02. Vikings Isernia 1982 03. Cherokee Isernia 1994Isernia FC 1928: Piccola città, sviluppatasi prevalentemente intorno ad un nucleo storico che vanta origini antichissime, addirittura pre-romane e che affondano radici nella notte dei tempi, dopo l’istituzione della Provincia nei primi Anni ‘70, Isernia è una piazza calcistica dove, a dispetto delle talvolta infime categorie, da sempre si respira Calcio.
La nascita del primo sodalizio biancoceleste si fa risalire agli Anni ’20, decennio in cui il Calcio, muovendo dalle piazze più grandi e blasonate, con un fisiologico e comprensibile ritardo, attecchì anche nel piccolo e remoto Molise, conquistando il cuore di tanti pionieri del vecchio pallone di cuoio cucito a mano e facendo nascere le prime squadre nei maggiori centri della Regione, nel capoluogo Campobasso, a Termoli e ad Isernia.
Nel Secondo Dopoguerra, l’Isernia partecipa perlopiù a campionati minori, come la Prima Categoria campana – erano i tempi in cui ancora non esisteva l’autonomia calcistica regionale e le squadre molisane venivano inserite perlopiù nei difficilissimi raggruppamenti campani e pugliesi – con qualche puntata in Promozione (l’equivalente dell’Eccellenza di oggi).
Fu soltanto nella stagione 1971-72 che l’Aesernia (nome originalissimo, così era chiamata Isernia in epoca romana, a ricordare a tutti le antichissime origini della città), approdò stabilmente in Promozione, con una festa che coinvolse tutti, dove la squadra pentra disputò 9 campionati consecutivi, sfiorando quasi ogni anno la vittoria (impresa pressoché impossibile sui campi d’una coalizione socio-geo-calcistica campana che difficilmente avrebbe lasciato vincere una squadra molisana).
Vittoria che arrivò (stagione 80-81) con un ripescaggio per completamento d’organici e che vide l’Aesernia approdare per la prima volta nella sua storia nel Campionato Interregionale, l’equivalente dell’attuale Serie D. Ma era un campionato molto più difficile rispetto a quello di oggi, con squadre espressione di città e paesi molto grandi, come e più di quanto succede ancora oggi.
I cinque anni che seguirono furono i più belli – fino ad allora – per i colori biancocelesti. E il vecchio, sgangherato stadio X Settembre (così chiamato in memoria del bombardamento “alleato” che distrusse la città nel ’43, mietendo migliaia di vittime) – che già per tutti gli Anni ’70 aveva fatto conoscere il proprio calore, traboccando letteralmente d’entusiasmo – si riempì sempre più, coinvolgendo generazioni di isernini che si sentirono parte d’un qualcosa di grande, che coinvolse tutta la città, divenendo fenomeno sociale e di costume.
Ed al terzo anno in Interregionale, stagione 83-84, l’Aesernia del presidente Pontarelli approdò in Serie C2, al termine d’un torneo non privo di veleni e misteri, che vide la squadra molisana spuntarla sulla compagine laziale del Pro Cisterna, con presunte aggressioni da parte di questi ultimi ai danni dei calciatori dell’Aesernia nell’ultima trasferta a Casalotti (un sobborgo a nord-ovest di Roma), che costò – a bocce ferme – la vittoria del campionato ai laziali a scapito dei molisani.
Non appena la notizia emessa della giustizia sportiva giunse in città, la gente si riversò per le strade, incredula, e caroselli d’auto e nugoli di uomini, ragazzi e bambini, tirarono fuori bandiere e bandieroni – le sciarpe ancora non andavano di moda all’epoca, soprattutto nelle serie minori – e festeggiarono lo storico traguardo della Serie C2.
Una Serie C sognata per decenni e che – causa i soliti problemi economici, potremmo dire congeniti a certe latitudini – durò soltanto due stagioni, rimaste nella mente e nei cuori di tutti gli sportivi isernini che, in un rinnovato e ampliato X Settembre, si sentirono parte del Grande Calcio, finalmente protagonisti, trascendendo apatia e isolamento tipiche d’una Regione tra le più bistrattate d’Italia, potendo finalmente vantare – caso unico in Molise, dopo Campobasso – una squadra nel Calcio professionistico.
