip festeggiano saltando e cantando con i proprio tifosi, mentre dall’altra gli avezzanesi applaudono a capo chino una Curva Nord che ricambia, nonostante la delusione cocente, il plauso.

Rimaniamo ancora un po’ sul manto erboso nel contemplare le scene diametralmente opposte e poi decidiamo di ritirare i nostri documenti dal commissario di campo. È ora di tornare verso casa, così le nostre strade si dividono ed io riconquisto quella che conduce alla mia macchina.

Se c’è qualcosa che non imparerò mai di Avezzano, per miei ovvi limiti di orientamento evidentemente, è come riprendere la strada di ritorno. Quindi dopo qualche fantozziano giretto per le strade della città, senza centrare mai l’obiettivo, alla fine mi immetto misteriosamente sulla Superstrada per Sora, dalla quale riesco ad uscire sulla Tiburtina. Ma non è ancora fatta per lasciare alle mie spalle il centro urbano marsicano, non ho infatti fatto i conti con il centro commerciale che intasa buona parte dell’antica arteria che unisce Roma a Pescara. Così un paio di chilometri me li percorro a passo d’uomo, con buona pace degli altri automobilisti che mi vedono maledire il loro sfrenato consumismo e la loro sfrenata voglia di chiudersi là dentro di domenica pomeriggio, con il mare a poco più di un’ora di macchina e la montagna a portata di mano. E fatevela ‘na vita no? Una volta raggiunto lo svincolo autostradale di Carsoli tutto fila liscio fino a Tivoli, dove esco per mettere il metano percorrendo di nuovo la Tiburtina fino a Roma. Stranamente di traffico non c’è la benché minima ombra.

L’ennesima domenica sui campi di gioco è andata. Torno a casa soddisfatto e realizzato nell’aver visto che la passione ancora pulsa e resiste a determinate latitudini. Ma quella, del resto, non ce la toglieranno mai.

Simone Meloni.