Curva Nord Gabriele Sandri: Disegno dedicato alla Curva Nord di Roma e che mescola elementi prettamente attuali ad altri di chiara matrice Anni ’80. Ho voluto creare un disegno che avesse come fonte d’ispirazione i tanti drappi che vengono esposti dai tifosi laziali sopratutto nelle trasferte (anzi, ormai solo in quelle, essendo diventato l’Olimpico un’enorme caserma a cielo aperto). Un disegno assai “semplice” nella sua variabilità cromatica, giocato su due soli colori, il bianco e il blu (quello di utilizzare il blu, oltre al classico biancoceleste, è un vezzo lanciato proprio da questa tifoseria e poi ripreso da mezzo mondo). Simbolica e che rimanda irrimediabilmente agli Anni ’80 di una Lazio operaia e battagliera che seppe regalare momenti di autentica poesia sui vecchi campi scalcinati della Serie B, è l’aquila stilizzata ripresa dal mitico logo old-style che aveva nel suo essere minimal l’arma vincente. Le scritte, in un font elegante e importante insieme, sono cubitali e vogliono mostrarsi in tutta la propria sontuosità, riportanti il nome completo della Curva, da quel novembre 2007 intitolata alla memoria di Gabriele Sandri. Oramai questo ragazzo, questo nome, è conosciuto da tutti – anche dai non Ultras – e la sua vicenda e tutto ciò che vi gira intorno ha generato, nel mondo del tifo organizzato, un moto spontaneo che ha quasi miracolosamente fatto unire realtà e posizioni fino ad allora lontane ed inconciliabili. Come dire: se dalla tragica, ingiusta e sfortunata morte di questo ragazzo, di questo “cittadino italiano” (come recita l’epigrafe dell’area di servizio di Badia al Pino) è mai potuto uscire qualcosa di buono (ammesso che da un evento di siffatta gravità possa mai scaturire qualcosa di positivo) quel qualcosa è stata una nuova e trasversale Mentalità che ha unito sotto la propria bandiera gli Ultras di tutta Italia. Gabriele Sandri, il solo suono del suo nome, evoca tutto un entroterra di lotta e resistenza portata avanti da centinaia di tifoserie, da migliaia di ragazzi contro l’arroganza, l’impudenza e l’assoluta malafede che nel nostro Paese pervade una parte delle istituzioni. Le vicende di Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Stefano Furlan e di tutti quei poveri sventurati morti per mano dello Stato e che hanno avuto l’unica colpa di trovarsi al momento sbagliato e nel posto sbagliato, urlano continuamente giustizia al cospetto degli uomini e delle donne di questo Paese ed assurgono ad eventi paradigmatici, aprendo una profonda lacerazione all’interno della società civile e del suo rapporto con la politica, le istituzioni e coloro che dovrebbero far rispettare le leggi e tutelarle. Ed io, che di solito incenso oltre misura gli anni ’70 e ’80, reputandoli migliori in tutto e per tutto se paragonati agli anni attuali, in questo caso mi “vanto” di poter condividere i gradoni e il tifo di questi anni fianco a fianco con ragazzi che hanno messo da parte ogni rivalità ed odio, trasfigurando – attraverso la vicenda di Gabriele e degli altri sfortunati ragazzi ingiustamente uccisi dallo Stato – il proprio essere Ultras. Pensate a quello che accadde a Roma all’indomani della morte di Vincenzo Paparelli a proposito della rivalità tra romanisti e laziali… cori, striscioni e scritte becere, per anni. E paragonatelo a quel che è successo nella capitale dopo la morte di Gabriele… una solidarietà e una comunione d’intenti grandi quasi quanto il dolore, il cuore, la dignità e la fierezza della famiglia Sandri. Credo che se mai in Italia c’è stata una Mentalità Ultras (parola di cui tutti si sono riempiti la bocca per decenni, fino a farla diventare démodé) vera e pura, sono convinto che sia stato dopo la morte di Gabriele.