Dopo un primo campionato bellissimo (il più indimenticabile della storia calcistica di Isernia) nel raggruppamento più meridionale (girone D), al secondo anno di C2, l’Aesernia (inserita nel girone C) non riuscì a salvarsi – seppur lottando e non arrivando lontana dal treno salvezza – e tornò nuovamente in Interregionale dove, al termine d’uno sciagurato campionato, ruzzolò addirittura in Promozione e a fine stagione venne decretato il fallimento della Società Sportiva Aesernia.
Fu la fine di un’epoca, e con la scomparsa del Calcio fu come se una parte della città fosse morta insieme alla sua squadra. Dopo anni di piattume e squallore d’infime categorie, pian piano il Calcio rinacque, in una piazza che storicamente e tradizionalmente ha sempre vissuto di questo sport e nella stagione 97-98, la Polisportiva Isernia del presidente Perna (all’epoca facoltoso imprenditore locale e proprietario, insieme al fratello, della grande azienda tessile Ittierre) vinse il campionato di Eccellenza molisana e approdò in Serie D (all’epoca CND – Campionato Nazionale Dilettanti).
Fu un’autentica rinascita sportiva per tutta la collettività isernina ed anche il nuovo stadio in contrada Le Piane (asettico e mai particolarmente amato, con spalti troppo lontani dal terreno di gioco) ribolliva d’entusiasmo e in città si ricominciò a vivere di Calcio e in funzione della domenica pomeriggio, com’era stato nei gloriosi Anni ’80. Ed al quinto anno in Serie D, sotto la guida del controverso presidente Antonino Pane – uno dei più grandi intrallazzatori delle categorie minori – l’Isernia Football Club (nuovo nome, un po’ anglofono), nella stagione 2002-03, vinse il campionato ed approdò, per la seconda volta e per il terzo campionato della sua storia, in Serie C2.
Quella che seguì, fu una stagione esaltante, con un’Isernia che, nel girone d’andata, stazionò anche nelle prime posizioni della classifica, lottando alla pari con le pretendenti alla C1, e che infine fu risucchiata nei bassifondi della zona calda, riuscendo comunque a salvarsi attraverso la coda dei play-out, ai danni del Tivoli. Ma non servì a niente e, causa la dissennatezza e la pressappocaggine del suo presidente (in rotta totale con la tifoseria), l’Isernia fallì nuovamente, conoscendo il periodo più buio della sua travagliata storia calcistica.
Il resto è cronologia più recente, con una squadra ch’è dovuta ripartire addirittura dalla Prima Categoria e che negli ultimi anni è riuscita a tornare in Serie D, alternando bei campionati a stagioni disastrose – sempre legate a questioni economiche, vero tallone d’Achille di tutti i club molisani – e facendo la spola tra Serie D ed Eccellenza, passando talvolta per le mani di loschi affaristi e speculatori, quasi sempre forestieri, con alcun interesse alla causa biancoceleste, intenti unicamente ai loro sporchi giochi. E neppure una società composta da imprenditori locali, che hanno rilevato la Società nell’ultimo anno, ha potuto evitare la recentissima, cocente retrocessione in Eccellenza delle scorse settimane, continuando a mortificare il nome sportivo d’una piazza che – pur nel suo piccolo – per trascorsi ed attaccamento, non merita certo questo scempio.
Per quanto concerne il tifo organizzato, Isernia è sempre stata una piazza molto calda e passionale, nella focosità assai simile a tante piazze della vicina Campania. E forse furono proprio i decenni trascorsi nei campionati campani – avendo spesso e volentieri tutti contro – a forgiare lo spirito combattivo della tifoseria molisana. Le cronache degli Anni ’70 raccontano d’un pubblico numeroso e partecipe che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Emblematici, in tal senso, furono gli incidenti del maggio ‘77 contro i tifosi napoletani del Sanità, quando Isernia fu al centro delle cronache nazionali per le intemperanze e i disordini che videro protagonista la sua tifoseria.
Anche gli anni dell’Interregionale, prima, e della C2, poi, furono carichi di passione che spesso traboccava in episodi di cronaca. Il vecchio X Settembre, con spalti praticamente appiccicati al terreno di gioco – vergognosamente abbattuto qualche anno fa, per far posto ad un orrendo auditorium – era conosciuto e temuto come uno dei campi più caldi e infuocati di tutta la Serie C, e le nostalgiche immagini di quegli anni – con gente aggrappata alle reti di recinzione, che esercitava una reale e incisiva pressione su avversari e giudici di gara, che dovevano vedersela anche con un campo di gioco in terra battuta e privo di erba – ne sono la più tangibile prova.
