Civitanovesi: Squadra tradizionale del Centro-Italia, che ha militato prevalentemente nelle serie minori e che può vantare nella sua, ormai, quasi centenaria storia, 14 campionati di Serie C2, 2 di C1 e altri 5 della vecchia Serie C, la Civitanovese è – per i suoi tifosi – una vera e propria istituzione.

Club nato nel 1919, disputò il suo primo campionato di Serie C in pieno Secondo Conflitto Mondiale, stagione 1942-43. Nel dopoguerra, dopo altre due stagioni nella medesima Serie nazionale, la Civitanovese militò perlopiù nel campionato della vecchia Promozione, nell’Interregionale e ancora una volta nella vecchia Serie C.
Negli Anni ’60, invece, e fin quasi alla fine dei ’70, la compagine rossoblu si fece 15 campionati consecutivi in Serie D, fino ad arrivare alla stagione 77-78, allorquando, classificandosi al terzo posto nel suo girone, e insieme a Carpi, Vis Pesaro e Osimana, venne promossa nella nascente Serie C2, che prevedeva – eccezionalmente per quell’anno – 4 promozioni per girone dalla Serie D. Iniziò così l’epoca d’oro del Calcio civitanovese, con la squadra marchigiana che nelle stagioni 80-81 e 82-83 ottenne due storiche promozioni in Serie C1, retrocedendo però – sempre per un solo punto! – in entrambe le occasioni, immediatamente in C2.
Furono, quei due campionati di C1, qualcosa di straordinario per la città di Civitanova e per il suo stadio – il Polisportivo, inaugurato nei primi Anni ‘60, e che in quei campionati si riempì fino al limite della capienza – il cui rettangolo verde fu calcato da squadre del calibro di: Salernitana, Reggina, Livorno, Bari, Foggia, Messina, Siena, tutte compagini che avevano o che avrebbero disputato nel corso degli anni la Serie A.
Storica, di quegli anni, rimase l’amichevole estiva disputata il 19 agosto dell’’84 contro il Milan di Liedholm, Hateley, Di Bartolomei e Virdis, in un Polisportivo che – a fronte di un’omologazione inferiore ai 10.000 posti – fece registrare circa 20.000 spettatori!
Erano altri tempi, gli anni più belli del Calcio italiano, quando lo sport più popolare e bello del mondo voleva significare prima di tutto aggregazione e totale catarsi collettiva dai mali e dai problemi della società civile. Anche dal punto di vista Ultras, la piazza civitanovese ha sempre rappresentato un’eccellenza nel mondo del tifo organizzato, forte d’una delle tifoserie più calde ed ammirate del panorama calcistico minore e provinciale.
Personalmente credo che Civitanova Marche rappresenti una vera e propria icona del mondo Ultras di Provincia, capace di esprimere un tifo autentico e non viziato dalle mode passeggere del momento. E gruppi come le Brigate Rossoblu hanno ben rappresentato quella sensazione d’un tifo senza tanti fronzoli, spartano e genuino, che partendo dai banchi di scuola e dai più dolci sogni d’infanzia è stato capace di perdurare nel tempo, attraverso i decenni.
E muovendo dalla più normale e anonima Provincia italiana, la Civitanova Ultras è stata capace di farsi apprezzare in tutta la Penisola (con gemellaggi importanti come San Benedetto e Rimini) e non solo, varcando addirittura le Alpi e costruendo solidi rapporti d’amicizia anche con importanti tifoserie straniere, come quelle del St. Pauli Amburgo e del Bayern Monaco, che ha addirittura dedicato alle BRB Civitanova, una coreografia a tutta Curva in occasione del loro trentennale.
Tifoseria che, oltre alle BRB che restano uno dei gruppi storici e di riferimento del panorama Ultras nazionale, ha potuto contare su tanti altri gruppi nati nel corso dei decenni. Sintomo questo d’una passione atavica ma capace d’infettare ancora oggi le nuove generazioni, sicuramente più insofferenti alle regole d’un “codice non scritto” e che spesso, con atteggiamenti riottosi – espressione d’un malessere figlio dei tempi più che di scelte pontificate – hanno addirittura portato a delle scissioni all’interno della tifoseria stessa.
