02. Curva Nord TarantoCurva Nord Taranto: Tifoseria tra le più passionali e numerose d’Italia, quella per il Taranto è una vera e propria fede, soprattutto se si considera che – a dispetto delle performance dei supporters rossoblu e della grandezza della città (una delle più grandi del Mezzogiorno) – questo club pugliese non ha mai assaporato l’ebbrezza della Serie A e nella sua travagliatissima storia s’è dovuto “accontentare” di partecipare a 32 campionati di Serie B e 44 di C.
Al di là delle mille peripezie societarie (per cui occorrerebbe troppo spazio) che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni della storia di Taranto calcistica (con fallimenti e ripartenze dai gradini più bassi delle gerarchie pallonare), spesso ci s’è messa pure la sfortuna e la fatalità del destino. Come nella stagione cadetta 1977-78, allorquando la squadra jonica viaggiava a vele spiegate verso la storica promozione nella massima serie, sospinta soprattutto dai goal dell’indimenticato bomber Erasmo Iacovone (di origine molisana, della provincia di Isernia); e, con tutta probabilità, ed al ritmo dei suoi goal, la promozione al Taranto non gliel’avrebbe tolta nessuno… senonché il buon Erasmo (considerato il più grande calciatore della storia rossoblu e comunque uno dei più forti della categoria, costato ben 400 milioni di lire, cifra folle per l’epoca) trovò la morte, a soli 26 anni, in un incidente stradale per mano d’un ladro in fuga dalla polizia che gli piombò addosso di notte e a fari spenti. Fu una tragedia che scosse profondamente il mondo del Calcio italiano e la piazza tarantina che non riuscì a rialzarsi da una simile batosta e perse il treno per la Serie A, in una delle stagioni più belle (da principio) e tragiche (dopo la morte del suo bomber) della storia calcistica rossoblu.
Certo, di stagioni più o meno esaltanti il Taranto ne ha vissute tante dopo di allora, ma quella legata al ricordo del suo perduto figlio adottivo (cui è intitolato lo stadio) è rimasta nei racconti e nel cuore di tutti i tifosi rossoblu come qualcosa di fulgido e irripetibile, come se il tempo si fosse fermato nell’attimo in cui si scriveva la pagina più tragica e toccante della storia calcistica (e non solo) della grande città jonica.
Purtroppo è un dato di fatto, che ancora oggi e dopo mille vicissitudini e sfortune, Taranto calcistica sia ancora confinata in campionati indegni del suo blasone e delle sue potenzialità.
Una tifoseria tra le più sanguigne e calorose del Sud, capace di numeri strabilianti se rapportati ai palcoscenici cui la squadra rossoblu ha purtroppo abituato i suoi seguaci. Mi ricordo un anno – non saprei neanche dire quando con esattezza, introno alla metà degli Anni ‘90 – in uno dei tanti sciagurati campionati di C2 che si stava consumando, quando allo Iacovone, con un Taranto ultimo in classifica, c’erano 10.000 spettatori! Per non parlare degli esodi in trasferta che la squadra rossoblu riusciva a muovere (storico in tal senso fu lo spareggio a tre di Napoli, per la permanenza in Serie B, nell’estate dell’’87, contro Lazio e Campobasso, quando ci furono circa 10.000 tarantini al séguito); numeri incredibili che la dicono lunga sull’attaccamento e sull’incrollabile fede di questo irraggiungibile popolo sportivo.
Nei due disegni oggetto di questa presentazione, ho cercato di “rendere” quella sensazione di unicità che da sempre m’ispira la tifoseria rossoblu. Il primo è un omaggio all’intera Curva Nord, che proprio negli ultimissimi anni – a fronte di miriadi di gruppi che storicamente hanno popolato i suoi gradoni – sta tentando una strada più unitaria, soprattutto in trasferta, in cui la quasi totalità della tifoseria si riconosce dietro il grande striscione Curva Nord Taranto (che quest’anno ha lasciato il campo a Solo per la maglia). La scelta del teschio (con tanto di squarcio frontale post-lobotomia), vuol richiamare un certo modo di intendere il tifo, per una Curva che – seppur con materiale curato e impeccabile – ha sempre mantenuto una matrice molto eighty, legata al fascino dato dagli intramontabili striscioni e tamburi, per una piazza calcistica che ha sempre avuto un che di sudamericano, forse dato dalla traboccante folla che domenicalmente assiepa gli spalti del suo stadio.
Il secondo disegno, invece, vuole (attraverso una frase ripresa pedissequamente da un loro striscione) rimarcare come, oltre a primeggiare nel tifo e nel calore e colore, anche a livello comportamentale, la Nord di Taranto non sia seconda a nessuno. Il tutto si riferisce ai tragici fatti del novembre 2007, quando Gabriele Sandri trovò la morte per mano di un Potere oscuro e corrotto, e la Nord di Taranto (insieme alla Nord di Bergamo) fu l’unica Curva che impedì lo svolgimento della propria partita (nello specifico Taranto-Massese), giudicando da sé che, davanti all’assassinio assurdo d’un ragazzo come loro, il Calcio doveva fermarsi a qualunque costo… e così fu. Ed il calciatore col pallone sottobraccio che pare guardare anch’egli la scritta con cui gli Ultras rossoblu hanno voluto ricordare a tutti il proprio gesto, vuol rendere quella sensazione d’un Calcio che s’è dovuto – suo malgrado – fermare, in un giorno in cui il mondo Ultras è riuscito ad essere realmente determinante, pagandone poi (come sempre) sulla propria pelle, le inevitabili conseguenze, quelle d’un Potere repressivo schiumante rabbia per essere stato – per una volta – messo nell’angolo. Tutti, amici e nemici, dovremmo sentirci orgogliosi di quello che riuscì a fare la Nord di Taranto quasi dieci anni fa: un vanto e un esempio per l’intero movimento Ultras nazionale, qualcosa di cui andare fieri. Intransigenza e coerenza al 100%, il senso più profondo e primordiale dell’essere Ultras.