Anche in trasferta il seguito per l’Isernia non è mai venuto meno e l’anno della seconda storica promozione in C2 (stagione 2002-03) vide veri e propri esodi del suo pubblico nelle partite più importanti e sentite, culminanti con l’indimenticabile trasferta di Ferentino (provincia di Frosinone), quando le maglie biancocelesti furono scortate da una carovana di oltre 1.000 tifosi… non male per una città di modestissime dimensioni, segno palpabile di forte identità territoriale, tradizione calcistica e attaccamento alla squadra.
Il primo vero gruppo Ultras al seguito dell’Aesernia furono i Vikings, nati nel 1982, seppur già da qualche anno il tifo per la serpe biancoceleste s’era già parzialmente organizzato assumendo le sembianze d’un fenomeno sempre meno spontaneistico. E sull’onda dei maggiori gruppi Ultras che stavano dilagando in tutta la Penisola, i Vikings si fecero le ossa nell’Interregionale e nella C2, lasciando – a dispetto della breve durata della loro esistenza – un’impronta indelebile nella storia del tifo isernino. Erano dei veri matti i Vikings, brutti, sporchi e cattivi, trasformarono il X Settembre in un autentico spauracchio per i “nemici”.
Col fallimento dell’Aesernia, per circa un lustro, dalle gradinate sparì qualsiasi forma di tifo, finché verso i primi Anni ‘90, dei ragazzi molto giovani decisero di far rinascere il sostegno per le casacche biancocelesti e si organizzarono sotto svariate sigle, riprendendo addirittura il vecchio striscione Vikings, divenuto ormai un pezzo di storia.
La vera svolta per il tifo dell’Isernia avvenne nel settembre del ’94, con la nascita dei Cherokee. Prendendo il nome dall’omonimo gruppo Ultras all’epoca al seguito del Pescara (squadra e tifoseria particolarmente amate da uno dei fondatori), questi ragazzi – la cui caratteristica principale, per chi scrive, è stata quella d’esser, oltre che ovviamente innamorati della propria squadra e città, degli autentici cultori ed esperti di tifo, di cui ne conoscevano ogni sfaccettatura – diedero vita al più importante fenomeno aggregazionale della loro città, oltre che al più importante e longevo gruppo Ultras della sua storia calcistica.
Nonostante l’esigua grandezza di Isernia (poco più di 22.000 abitanti) ed il ristretto bacino d’utenza – e categorie come abbiamo visto quasi mai esaltanti – questi ragazzi sono stati capaci di creare qualcosa di profondo e duraturo e, caso raro tra i gruppi di piccole realtà come quella pentra, hanno raggiunto l’invidiabile traguardo dei quasi 22 anni di militanza… non da tutti, davvero.
E i Cherokee si son fatti un nome girando per il Molise (anche sui campi della Prima Categoria) come per l’Italia (in stadi storici della sua tradizione calcistica), non bucando mai una trasferta (foss’anche un’amichevole), macinando kilometri e non tirandosi mai indietro quando c’era da menar le mani, facendo conoscere in giro il nome di Isernia… un po’ quello che avrebbe dovuto fare la squadra di Calcio e spesso non è riuscita a fare.
E se il nome Cherokee viene istintivamente associato a quello di Isernia, un motivo ci sarà e questi ragazzi si son guadagnati, sul campo, l’ammirazione e talvolta il rispetto anche dei “nemici”, oltre a costruire, nel corso degli anni, rapporti d’amicizia con altri importanti gruppi (Ultras 1994 Terracina, Teste Matte Manfredonia) di realtà simili a quella pentra, seppur con alle spalle città decisamente più grandi.
E nonostante l’imborghesimento delle nuove generazioni (sempre meno attratte dallo Stadio e dalla sua Cultura) e una crisi (figlia di repressione spietata e insensato clima da caccia alle streghe) che attanaglia il mondo del tifo organizzato da ormai troppi anni, gruppi come i Cherokee Isernia – che non mollano mai e resistono, nonostante tutto e tutti – riescono a colorare l’orizzonte, sempre più tetro, d’un filo di speranza.