Nel corso degli anni s’è assistito ad un Polisportivo che tifava in “stereofonia” (come nelle grandi piazze Ultras) con le vecchie BRB da una parte e i “dissidenti” nella cosiddetta “Curva Nord”. Divisone che non ha certo giovato sulla resa totale del tifo, ma che non ha comunque intaccato l’entusiasmo e la fede calcistica d’una piazza da sempre perfetto esempio di calore e colore, che sovente è stata capace di fare la differenza, conquistandosi il rispetto e il timore degli avversari di turno, soprattutto in occasione dei famigerati derby marchigiani, quello contro l’odiata Maceratese su tutti.
Ed anche il séguito in trasferta a sostegno dei colori rossoblu è sempre risultato ottimo, talora con vere e proprie migrazioni, soprattutto in occasione del derby di cui sopra, uno dei più sentiti, caratteristici e pericolosi delle Serie minori. Negli ultimi anni – com’è triste costume un po’ ovunque – la Civitanova calcistica ha dovuto fare i conti con bilanci societari disastrati e con la cronica mancanza di denaro che hanno portato lo storico club marchigiano al fallimento, non iscrivendosi alla Serie D in cui, negli ultimi anni, la compagnie rossoblu aveva mostrando grandi prestazioni e numeri, rientrando spesso nel lotto delle pretendenti alla vittoria finale.
Fortunatamente la ripartenza dall’Eccellenza marchigiana ha dato subito i suoi frutti, con una Civitanovese rientrata immediatamente in Serie D dopo un solo anno di “purgatorio”. Merito della nuova società, dei ragazzi in campo, della città tutta, ma soprattutto dei suoi Ultras che – come avevano già fatto nell’anno del fallimento – mettendo da parte divisioni e incomprensioni, si riconoscono dietro l’unico e bellissimo striscione Civitanovesi, per un tifo che parla finalmente con una sola voce.
E in tale direzione – quella d’un’unità d’intenti coesa e totale – va anche il mio disegno, con la testa d’un Ultras molto Anni ’70 che vuol richiamare proprio la matrice profondamente genuina e popolare del tifo civitanovese, con tanto di volto travisato alla vecchia maniera, pronto allo scontro con nemici e sbirri, che si concede l’unica modernità rappresentata dagli occhiali da sole che perfezionano il camuffamento. Il font usato per la scritta fa molto Anni ’90, sicuramente i migliori per il tifo italiano in quanto a numeri, performance e tensione emotiva, e si staglia su un immaginario lungo striscione pezzato orizzontalmente di rossoblu che conferisce al tutto – mi si consenta – un sapore retrò e d’avanguardia insieme. L’uso di un blu non eccessivamente scuro (e che riprende pedissequamente quello del fazzoletto travisante) l’ho scelto per dare uniformità all’insieme, con un blu troppo scuro che avrebbe mortificato eccessivamente il nero delle scritte, della figura e della cornice; nero sul cui sapiente dosaggio è basata la riuscita e l’essenza stessa di questo disegno.

02. Curva Nord Frosinone

Curva Nord Frosinone: Club balzato alla ribalta nazionale negli ultimi anni e letteralmente sulla bocca di tutti nell’ultimissimo scorcio temporale, con la storica conquista della Serie A in cui – al momento in cui scrivo – il Frosinone è ancora in lotta per la salvezza, seppur con le speranze ridotte davvero al lumicino e con una retrocessione incombente. Retrocessione che comunque non intaccherebbe minimamente la grandissima e dignitosissima figura fatta dalla squadra ciociara in questa sua prima, straordinaria partecipazione alla massima Serie nazionale.