Ultras Lazio: Questo disegno – ancora dedicato al tifo per la Lazio – gioca molto sugli Anni ’80 da cui proviene il bellissimo logo minimale utilizzato in quel periodo dal club più antico di Roma. Credo che questo stemma – come ho già avuto modo di dire altre volte – sia uno dei più belli del Calcio italiano e a me, personalmente, fa tornare alla memoria il vecchio buon football di quand’ero bambino e di quando mio padre – nelle partite più tranquille – mi portava allo stadio. Era tutto un altro Calcio, tutta un’altra società, un’altra Italia. Stadi già vecchi ma che conservavano, celebrandola domenicalmente, quell’aura di mito, quella sensazione di stare assistendo a uno spettacolo unico e irripetibile. Oggi sembra che si vada avanti per inerzia, il pallone odierno sembra quasi farsi schifo da solo, nauseato di sé stesso e di chi l’ha fatto a pezzi… ma all’epoca non era ancora così e sembrava che tutto potesse succedere (e talvolta succedeva). Domeniche pomeriggio fatte di processioni di gente che muovevano in direzione stadio, file ai botteghini, biglietti belli come un nudo di donna, anzi di più, l’entrata in Curva in un carnevale di colori e umori, una partita che pareva non dovesse mai finire, e l’urlo per un goal dei nostri o una lama nel cuore per una rete avversaria, una gioia o un dolore che c’avrebbero accompagnato fino alla domenica successiva… E un Calcio fatto di magliette e calzoncini sempre uguali e un po’ striminziti, di atleti veri e coraggiosi che sfidavano l’impeto e la cattiveria della folla, di racconti tramandati oralmente e se proprio volevi qualcosa di scritto dovevi comprarti il giornale… lontana quest’epoca satura di tutto e vuota di senso, coi social network che celebrano, ogni giorno di più, il rito funebre della meraviglia e dell’innocenza perduta, tra pappagalli che si parlano addosso, in perenne polemica col mondo. Questo disegno – col logo attraversato nella parte inferiore da un nastro su cui campeggia la scritta ULTRAS nel medesimo font della parola LAZIO – l’ho immaginato come una sorta di bandierina da portarsi dietro e sventolare nei momenti topici della partita. E quel bianco non bianco par quasi carico d’anni e ricordi, mutandosi in stemma della memoria, che perde le sue caratteristiche fisiche, dissolvendosi nei nostri sconfinati sogni d’infanzia. E la folla senza nome e senza volto che ondeggia oscura davanti a noi – piccoli di statura e non ancora cresciuti – non lasciandoci intravedere che qualche spicchio di campo… e, in un frammento, Bruno Giordano simile a un bronzo greco, con quella maglia-bandiera e quell’aquila disegnata sopra. E il campo verde, gli Anni ’80 e la nostra vita – ancor’oggi – incapace di uscire da quell’eterna partita che finisce e ricomincia, senza sosta. E una Lazio guerriera in Serie B, e uno striscione Eagles’ fedelmente al seguito e un mondo mai più bello di così.

Curva Nord Livorno: Livorno è una città particolare sotto tutti i punti di vista. “Rossa” per antonomasia – qui, non a caso, nel 1921 nacque il Partito Comunista Italiano – seconda città della Toscana per abitanti, è da sempre un posto un po’ “magico” dove si può ancora respirare un’aria popolana e anarchica (parzialmente resa, seppur a livello light e smaccatamente mainstream, dal bellissimo film “Ovosodo” del regista Paolo Virzì, livornese purosangue). Specchio di questo lembo di territorio italiano è anche la sua tifoseria calcistica, seppur vada subito detto quanto le cose siano profondamente cambiate, purtroppo in negativo, rispetto a un recente passato assai luminoso e ricco di fascino che sfortunatamente appare già lontano e coperto di polvere. Inutile girarci intorno, i livornesi (un po’ come i veronesi, per motivi diametralmente opposti) sono da sempre amati e odiati all’interno del panorama Ultras nazionale. Abbiamo già trattato in passato, su questa stessa rubrica, il tema delle BAL (Brigate Autonome Livornesi) che per (troppo) pochi anni hanno preso letteralmente in mano il timone della Curva Nord (tempio del tifo amaranto) trasformando lo stadio Armando Picchi in un’autentica polveriera in cui non era facile per