I tre disegni che vi presento, sono dedicati rispettivamente alla squadra (che ho voluto caratterizzare attraverso il suo simbolo storico, mutuato dallo scudo comunale: il serpente), ai vecchi Vikings (attraverso una delle loro icone: il teschio col basco) ed infine ai Cherokee (con giorno, mese e anno di nascita, e una testa d’indiano molto rifinita e dettagliata, proiettata nel futuro ma senza mai dimenticare il passato).

04. Stile Appiani Padova

Stile Appiani Padova: Della tifoseria e della squadra biancoscudata, abbiamo già ampiamente visto nella scorsa puntata di questa rubrica (One Step Beyond #21 ). Per questo disegno, realizzato con un font bianco importante che risalta nettamente sul fondo nero, ho preso spunto dal nome di una vecchia fanzine che veniva distribuita nella Tribuna Fattori, qualche anno dopo il trasferimento dell’AC Padova dal vecchio stadio Appiani (per l’appunto) al nuovo Euganeo.
E quello “Stile Appiani” suona un po’ come un estremo rimpianto verso un campo di gioco, ma comunque verso un’epoca irripetibile della storia calcistica cittadina, consegnato ormai alla Storia. Ma “Stile Appiani”, è anche un altro modo d’intendere il sostegno alla squadra, più partecipe e caloroso, capace di incidere sul risultato, stando col fiato sul collo degli avversari, come appunto succedeva nel vecchio e romantico impianto.
Come logo sociale, in luogo del più moderno e smaliziato scudo che va per la maggiore tra gli Ultras biancorossi, ho voluto inserire il vecchio stemma, indubbiamente dal sapore più retrò, ma non per questo meno affascinante ed efficace, col cavallo stilizzato – che richiama uno dei simboli di Padova, il monumento equestre al Gattamelata, sito in Piazza del Santo – che ha un pallone sotto uno degli zoccoli anteriori, perfetto ibrido tra storia e Calcio e che personalmente trovo assolutamente sublime e di altissimo valore concettuale. Nella croce, rossa su campo bianco, invece, ho inserito – nello stesso font delle scritte – l’immancabile anno di fondazione del primo sodalizio calcistico padovano.

05. Fossa dei Grifoni

Fossa dei Grifoni: Della Fossa dei Grifoni e della tifoseria genoana, abbiamo già avuto modo di vedere nelle puntate precedenti (One Step Beyond #10 e #15). Per questo disegno, ho voluto per un attimo staccarmi dal classico rossoblu che caratterizza il materiale genoano, utilizzando un blu molto scuro per lo sfondo, su cui i grifoni bianchi (in luogo dei classici gialli) e le scritte (in un font molto moderno, quasi casual direi) pure bianche, creano un forte contrasto che dà risalto al tutto. Al centro, tra i due bei grifoni non convenzionali, ho posto il classico scudo cittadino di Genova, con un rosso che “spari” non meno del bianco, ed al cui interno – nello stesso font delle scritte – ho posto il nome del club. Le sottili righe bianche superiore ed inferiore, danno completezza, armonia e finitura all’insieme.

06. Ultras Como 1907

Ultras Como 1907: Con 13 partecipazioni al campionato di Serie A e 34 in Serie B – senza contare le decine e decine di tornei di Serie C e C1 disputati spesso ad altissimi livelli – il Como Calcio è una delle Società storiche del Nord-Italia e vanta una lunghissima tradizione, iniziata nel 1907.
Nella stagione cadetta 1948-49, dopo una lunga cavalcata solitaria, chiudendo il torneo a 60 punti e staccando nettamente il Venezia (pure promosso) e il Vicenza, con quattro giornate d’anticipo il Como fu promosso, per la prima volta nella sua storia, in Serie A. Rimase quattro anni nella massima Serie la squadra lombarda, raccogliendo le maggiori soddisfazioni proprio il primo anno, nella stagione di debutto (49-50), quando la squadra azzurra si classificò sesta, a pari merito col Torino, venendo preceduta dalle “solite” grandi (Juventus, Milan, Inter) ma mettendosi alle spalle squadre blasonate come Roma, Genoa, Sampdoria e Bologna.