Antico club del Centro-Sud, il Frosinone nasce nel lontano 1912 e nel corso degli anni passa per varie denominazioni e partecipa a tornei e campionati minori e di basso profilo, vantando, a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, l’accesso alla Prima Divisione, una sorta di Serie C ante litteram, pur senza parteciparvi per problemi interni alla società che la terranno inattiva per qualche anno. Nel Dopoguerra, dopo una partecipazione d’ufficio alla vecchia Serie C, per i giallazzurri inizia un lungo periodo di gavetta nelle serie minori a carattere interregionale, come la vecchia Promozione e la leggendaria IV Serie da cui – dopo svariati anni di partecipazione consecutiva – il Frosinone verrà radiato, nella stagione 1958-59, per inadempienze d’iscrizione e per forti contrasti con la FIGC relativi all’anno precedente.
Ripartendo dalle categorie dilettantistiche regionali, per tutti gli Anni ’60 e ’70 seguirono tanti campionati di Serie D in cui spiccano due promozioni nella vecchia Serie C. Poi, per tutti gli Anni ’80 e ’90 il Frosinone partecipò stabilmente al campionato di C2, disputando spesso degli ottimi tornei e sfiorando letteralmente la promozione all’ultima giornata in almeno un paio d’occasioni. Nell’86-87 vinse il campionato e partecipò per due anni consecutivi alla C1 da cui retrocesse per un solo punto.
Come ogni buon club della Provincia italiana che si rispetti, nel 1990 il Frosinone fallì e dovette ricominciare nuovamente dai gradini più bassi della scala calcistica. Fortunatamente per il popolo ciociaro, gli ultimi decenni sono stati i più belli per la storia del Calcio giallazzurro, con gli almanacchi che raccontano d’un club che a piccoli passi, ma inesorabilmente, ha scalato le gerarchie del pallone, passando dalla Serie D alla C2 e quindi alla C1, fino alla stagione 2005-06 quando – attraverso i play-off e battendo in doppia sfida il Grosseto in finale – il Frosinone approdò per la prima volta nella sua storia in Serie B, facendo esplodere di gioia una città e quasi una provincia intera. Serie B che i ciociari avrebbero mantenuto per 5 stagioni consecutive, disputate con grande entusiasmo e togliendosi non poche soddisfazioni, come quella di comandare la classifica in solitario per diverse giornate consecutive, al quarto anno in cadetteria, stagione 2009-10.
L’anno successivo, la retrocessione, a cui seguirono tre stagioni di C1 (Lega Pro) culminate con la vittoria dei play-off e la nuova promozione in Serie B, dopo il doppio confronto in finale col Lecce, nel giugno del 2014. E l’anno successivo di Serie B fu un ulteriore trionfo, col Frosinone che, conquistando il secondo posto solitario dietro all’altrettanto sorprendente Carpi, e senza passare per gli spareggi, conquistò la storica e incredibile promozione in Serie A, terza squadra del Lazio dopo le due romane a poter vantare la massima categoria.
Una squadra che solo quindici anni prima disputava campionati semiprofessionistici e giocava derby, pur belli e appassionanti, contro realtà della sua provincia quali Sora e Ceccano, si trova oggi sul gradino più alto del Calcio italiano a giocarsela – spesso alla pari – contro le più grandi squadre della Storia calcistica di questo Paese, viste da sempre soltanto in TV. Potenza del gioco del Calcio che, talvolta e per fortuna, riesce ancora a sorprenderci.
A livello Ultras, il fenomeno a noi più caro arrivò nella città del Campanile verso la fine degli Anni ’70 e – come in molte piazze del Centro-Sud – esplose definitivamente negli ’80. Svariati sono stati i gruppi e le sigle che si sono succeduti prima nella Curva Sud e quindi in Nord nel corso del tempo. Una menzione la meritano senz’altro i vecchi Heroes Korps, che per anni hanno tirato le fila del tifo per i leoni ciociari, e gli Über Alles, tutt’ora in attività e tornati stabilmente in Curva Nord dopo un periodo di “esilio” nei Distinti, gruppo molto originale nel nome (unico in Italia) che non ha mai nascosto la propria fede politica molto radicale e nazionalista.
