Ormai Luca “Baffo” Gigli si candida a “rubrichista” ufficiale della nostra rivista. Dopo il successo del suo angolo grafico “One Step Beyond” (potete leggere qui la sua ultima puntata), inaugura una nuova rubrica la cui natura, i lettori più affezionati di “OSB” intuiranno facilmente. Siamo un po’ fuori dal nostro “target”, visto che ci occupiamo quasi esclusivamente di tifo, ma in virtù della grande passione e competenza con cui Luca ha dato forma a questo suo amore per il calcio giocato, nella fattispecie quello degli anni ’80, abbiamo appunto deciso di fare uno strappo e aprire a questa nuova sperimentazione narrativa.
Buona lettura.

 

La caratteristica, folkloristica e indimenticabile “danza della bandierina” del mitologico Juary nel biennio 1980-82 in cui giocò ad Avellino, in Serie A.

Al secolo Juary Jorge dos Santos Filho, questo talentuoso calciatore brasiliano, cresciuto nella leggendaria squadra bianconera del Santos (vera fucina di talenti verdeoro), dopo ogni rete esultava girando di corsa per tre volte intorno alla bandierina del calcio d’angolo.

Proprio lui raccontò l’aneddoto riguardante questo suo particolarissimo modo di festeggiare i goal; racconto che si mescola con la leggenda: siamo nel 1978, durante il derby tra il suo Santos e il São Paulo, il piccolo Juary (che quel giorno siglò addirittura una tripletta, risultato finale 3-1) alla prima marcatura, talmente euforico per aver segnato e non riuscendo a contenere l’entusiasmo (e aggiungeteci: essendo appassionato di samba) si lasciò andare a quella corsa intorno alla bandierina del calcio d’angolo. Usanza che d’allora – anche per comprensibili motivi scaramantici – avrebbe ripetuto per ogni suo goal, tanto che, in tutto il Sudamerica, il piccolo attaccante fu soprannominato “il bomber della bandierina”.

Fu proprio questa sua esultanza sfrenata a calamitare l’attenzione del presidentissimo dell’Avellino, Antonio Sibilia, alla ricerca d’una punta per la sua squadra che in quei primi Anni ’80 stava facendo sfracelli nella massima serie e vivendo l’acme della propria storia sportiva. Con la maglia biancoverde irpina, Juary totalizzò 13 reti (non moltissime per la verità) finché addirittura l’Inter mise gli occhi su di lui e lo acquistò.

Come spesso accade in questi casi – di calciatori che in Provincia sono delle autentiche “divinità” e danno il meglio di sé, ma una volta ingaggiati dalle cosiddette grandi, cadono in disgrazia – il passaggio alla Beneamata non giovò alla minuta punta brasiliana che, anche per via d’incomprensioni e d’una difficile integrazione nello spogliatoio nerazzurro, totalizzò soltanto due reti a fronte di 21 presenze… dunque poté dare libero sfogo alla sua danza della bandierina davvero col contagocce; e in occasione di una delle due reti, siglata contro il Catanzaro e nella fitta nebbia di San Siro, nessuno se ne accorse, eccetto lui e l’arbitro, come ebbe modo di raccontare egli stesso, denotando invidiabili autoironia e senso dell’umorismo.

Restò per una sola stagione all’Inter (82-83) e fu quindi “scaricato” a club provinciali che però disputavano pur sempre il nostro massimo campionato; fu dapprima ad Ascoli, quindi a Cremona, totalizzando rispettivamente 5 e 2 reti, un bottino assai magro…

La stella del piccolo Juary pareva destinata a spegnersi di lì a poco, ma la dea bendata volle fare un ultimo e grande regalo al bomber carioca. Fu ingaggiato dal Porto con cui disputò tre stagioni di alto livello tecnico e siglò più di qualche goal (in una squadra che comunque aveva in rosa grossi fuoriclasse e in cui era immensamente più difficile mettersi in mostra rispetto a club come Avellino, Ascoli e Cremonese).

La soddisfazione più grande (non parlo di gioia perché, a suo dire, la più grande gioia è stata la nascita dei suoi sei figli) la ebbe la notte del 27 maggio del 1987, allorquando, allo stadio Prater di Vienna e davanti a oltre 60.000 spettatori, Juary realizzò il goal decisivo del 2-1 nella finale di Coppa dei Campioni che vedeva contrapposti il Porto e il Bayern Monaco di Matthäus e Rummenigge… davvero non male per un calciatore che qualche anno prima, in Italia, era ormai considerato finito e che quella notte di maggio poté alzare al cielo il trofeo continentale più ambito.

La carriera sportiva di Juary fu completata anche dalle panchine – in qualità di allenatore – di squadre giovanili prevalentemente del Sud Italia ma anche quella più prestigiosa (sempre nelle giovanili) del Porto. Dopo qualche esperienza, in anni recenti, sulle panche della nostra Serie D (Aversa e Sestri Levante) il piccolo grande Juary è tornato in patria, forse non resistendo, come quasi tutti i suoi connazionali, al richiamo della “saudade”. Comunque resta forte il suo legame con lo Stivale, in quanto ha una figlia che s’è sposata e vive a Salerno. Lui, adesso, si occupa del settore giovanile del Santos, la sua prima squadra, in un Paese dove ancora i ragazzini giocano a pallone scalzi per le strade e sulle spiagge, sognando di fare carriera e diventare come i grandi futeboleros del passato (ma anche del presente: tipo Neymar) che dopo aver sfondato in patria, “colonizzarono” coi loro tocchi e la loro classe la Vecchia Europa… Zico, Falcão, Cerezo, Sócrates, Júnior e compagnia “calciante”.

Nel tempo libero il buon Juary non disdegna di seguire i ragazzi disagiati delle favelas a cui regala palloni, magliette e buoni consigli, cercando di strapparli alla strada e alla malavita. Comunque, di tutta la sua lunga carriera – che lo vide anche per due volte vestire la blasonata casacca della Seleção – le immagini più belle restano quelle legate a quei perduti Anni ’80 quando, nella piccola Avellino, uno scricciolo di calciatore brasiliano pazzo di euforia dopo un goal si lasciava ammirare nella sua folle, divertita, divertente e contagiosa danza intorno alla bandierina del corner. Una danza divenuta un piccolo fenomeno di costume di quegli anni e simbolo di un’epoca più genuina e spensierata e d’un Calcio mai tanto affascinante e trasognato.

Luca “Baffo” Gigli.