Era una squadra che segnava poco, il Como, ma che allo stesso tempo subiva altrettanto poco… era molto quadrata insomma. Nella stagione 52-53, per soli 3 punti, i lombardi retrocessero in Serie B dove rimasero per ben 10 tornei consecutivi in cui – pur piazzandosi spesso nelle prime posizioni e tentando la scalata alla massima Serie – non riuscirono nel tentativo di vincere il campionato; anni in cui il club si mise in evidenza per una politica volta a “coltivare” (e quindi lanciare) nuovi giovani calciatori. È il caso del talentuoso Gigi Meroni, comasco purosangue, che – cresciuto calcisticamente nella propria città – avrebbe fatto le sue fortune nel Genoa, prima, e nel Torino, poi, fino alla funesta scomparsa avvenuta a soli 24 anni, per una tragica fatalità del destino, che commosse l’intera nazione.
Nella stagione 62-63, il Como finì in Serie C, dove rimase per cinque anni, tornando tra i cadetti nel 67-68. Dopo sette campionati di B – in cui i lombardi raccolsero anche due quarti posti e in cui disputarono comunque ottimi tornei – finalmente, nella stagione 74-75, il Como riacciuffò la Serie A, che durò però un solo anno, con gli azzurri che tornarono immediatamente in B e quindi, dopo due anni, addirittura in C1.
Gli Anni ’80 furono indubbiamente i più belli per la storia calcistica comasca, con due promozioni nella massima Serie (stagioni 79-80 e 83-84), quando la squadra lariana – allenata, tra gli altri, dal grande Tarcisio “Roccia” Burgnich – riusciva, con le unghie e con i denti, ad ottenere delle meritate salvezze e costruendo le proprie fortune soprattutto nelle partite casalinghe.
E molto del merito di queste salvezze fu dello stadio Sinigaglia e del suo straordinario pubblico, che gremiva letteralmente il piccolo impianto un po’ arrangiato, in riva al lago, con quelle immagini delle gradinate piene fino all’inverosimile, assai nostalgiche, che è possibile trovare ancora oggi in rete o vedere in vecchi sevizi televisivi d’epoca.
E nella stagione 84-85, il Como di Ottavio Bianchi, appena tornato in Serie A, stabilì un incredibile record, a tutt’oggi imbattuto: incassò, in tutto il campionato, 2 sole reti tra le mura amiche: 2 sole reti!… incredibile! Potenza del Sinigaglia e degli Anni ’80, quand’era normale vedere squadroni come Milan, Inter e Juventus buscarle da Ascoli, Avellino e Como mentre il Verona vinceva lo scudetto… che tempi!
E nel 1986, il Como si coprì ulteriormente di gloria: dopo aver eliminato la Juventus negli ottavi di finale ed il Verona (per l’appunto Campione d’Italia) nei quarti, sfiorò l’accesso alla finale di Coppa Italia, uscendo sconfitto soltanto a “tavolino” contro la Sampdoria, a causa di un oggetto lanciato dagli spalti del Sinigaglia (e che ferì l’arbitro) nelle semifinale di ritorno mentre la squadra lariana conduceva per 2-1, dopo aver pareggiato 1-1 nella gara d’andata a Marassi. Era il Como dell’indimenticato bomber Stefano Borgonovo, prematuramente scomparso nel 2013, calciatore e uomo simbolo della ricerca e della lotta per sconfiggere la SLA.
Proprio la Società e la tifoseria del Como dedicarono al proprio sfortunato “figlio”, qualche anno prima che morisse – che dalla città del Lario era partito alla conquista del Grande Calcio nel Milan e nella Fiorentina – una commovente passerella nello stadio che lo aveva consacrato e che per l’occasione – una gara del campionato di Serie D in cui gli azzurri militavano in quegli anni e il cui incasso fu donato alla Fondazione Borgonovo – tirò fuori tutti i vecchi striscioni, compreso quello della mitica Fossa Lariana. Immagini davvero indimenticabili e da pelle d’oca, col grande “Borgo” sulla sedia a rotelle sotto la Curva Ovest, che urla il suo nome e tutto il proprio affetto per questo sfortunato quanto tenacissimo campione… da brividi!
Immagini emozionanti che si sono ripetute anche in altri stadi di piazze in cui l’ex calciatore aveva giocato, facendosi conoscere e amare.