La tifoseria dei leoni giallazzurri ha sempre avuto buoni numeri, magari non stratosferici, ma le casacche canarine non sono mai state lasciate sole e va da sé che, nelle ultimissime stagioni, anche un po’ per curiosità e perché no anche per moda, il seguito s’è fatto molto più consistente, con un Matusa sempre gremito fino al limite della capienza dei circa 10.000 posti. È fuor di dubbio che la prima stagione nella massima Serie avrebbe meritato uno stadio più grande e più consono, capace di ospitare comodamente tutti coloro che avrebbero voluto seguire le gesta dell’undici ciociaro, ma è pur vero che – al contrario di altre realtà, Sassuolo e Carpi, che si sono dovute piegare ad assurde e cervellotiche decisioni imposte sia dalle proprie stesse società che dalla Lega – il Frosinone è riuscito a vivere la sua favola della Serie A nel suo stadio, nella sua casa, com’è giusto che sia.
E pare che la costruzione del nuovo stadio, il “Benito Stirpe” nel quartiere Casaleno, paventato da decenni e che soltanto con l’approdo in Serie A ha visto riprendere i suoi lavori, sia il preludio allo smantellamento del vecchio impianto. Che peccato sarebbe!… Credo che fino a quando il Calcio italiano sarà in mano a speculatori, a politici e ad amministratori incapaci di capire e tutelare – alla pari dei monumenti d’interesse storico – dei veri e propri patrimoni come lo sono i vecchi, romantici stadi, l’orizzonte sarà sempre più tetro e il futuro sempre più povero di speranza.
Buttare giù una tribuna o una gradinata, su cui generazioni e generazioni d’individui, di nonni, padri figli e nipoti, hanno convissuto con entusiasmo, tramandandosi la più collettiva e totalizzante delle passioni, è soltanto un crimine e andrebbe perseguito per legge!… I vecchi impianti in centro città rappresentano la vita e l’identità stessa delle collettività che li hanno usati e vissuti. Non capire questo, vuol dire non capire il Calcio e il suo insito potenziale di collante sociale, oltre ed avere una visone della vita, più corta e triste del proprio naso.
Venendo al disegno in oggetto, su uno sfondo azzurro carico, ho posto in posizione centrale la testa d’un leone, stilizzata ma molto ben rifinita. Alla sua destra e sinistra ho tirato una doppia riga dello stesso giallo oro del leone, quindi vi ho posto all’interno la dicitura CURVA NORD, a voler comprendere tutti i gruppi e tutte le persone che domenicalmente l’affollano riconoscendosi dietro il grande striscione “Frusinati”. Sotto, ho posto il nome del club. La forma irregolare del disegno, oltre ad essere una necessità per potervi far entrare la testa di leone nella sua interezza, crea anche dinamicità e spezza la monotonia che potrebbe dare un disegno che vada a formare un semplice rettangolo.

03. Fronte Opposto Padova

Fronte Opposto Padova: L’Associazione Calcio Padova, fondata nel 1910, è una delle società calcistiche storiche del nostro Paese. Vanta 16 partecipazioni alla Serie A e 37 in B. Agli albori del Calcio in Italia, ai tempi dei 9 scudetti del Genoa e dei 7 della Pro Vercelli, il Padova era già una squadra molto forte – tra le migliori del Veneto – e sfiorò anche la vittoria del tricolore.
Il momento più fulgido della propria storia, i biancoscudati lo raggiunsero negli Anni ’50, quando sulla panchina del club patavino sedette il grande allenatore triestino Nereo Rocco (che sarebbe poi passato sulla panchina del Milan, dove avrebbe fatto sfracelli, vincendo due scudetti, due Coppe dei Campioni e una Intercontinentale).
Da allenatore del Padova – squadra sempre costruita con l’obiettivo di mantenere la massima Serie – Rocco (conosciuto da tutti come el paròn, il padrone) impose il famigerato catenaccio, nella filosofica convinzione che le “case si costruissero dalle fondamenta”… Dunque la sua intuizione difensivistica ad oltranza – che per anni ha resistito facendo scuola per generazioni di allenatori – pur non essendo certamente spettacolare, comunque riuscì a dare i suoi frutti, tanto che il provincialissimo Padova, nella stagione 1957-58 chiuse il torneo al terzo posto assoluto, dietro la vincente Juventus e alla Fiorentina. In quell’annata formidabile, il vecchio stadio Appiani (intitolato ad uno sfortunato, talentuoso e grande calciatore del Padova dei primi anni, perito sul Carso durante la Grande Guerra), ben presto soprannominato per il calore del suo pubblico “La fossa dei leoni”, divenne un fortino inespugnabile, dove caddero tutte le grandi.
