“Abbiamo due ragazzi di quattordici anni, cosa facciamo? Li rimandiamo indietro?” Non è la domanda di un doganiere turco di fronte alla richiesta di asilo politico da parte di due spauriti ragazzini siriani, ma è la voce baritonale e asettica di uno steward dello stadio Olimpico che parla al telefono probabilmente con un suo superiore, mentre 3-4 poliziotti circondano i giovincelli. Già. Avete presente quelle figure di giallo vestite, buttate a forza nel calcio italiano nel 2005 dal Decreto Pisanu (sì quello, l’ex Ministro dell’Interno invischiato in Calciopoli: ora non andate a cercare il pelo nell’uovo) e divenute sempre più preponderanti (oltre che invasive, prepotenti e quasi sempre incompetenti/inutili) negli stadi italiani? Quelli a cui se chiedi: “Scusa, sai dove si ritirano gli accrediti?” possono risponderti: “E che lo chiedi a me?” Giusto. E che lo chiedo a loro?

I ragazzi guardano attoniti gli omini fosforescenti. Ripenso ai miei quattordici anni. Alle partite di Coppa Italia il mercoledì pomeriggio e a quelle – poche e magiche – europee alle 18, quando mi era concesso di andare da solo, senza dover ricorrere alla compagnia di mia cugina. L’arrivo su Ponte Duca d’Aosta tre ore prima del fischio d’inizio e quell’atmosfera che da un lato mi incuteva timore, dall’altro mi affascinava così tanto da essermi rimasta impressa per venir fuori di tanto in tanto, transitando per la mia mente e per le mie papille gustative, per poi sparire qualche istante dopo. 

A 15 avevo assaporato la mia prima trasferta ed eravamo comunque una generazione “ritardataria” rispetto a quelle che ci avevano preceduto. Eppure, paradossalmente, sedici anni fa andare allo stadio era “più pericoloso” di oggi. A nessuno sarebbe comunque mai venuto in mente di negarmi l’accesso per un mero fattore anagrafico. Non c’erano i biglietti nominativi, vero. Non c’erano i tornelli, vero. Non c’era la repressione di oggi, vero. Ma soprattutto non c’era questa paura latente di tutto ciò che può anche solo lontanamente avvicinarsi alla libertà d’agire e di pensare.

Non so se oggi esista una regola che lo stabilisce – evidentemente sì – e faccio ammenda per la mia ignoranza a tal merito, tuttavia trovo la cosa allucinante a prescindere. A quattordici anni già da un paio di “stagioni” andavo a giocare a pallone da solo, per le strade attorno a casa e già avevo – avevamo – sviluppato un modo embrionale di vedere il mondo. Evidentemente è meglio che i ragazzetti di oggi si responsabilizzino a suon di Whatsapp, smartphone, incontri virtuali in rete, caccia ai Pokemon, televisione spazzatura (quella sì che è educativa, mica andare in curva a tifare con quella massa di mostri a tre teste). È davvero incredibile come ci parlino di step evolutivi a livello sociale, quando l’indirizzo scelto è quello di far crescere la gioventù chiusa in se stessa, priva di interazioni e col serio rischio di pascolare per il mondo da bamboccioni più che da persone attente, interessanti e sagaci.

Frontiere abbattute e mondo senza barriere, dicono. Ma le barriere sono ben altre e con gli anni si erigono sempre più in maniera indissolubile e minacciosa (quale luogo migliore dell’Olimpico per fare certi discorsi?)

Del resto la società cambia e i mutamenti spesso non portano con sé aspetti belli e condivisibili. Prendete questo Roma-Lione che, a prescindere dalla protesta della Sud, anni fa avrebbe portato sin da subito 60.000 persone allo stadio. Sessantamila cuori pronti a spingere all’unisono la squadra per una rimonta difficile e spinosa dopo il 4-2 dell’andata, ma certi di dove essere là. 15.000, di contro, è il dato ufficiale dei tagliandi venduti fino al martedì. Prima che Sky offrisse la possibilità, agli abbonati da oltre un anno, di comprare i biglietti delle tribuna a metà prezzo. Una Tevere a 30 Euro (e al contempo una curva a 20) può richiamare chi le gradinate le frequenta poco. Al resto ci pensano la miriade di hostess che solitamente vengono disposte dalla società nei punti più affollati della città (come Via del Corso) per cercare “clienti” a cui vendere gli inflazionati tagliandi. La Roma (ma il calcio di Serie A in generale) proposta e venduta come lo stracchino al supermercato: “Oggi Certosa Galbani al 50% di sconto, domani tocca al Gorgonzola”.