03. US Avellino 1912

US Avellino 1912: Una delle provinciali di lusso della storia calcistica italiana, l’Avellino è espressione del profondo Sud, della sua terra e della sua gente. Antico club nato nel 1912, dopo lunghi anni vissuti nei campionati minori (tra cui tanta Serie C), è verso la metà degli Anni ’70 che – guidato da una nuova società – questo intraprendente team riesce a raggiungere dapprima la Serie B e quindi, nella storica stagione 1977-78, ad approdare nella massima serie, in cui i lupi biancoverdi “resistettero” per ben 10 (!) stagioni consecutive.
Superfluo dire che fu quel decennio vissuto in Serie A il periodo sportivo più bello e indimenticabile per la città e per l’intera Irpinia (da sempre inesauribile serbatoio di tifosi). Anni di raggiante meraviglia, forse irripetibili, figli di un altro Calcio, più genuino e spensierato, quando passione ed entusiasmo riuscivano ancora a fare la differenza, anni in cui era normale anche vedere un Verona vincere lo scudetto. E una terra dimenticata e lontana dai grossi centri e dai riflettori, poté così riscattarsi e riversare sulla propria squadra di Calcio tutto l’entusiasmo che aveva, tutta l’euforia contagiosa che poteva derivare da una città di provincia non grandissima che si ritrovò a giocarsela con squadroni che avevano scritto (e continuavano a scrivere) la storia del Calcio di questo Paese.
E di soddisfazioni l’Avellino se ne tolse più di qualcuna – al di là dei 10 anni consecutivi in Serie A che restano il dato oggettivamente più impressionante – riuscendo a battere mostri sacri come Juventus, Inter e Milan. Proprio la roboante vittoria, nella stagione 83-84, per 4-0 sui rossoneri (da poco tornati in serie A dopo gli scandali del Totonero) può essere presa ad icona di quegli anni, con un Partenio sempre gremito in ogni ordine di posti, per una squadra divenuta tra i simboli del Calcio degli Anni ’80, che profumava di speranza e di perduranti miracoli sportivi.
Passione, quella per l’Avellino, che contribuì e non poco a mitigare (per quanto possibile) il dramma che la terra irpina aveva vissuto in quell’inizio di decennio, quando il catastrofico terremoto devastò le vite (quasi 3.000 vittime) e la ritualità d’una terra ancora profondamente legata ai cicli d’un’esistenza semplice, in cui l’economia si riconosceva ancora nell’agricoltura e nella pastorizia. Un Calcio dunque che, forte dei momenti di spensieratezza e ludica condivisone collettiva, ancora una volta, riuscì a trascendere l’ingenuo e semplice concetto di puro sport e intrattenimento, assurgendo – forse suo malgrado – a veicolo capace di trasferire sulla ribalta mediatica nazionale gli umori, le istanze e le problematiche d’una terra e d’un popolo. Un Calcio che divenne un determinante fattore culturale e sociale, come dovrebbe essere sempre per tutto lo Sport nel suo insieme.