Con la partenza di Rocco, il Padova – che aveva resistito in Serie A per sette stagioni consecutive – conobbe una fase di declino e per quasi tutti gli Anni ’60 militò in Serie B, dove, pur disputando buoni tornei non riuscì nell’impresa di tornare nella massima Serie nazionale. Da ricordare, di quegli anni, la finale di Coppa Italia dell’edizione 1966-67, persa all’Olimpico di Roma contro il Milan di Rivera e Trapattoni.
Per tutti gli Anni ‘70 e metà degli ’80, il club veneto conobbe uno dei momenti più bassi della sua storia. Per circa tre lustri il Padova si ritrovò a calcare i campi polverosi della Serie C, finendo addirittura in C2 nella stagione 78-79. Poi, negli Anni ’80, una doppia promozione in Serie B (in cui i biancoscudati tornarono dopo ben 14 anni) nelle annate 82-83 e 86-87, con quest’ultima promozione che le consentì di assestarsi nella Serie cadetta per sette stagioni consecutive, fino ad arrivare al tanto sospirato ritorno in Serie A nel campionato 93-94, quando fu inaugurato il nuovo (e mai amato) stadio Euganeo.
Rimase soltanto due anni il Padova nella massima Serie, ma furono comunque stagioni esaltanti e il pubblico di fede biancorossa ricorda ancora oggi quella squadra che lottò coi denti per mantenere la categoria (e il primo anno ci riuscì pure, battendo in un epico spareggio il Genoa sul neutro di Firenze). Era il grande Padova degli indimenticati Lalas e Vlaović.
Dopo aver perso la permanenza, per anni il Padova, scivolato nuovamente in Serie C, annaspò nella terza Serie nazionale e bisognerà aspettare la stagione 2008-2009 per rivederlo di nuovo in Serie B in cui rimase per cinque stagioni consecutive, sfiorando al secondo anno la promozione in Serie A, perdendo la finale play-off contro il Novara.
Il resto è cronaca più recente, con un Padova che non s’iscrive al campionato di Serie C e che – rifondato – è costretto a ripartire dalla D, accompagnato da un pubblico eccezionale per la categoria e che ha mostrato davvero i muscoli, riuscendo a fare la differenza e invadendo letteralmente i piccoli impianti dei pacifici paesi presi d’assalto dai supporter biancorossi, decisivi nella conseguente vittoria del campionato.
Il pubblico padovano è sempre stato molto caloroso, per “focosità” e passione assai simile alle tifoserie meridionali, talvolta facinoroso e negli anni in cui la loro squadra ha avuto la fortuna e l’onore di giocare nel vecchio Appiani, davvero ha rappresentato il 12° uomo in campo. Uno stadio arrangiato e rabberciato, che sembrava un campo sportivo di paese ma di dimensioni esagerate, con tribune irregolari e con gente aggrappata alle reti di recinzione. Basta guardare le foto di quegli anni o andarsi a spulciare qualche vecchio servizio televisivo d’epoca per rendersi conto di cosa volesse dire per gli avversari giocare nella “fossa dei leoni”.
Immagini care e purtroppo sbiadite, come i vecchi servizi di 90° minuto, d’un Calcio d’altri tempi e d’altri uomini, capace di regalare le sublimi immagini d’una moltitudine di gente festante, assiepata e accalcata intorno al prato verde su cui undici atleti, undici uomini, con indosso quelle leggendarie maglie bianche, danno la caccia ad un sogno chiamato Serie A. E sullo sfondo i campanili delle chiese cittadine e le alte guglie delle cupole della Basilica di Sant’Antonio. La Storia che entra nel Calcio e il Calcio che irrompe nella Storia… meraviglioso, non trovo altri aggettivi!