nessuno, soprattutto per i nemici. Le BAL riuscirono nel difficile intento d’accomunare – usando la “fede” politica, così importante per questa città e il suo popolo, anche sportivo – una tifoseria che, seppur forte d’un calore e d’un attaccamento non comuni e che s’erano già pienamente manifestati nei lunghi anni della Serie C, appariva variegata e frastagliata in tanti gruppi. La colorazione “rosso sovietico” al limite della provocazione (in cui non si faceva economia d’immagini con falce e martello o effigi di Stalin) fu un collante incredibile, capace di far presa anche sulle nuove leve, così ricettive quando c’è da estremizzare qualsiasi concetto, facendo di Livorno l’ultima Stalingrado italiana. Per anni, all’interno del panorama Ultras di casa nostra, non s’è fatto altro che parlare del Livorno e dei livornesi che ebbero modo di mettersi in luce attraverso un tifo “nuovo”, che inevitabilmente mischiava, come mai in passato, Calcio e politica, corredato da un’attitudine prettamente e profondamente Ultras fatta anche di azioni di forza, non tirandosi mai indietro quando c’era da scontrarsi (e i nemici desiderosi di misurarsi con la Nord labronica non mancarono di certo, moltiplicandosi), soprattutto contro le odiate Forze dell’Ordine, da sempre, trasversalmente, invise all’intero movimento. Basta rammentare la fortissima rivalità che nacque praticamente dal nulla contro i laziali – che, checché se ne dica o pensi, restano una delle migliori tifoserie e Curve d’Europa – e che si consumò a colpi di tafferugli, striscioni provocatori e sbeffeggianti, oltre che a simboli politici estremi e opposti dell’una e dell’altra parte. Ci fu un Livono-Lazio all’Ardenza davvero indimenticabile per intensità e coinvolgimento, come pure le trasferte all’Olimpico – anche sponda giallorossa (altra forte inimicizia) – da parte amaranto non furono mai uno scherzo… si rischiava davvero la salute, se non la pelle. Non sono passati tantissimi anni, forse neppure pochi, ma la realtà odierna è totalmente cambiata, tanto da far sembrare molto più lungo il tempo intercorso. E ciò non è imputabile soltanto ad una squadra, il Livorno, che dopo aver riassaporato i fasti della Serie A (dopo ben 55 anni d’assenza!) è sprofondato in una crisi tecnico-societaria che par quasi aver fatto smarrire all’undici labronico la propria identità e spirito combattivo, con campionati di B non sempre all’altezza del proprio blasone e con una recente sciagurata retrocessione in Serie C/Lega Pro che ha riportato indietro di circa quindic’anni il sodalizio del (sempre più odiato) presidente Spinelli, considerato il massimo responsabile delle disavventure del club.
L’attuale difficile situazione della Nord amaranto (ma un po’ di tutto l’ambiente) non è neanche da ricercarsi esclusivamente nella spietata repressione che ha duramente colpito (forse qui come in nessun altro posto) la tifoseria e neppure nell’abbandono delle BAL (che certo ha pesato come un macigno)… Forse l’attuale situazione a Livorno non è altro che un segno dei tempi, d’un gigantesco e inarrestabile imborghesimento, d’una dilagante massificazione della società italiana che ha colpito anche una comunità dall’indole profondamente anarchica e ribelle come quella della popolosa città tirrenica. Attualmente la Nord amaranto appare un po’ come un cantiere aperto, non riuscendo a riconoscersi, con continuità, dietro nessuna sigla: e orami, da qualche anno a questa parte, lo spettacolo offerto dai suoi ragazzi – e la “critica” non è mai rivolta a chi c’è, perché chi c’è merita sempre e solo rispetto – non è più neanche lontanamente paragonabile al passato a cui, inevitabilmente, si fa un continuo riferimento.
Va da sé, poi, che in un Calcio finto e plastificato come quello attuale, umiliato e svenduto dalle Televisioni, represso e depresso da presidenti affaristi, calciatori fantoccio, tornelli e tessere del tifoso, trasferte e partite vietate e istituzioni sempre pronte alla caccia alle streghe, alla menzogna e al sopruso, gli Ultras (a qualsiasi latitudine e di qualsiasi “colorazione” politica) non se la passino bene, per forza di cose.