La tifoseria dell’Avellino, non da meno della sua squadra, ha scritto pagine indelebili della storia Ultras d’Italia. Forse c’è qualcosa che s’insinua fatalmente in tutte quelle piazze che hanno vissuto il Grande Calcio e poi magari son finite nella polvere, per cui le generazioni di tifosi continuano a tramandarsi di padre in figlio (probabilmente senza neanche rendersene conto) una passione che sta sottopelle, che continua a covare a dispetto delle categorie. Mi viene da pensare, d’istinto, ad altre piazze che vedo simili a quella biancoverde irpina, pur se diverse per grandezza e peculiarità geografica, piazze che hanno conosciuto momenti di gloria (svariati campionati di Serie A e B) per poi finire, spesso, nella polvere, anche ripetutamente, perdurando però una tradizione e una cultura calcistica al di là delle categorie : Cava, Nocera, San Benedetto, Campobasso, Catanzaro, Cosenza, Castellammare, Torre Annunziata, Caserta, Taranto, Barletta, Potenza, Andria, Como, Pisa, Venezia, Trieste… dette in ordine casuale e dimenticandone certamente tante altre.
Una tifoseria, quella avellinese, che proprio negli anni post-Serie A ha fatto vedere le cose migliori: una Curva sempre piena, talora traboccante, imbandierata e festante, maestra di elaborate e spettacolari coreografie, con quella sciarpata che è il pezzo da novanta d’una tifoseria senz’altro straordinaria se rapportata al ristretto bacino d’utenza. Un tappeto verde che rende le partite dell’Avellino un sicuro spettacolo, se non altro sugli spalti. Per non parlare del séguito in trasferta: migliaia di tifosi, compatti, massicci e che tifano per 90 minuti ed oltre, dando spettacolo anche a centinaia e centinaia di chilometri da casa, anche aiutati dai tanti lavoratori e studenti irpini sparsi soprattutto nel Centro-Nord e che non fanno mancare mai il loro apporto quando i lupi biancoverdi giocano lontano dalle mura amiche.
Nel mio disegno ho voluto rispettare la tradizione: al centro ho posto la testa d’un lupo, molto classica e verosimile, da sempre simbolo del club irpino. Le scritte, disposte su due livelli (in un font 3D) non chiamano in causa nessuno delle decine di gruppi che negli anni hanno abitato la Sud biancoverde, ma semplicemente riportano il nome della città e la “ragione sociale” del club, completa di anno di nascita. E non è un caso: a lungo la tifoseria dell’Avellino ha lottato e difeso (appropriandosene anche in sede legale ai tempi del fallimento) il marchio storico della società e il suo nome, anche se la cosa ha provocato persino qualche frattura fra i più oltranzisti e chi decise di tornare pur con nome e logo inizialmente diversi. Dunque US Avellino 1912 è lo specchio fedele di quello che è (ed è sempre stata) la tifoseria biancoverde. Discorso che potrebbe estendersi tranquillamente a tutte quelle piazze che hanno visto fare scempio delle proprie squadre e dei relativi simboli e marchi, spesso finiti nella polvere e calpestati. Ma se c’è una parte di ogni tifoseria, per cui il nome storico del proprio club e relativo anno di nascita, può essere portato ed esibito sempre e a dispetto di fallimenti e sentenze dei tribunali, quella parte sono gli Ultras, la porzione più sana, pensante e nobile del Calcio di oggi.