E il paragone tra il glorioso e romantico Appiani (che almeno non è stato smantellato, ma parzialmente riadattato) e l’asettico e gelido Euganeo è impietoso. Se in questo Calcio di oggi, pieno di calciatori primedonne, mesciati, lampadati e unicamente intenti a far selfie, il Padova potesse ancora giocare nel vecchio Appiani, nel suo antico fortino, potrebbe tranquillamente mantenere la Serie A, qualora la conquistasse, anche con una squadra di dodicenni… “La fossa dei leoni” basterebbe a fare la differenza e si mangerebbe tutti gli avversari!
Venendo finalmente al disegno, ho voluto omaggiare uno dei gruppi che nella Tribuna Fattori ha resistito all’usura del tempo, quel Fronte Opposto che ha scelto la rapacità e regalità dell’aquila come suo simbolo. Su uno sfondo nero (colore non casuale per una tifoseria che, dalla metà degli Anni ’90, s’è spostata, senza nascondersi, su posizioni d’estrema destra oltre che su un’impostazione di tifo smaccatamente british coi classici drappi a croce) ho posto al centro lo scudo sociale del club (riportante l’anno di nascita) e ai suoi lati la doppia testa d’un aquila dall’occhio vigile e fiero. In basso il nome del gruppo, in bianco, che risalti nettamente sul nero sottostante e una sottile riga, sempre bianca, che corra nella parte bassa ed esterna del disegno, a dare quel tocco di modernità e rifinitura. A contorno dello scudo, piccole e sempre in bianco, le scritte indicative di squadra e porzione di stadio d’appartenenza.

04. Ultras AS Roma 1927

Ultras AS Roma 1927: Della tifoseria della Roma, e specificamente della Curva Sud, abbiamo già avuto modo di parlare nelle precedenti puntate di questa rubrica (One Step Beyond #3, 8, 13 e 14). In questo disegno, ho posto l’affascinante logo del club (indubbiamente uno dei più belli del Calcio italiano) al centro della “scena” (logo per cui la tifoseria giallorossa si sta battendo, non convinta dal recente restyling che in pratica ha cancellato l’acronimo ASR tanto caro a questi ragazzi). Alla sua destra e sinistra le lettere, in rilievo sullo sfondo rosso pompeiano, che formano la parola ULTRAS, in un font importante e monumentale. In basso, la dicitura del nome del club, completa di anno di nascita. Il colore delle scritte è il medesimo giallo ocra dello scudo di cui sopra, mentre il rilievo delle stesse – come pure il bordino di tutto il disegno – è nero, in modo da ricalcare il nero del contorno dello scudo stesso, dando all’insieme equilibrio. Il doppio rettangolo, idealmente unito dallo scudo, conferisce al disegno estro e movimento.

05. SSL 1900

SSL 1900: Anche della tifoseria biancoceleste, della sua importanza e influenza all’interno del mondo curvaiolo, abbiamo diffusamente parlato nelle puntate precedenti di questa rubrica (One Step Beyond #1, 4, 5, 6, 10, 12 e 16). Questo disegno, che riprende una frase letta in uno degli ultimi derby – quando ancora le due tifoserie romane, in epoca pre-barriere, entravano allo stadio – vuole inseguire una suggestione tipicamente capitolina. Un fenomeno, quello di realizzare piccole pezze che fossero impeccabili, che ha interessato trasversalmente tutta l’Italia e tutte le tifoserie e categorie, spesso con risultati eccellenti. Ma quella particolarità, d’un materiale così ben curato ma rigorosamente fatto a mano, è prerogativa di pochi e le due sponde Ultras romane, così nemiche, sono assai simili in questo. E il mio disegno vuol ricalcare proprio quest’attitudine, quella di un qualcosa fatto in casa ma con passione e sapienza. E immaginerei questo mio contributo, come una piccola pezza da portare con fierezza all’Olimpico come in trasferta, unita e mischiata alle altre decine di drappi e vessilli, da decenni simbolo e peculiarità di questa grandissima e storica tifoseria italiana.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;