Nella stagione 88-89, i lariani scesero nuovamente in Serie B e, fino ai primi Anni 2000 si fecero tanta Serie C con qualche toccata e fuga in cadetteria. Poi, dalla stagione 2000-01, seguirono cinque campionati uno più incredibile dell’altro. Il Como vinse il campionato di C1 (battendo il forte Livorno in finale play-off), quindi l’anno seguente vinse anche il campionato di Serie B, centrando il primo posto (anche grazie ai fantastici goal del suo bomber Luis Oliveira, che vinse la classifica dei cannonieri), quindi dopo un disastroso campionato di Serie A (era il Como di Dominissini e Fascetti), i lombardi finirono nuovamente in B, quindi retrocessero in C1 e persero gli spareggi play-out (contro il Novara), ritrovandosi incredibilmente in C2. Come se non bastasse, la Società, nel dicembre 2004 fallì e non s’iscrisse al torneo di C2, mettendo la parola fine a quasi 100 anni di storia.
Il seguito è cronaca più recente, con un Como che, rifondato e ripartito dalla Serie D, pian piano è stato in grado di scalare nuovamente le gerarchie calcistiche del Belpaese, riuscendo, la scorsa stagione, a riapprodare in Serie B, battendo in finale play-off il Bassano. Serie B che – a fronte di un campionato che ha visto il Como quasi sempre in ultima posizione – gli azzurri hanno onorato con buone prestazioni (con il bomber Ganz – figlio d’arte del grande Maurizio – sugli scudi), che purtroppo non sono bastate per la permanenza, alimentando una sfortuna e un’instabilità che paiono non voler dar tregua a questo storico club italiano.
La tifoseria comasca è per tradizione molto calda e le gare al Sinigaglia, manco a dirlo, sono sempre risultate dure e talvolta indigeste per tutti gli avversari. E proprio in quei meravigliosi Anni ’80 di cui dicevamo sopra, gruppi come la Fossa Lariana e i Panthers si misero in evidenza, con un classico tifo di matrice italiana e divennero ben presto gruppi Ultras di massa, capaci di rappresentare, dietro le proprie insegne, generazioni di comaschi e tifosi azzurri.
Verso la metà degli Anni ’90 – sulla scia di quanto stava succedendo un po’ in tutta la Penisola – ci fu una svolta nel modo di tifare della Curva Ovest che – intraprendendo la nuova strada del cosiddetto “tifo all’inglese” – mise via striscioni, bandiere e tamburi, sostituendoli con drappi, due aste e battimani, per un effetto senz’altro molto suggestivo e che diede nuova linfa al tifo in riva al Lario, seppur perdendo qualcosa in termini di partecipazione collettiva. Ma comunque, vedere quel settore di stadio, completamente tappezzato di stendardi curati, misti ad altri decisamente più artigianali, era comunque un’esperienza visiva da vivere ed anche il bianco e l’azzurro che si mescolavano con la croce bianca in campo rosso (simbolo della città) contribuivano nel creare una suggestiva ed accattivante alchimia cromatica.
Anche nelle partite più lontane dalle mura amiche – per una delle tifoserie, geograficamente più lontane dai campi del Centro e del Sud-Italia – il Como ha sempre potuto contare su un buon seguito, agguerrito e infaticabile.
Venendo al disegno, ho voluto coniugare il fascino d’una tifoseria storica del panorama Ultras nazionale (e a tal fine ho utilizzato il classico teschio stile SS tedesche, tanto caro anche alle Brigate Rossonere del Milan), con elementi più attuali, inserendo un simbolo fortemente classico per antonomasia com’è appunto il teschio, in un contesto, per così dire, più moderno, immaginando il tutto come un qualcosa a metà tra uno striscione e un drappo. Anche i colori sono il semplice bianco e blu ripresi dal materiale della tifoseria stessa, come pure le scritte che sono lineari, che rimandano ad una certa artigianalità comunque insita nel dna degli Ultras lariani. La dicitura ULTRAS vuol essere un compendio dell’intera Curva Ovest, mentre la scritta più piccola in basso vuole esaltare lo stretto legame tra gli Ultras e la città e tra quest’ultima e la squadra di Calcio, con l’anno di fondazione del club che suggella quella continuità storica mai venuta meno tra la squadra lariana e il suo popolo.

Luca “Baffo” Gigli.

***

LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;