04. Panthers Front

Panthers Front Lucca: Società calcistica storica della Toscana e del Centro-Nord, la Lucchese può vantare la partecipazione a ben 8 campionati di Serie A (seppur lontanissimi nel tempo, l’ultima volta nella massima serie fu nel 1951-52) e 19 di B (l’ultima nella stagione 1998-99).
Club molto antico, datato 1905, leggenda vuole che la società lucchese fu fondata da un gruppo d’amici di ritorno dal Brasile, rimasti affascinati dalle giocate dei futboleros sudamericani. Per i colori sociali rossoneri, invece, pare furono scelti in omaggio al Milan – squadra che già all’epoca andava per la maggiore – anche nella speranza che portassero fortuna.
Al di là dei lontani anni passati in Serie A, il periodo più florido per il club toscano è stato senz’altro quello del decennio degli Anni ’90, in cui la Lucchese ha stazionato consecutivamente nella serie cadetta per ben 9 stagioni consecutive, lottando anche – in almeno due occasioni – con le squadre di vertice che si giocavano la promozione. Purtroppo, dopo di allora, la discesa in Serie C e mille peripezie – ormai sempre più tristemente comuni a tantissime squadre della Provincia italiana – legate a dissesti economici che portarono al fallimento e alla conseguente ripartenza dalle categorie dilettantistiche.
Lucca, oltre ad essere una delle città artisticamente più belle d’Italia, ha anche un bellissimo stadio, il Porta Elisa, ristrutturato più volte, che attualmente è uno degli impianti di gioco più belli e funzionali per il Calcio che ci siano in circolazione.
La tifoseria rossonera è sempre stata molto calorosa, quasi “latina”, con un séguito corposo e rumoroso anche in trasferta. Ricordo quand’ero ancora molto giovane ed iniziavano a diffondersi le prime riviste specializzate sul mondo del tifo organizzato (che uscivano rigorosamente in edicola, l’era di internet era di là da venire), ebbene la Curva Ovest di Lucca – in un vecchio, romantico e affascinante Porta Elisa pre-ristrutturazione, con tribune in tubi di ferro e cemento prefabbricato – era sempre presente e si mostrava costantemente colorata e combattiva. Mi affascinavano molto quelle immagini ed era bello scoprire un mondo del tifo che fino a quel momento non si conosceva affatto – se non attraverso le sporadiche immagini televisive dei brevi frammenti che venivano concessi alla Serie C – e che spalancava le porte a una suggestione e a un fascino che ancora mi porto dentro. E lo striscione Panthers Front campeggiava in quella Curva sopraelevata e per anni ha fatto la storia della Lucca Ultras.
A quel periodo, a quelle suggestioni, è dedicato questo mio disegno, circolare, immaginandolo come una sorta di adesivo da attaccare sulle strade che portano allo stadio, con i colori rossoneri posti obliquamente e con l’immancabile pantera simbolo di squadra e città (oltre che, come dice il nome stesso, del gruppo Ultras). La scritta, in un font incisivo e battagliero, completa di anno di nascita del gruppo, è in bianco, per risaltare sul fondo scuro sottostante. La dicitura “red-black pride” è ripresa da un loro adesivo di quegli anni ed è indicativa e sintomatica proprio di quel periodo, di quando, sulla scia dei più importanti gruppi italiani, ogni città iniziò ad avere il suo gruppo Ultras, che sentiva la necessità – chissà perché – d’identificarsi in un “motto” (espediente che oggi può apparire ingenuo e far sorridere… ma eravamo negli Anni ’80). Erano i tempi pioneristici e spensierati del “from here to eternity” e del “solo i più forti dominano e noi domineremo” ed altre robe del genere. Pura nostalgia!

05. Ultras Cavese

Ultras Cavese: Della suggestione, dell’importanza e dell’influenza che ha avuto la tifoseria cavese all’interno del panorama Ultras nazionale, abbiamo già detto nelle puntate di One Step Beyond #5 e #9.
Rimanendo fedele al fascino che da sempre esercita il bellissimo logo sociale di questo club campano, l’aquilotto stilizzato col pallone retrò, in questo disegno ho voluto mantenermi sul classico, utilizzando soltanto due colori, e ho inseguito la strada dell’essenzialità, cercando di realizzare un prodotto il più possibile minimal. Tutto è giocato sull’impatto dato dal bianco che contrasta fortemente sul fondo blu, sulla robustezza della scritta, posta a destra e sinistra del logo e sull’assoluta linearità dell’insieme. La cornice bianca dagli angoli lievemente smussati, crea un rettangolo molto allungato che conferisce movimento e colma gli spazi, restituendo una sensazione quasi futuribile.
Considero questo disegno come uno dei miei più riusciti (sorta di “summa” della mia visione grafica di questi ultimi anni) e poter realizzare qualcosa di semplice e allo stesso tempo di profondo significato concettuale – anche grazie all’ispirazione che riescono ancora a darmi tifoserie storiche come quella metelliana – mi fa sentire, almeno per un momento, soddisfatto, dandomi gioia e portandomi a credere che forse non sono ancora completamente impazzito nel passare giorni interi a disegnare, dannandomi l’anima e la vista.

Luca “Baffo” Gigli.

***

LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;