A me, e a tanti altri ragazzi, mai nessuno ha dovuto convincere per andare allo stadio. È anche per questo che il calcio italiano fa schifo ed ha perso tutto il suo appeal. Siamo famosi per essere un popolo passionale e attaccato alle proprie realtà locali. Eppure, pensate negli ultimi anni quanto il tifoso di calcio si sia disaffezionato e abbia perso proprio quel concetto di fidelizzazione che i vari Amato, Maroni e Alfano hanno cercato di pubblicizzare con le loro opere repressive o le loro bislacche tessere et similia. Un allontanamento così tangibile che i 40.000 di questa serata d’Europa League vengono festeggiati come uno storico sold out. Anni fa ci sarebbero state critiche per una tifoseria “fredda e distaccata”, ma è pur vero che quando si fanno 25.000 spettatori di media, ogni numero più alto è un record.

Peccato che in molti insistano nell’incolpare il tifo organizzato per questa diaspora. Le assenze della curva sono quantificabili attorno alle 3-4.000 unità, se la matematica non m’inganna, mi viene da chiedere che fine abbiano fatto le altre persone? Forse si sono semplicemente stancate di dover passare per trafile estenuanti, costose e spesso umilianti per vedere una partita di calcio spesso anche di basso livello? Se siamo arrivati a un costante utilizzo di metodi elemosinanti per raccogliere gente – spesso puntando su target del tutto avulsi da quelli classici, tra turisti e avventori asiatici che debbono fungere da collante per i loro mercati in espansione – qualcosa che non va ci sarà pure.

E poi c’è il mero aspetto repressivo. Quello che in questa serata hanno toccato con mano anche i tifosi del Lione. Se all’andata, infatti, mi ero trovato a parlare di una gestione dell’ordine pubblico abbastanza soft e ragionata, Roma non si è fatta sfuggire l’occasione per farsi conoscere anche all’estero. Ancora una volta. Quasi tutti i 750 lionesi sono stati minuziosamente perquisiti numerose volte tra una “deportazione” in autobus dell’Atac e l’altra; la spasmodica ricerca di torce e fumogeni (problema nazionale) ha costretto molti dei supporter transalpini ad abbassare i propri pantaloni e in molti casi anche le mutande (ivi compresi donne e bambini) mentre, per chi si è rifiutato, l’ingresso è stato appositamente ritardato.

Se qualcuno stenta a crederci basta leggere i resoconti postati sui forum ultras francesi, la testimonianza di un tifoso lionese rilasciata alla Gazzetta dello Sport e l’esposto presentato dall’Olympique Lyonnais per mano del proprio stadium manager Xavier Pierrot che sempre alla rosea ha dichiarato: “Mai visto cose del genere. I nostri tifosi sono arrivati con sei pullman e un aereo, viaggi organizzati dal club, con dieci steward. Non è gente violenta. Ci sono state due riunioni, mercoledì pomeriggio e giovedì mattina, con la polizia e poi con i rappresentanti Uefa. Non si è mai evocato l’obbligo di mettersi nudi. Siamo indignati, anche perché non c’è stata nessuna distinzione. Hanno costretto donne, anziani e pure minorenni a spogliarsi. Non penso – conclude Pierrot – che se fossimo stati ultrà polacchi o turchi, i poliziotti avrebbero fatto altrettanto. La verità è che i nostri sono fin troppo tranquilli e loro hanno esagerato”.

Dal canto suo la Questura di Roma si è limitata a definire i controlli “accurati ma regolari in quanto non ci trovavamo in presenza di educande. L’importante è che non siano avvenuti incidenti”. E come dargli torto? Questa, del resto, è la logica che muove e determina spesso le azioni delle Questure. Nulla di nuovo per noi. Bene che chi viene da fuori lo denunci, sarebbe ora che oltre le Alpi, magari a Nyon, si cominciassero a prendere seri provvedimenti nei confronti della gestione degli eventi sportivi da parte delle autorità italiane. Ma questo difficilmente avverrà e le stesse potranno continuare a trincerarsi dietro la scusa dell’ordine pubblico. Un po’ come successe nel 2007 quando i tifosi del Manchester United vennero selvaggiamente massacrati di manganellate, con tanto di videocamere intente nella ripresa dei fatti strappate di mano ai supporter, e proteste da parte del governo britannico. La polizia italiana? Anche in quel caso glissò. “Gli agenti si sono comportanti correttamente” dichiarò a posteriori l’allora Prefetto della Capitale Achille Serra (antesignano delle attuali barriere con la sua scala gialla al centro dei settori popolari).

È ancora importante parlare dell’ambiente dell’Olimpico dopo tutto ciò? La sbrigo velocemente: per i francesi buona prestazione di tifo, anche se con numeri tutt’altro che eccellenti, ma passabili considerato il loro recente passato, con presenze pressoché irrisorie in Italia (ne ricordo in particolar modo una a Firenze, qualche anno fa in Champions League). Il pubblico di casa rumoreggia più del solito, anche se con la presenza della Sud una serata come questa avrebbe sicuramente assunto contorni epici. Ma tant’è. Passa il Lione, la rimonta non riesce.

Testo di Simone Meloni.

Foto di Cinzia Lmr.