Questo mio disegno dedicato a questa grande tifoseria – per cui, lo confesso, ho sempre avuto un debole – vuol rendere omaggio alla parte più sanguigna del popolo amaranto, quella Curva Nord che già prima delle BAL aveva impressionato in quanto a colore, calore e numeri strabilianti in casa come in trasferta. Riprendendo il font usato per il lunghissimo striscione che campeggiava (fino a pochissimo tempo fa) affisso sulla vetrata della Nord (quel “In Curva e nei quartieri: dei nostri colori ne andiamo fieri”… che suonava un po’ come una risposta a chi accusava la Nord di fare solo propaganda politica trascurando il club), ho posto il nome di settore di stadio d’appartenenza (in alto, più piccolo) e città (in basso, più grande) bianco con ombreggiatura nera e su sfondo amaranto. Novità (per questa tifoseria che – a mia memoria- non ne ha mai fatto uso) ho posto sulla destra una gigantesca àncora in una versione, con tanto di pesante e grossa catena, che sa molto di grande porto mercantile e industriale (a dispetto delle più inflazionate àncore pescherecce che vanno per la maggiore e sono usate un po’ da tutte le tifoserie di città di mare) quale del resto è il porto di Livorno (uno dei più importanti del Mediterraneo). Il significato che ho voluto dare a questo bel simbolo marinaro è duplice: da un lato, come detto, vuol ricordare a tutti che Livorno è anzitutto un’importantissima città di mare con un porto tra i maggiori, dall’altro l’àncora stessa, richiamando l’attracco (quando viene “gettata”) e il salpare (quando viene “levata”) vuol essere un simbolo assai concettuale, di una patria che si è pronti a lasciare navigando verso nuove battaglie e conquiste, ed al contempo di una patria che s’è pronti a riabbracciare, riapprodando nella stretta sicura d’un porto fatto di facce amiche e familiari. Possa, questo disegno, essere d’auspicio per poter rivedere, un giorno, quella bellissima Curva Nord che manca a tutti, estimatori e detrattori, amici e nemici… tutti siamo debitori di qualcosa alla Livorno calcistica.

Ascoli Piceno Ultras: La vicenda calcistica dell’Ascoli, la sua storia, è una delle più belle del Calcio italiano di Provincia. Espressione di una città non grandissima, circa 60.000 abitanti, questa terribile e agguerrita compagine bianconera è stata in grado, nel corso degli anni, di disputare ben 16 stagioni in Serie A… un piccolo record considerando la grandezza del proprio bacino d’utenza. Pur vantando una storia antichissima, tra le più remote dello Stivale, datata 1898 – in serie A soltanto Genoa (1893), Udinese (1896) e Juventus (1897) sono più antiche – la storia calcistica dell’Ascoli appare indissolubilmente legata ad un nome e ad una persona: il compianto Costantino Rozzi che è stato il Presidentissimo del club marchigiano per 26 anni (un arco di tempo lunghissimo) dal 1968 al ’94 (anno della sua scomparsa).
Verso la fine degli Anni ’60, un manipolo di giovani imprenditori piceni prese in mano le sorti della Del Duca Ascoli (così chiamata in onore di Cino Del Duca, un importantissimo imprenditore nativo di quelle parti che esercitava le attività di editore e produttore cinematografico e che intorno alla metà degli Anni ’50, inseguendo una sua indole filantropica, aveva risollevato, assumendo la presidenza onoraria – con una generosissima “donazione” – le sorti calcistiche ascolane) e nominò nuovo presidente un imprenditore edile emergente dell’economia locale: il costruttore Costantino Rozzi (alla sua impresa di costruzioni edili si deve la realizzazione d’importanti stadi italiani: il Via del Mare di Lecce, il Partenio di Avellino, l’ampliamento dello stadio cittadino, il Del Duca – portato in brevissimo tempo fino ad una capienza di 36.000 spettatori – nell’anno della prima storica promozione in Serie A, il Santa Colomba di Benevento e il Selva Piana di Campobasso; quest’ultimi due – caso assai curioso, forse unico al mondo – stadi “gemelli”… sono in pratica identici, persino nei particolari).
Prendendo la squadra in Serie C (erano gli anni dei turbolenti derby contro Sambenedettese e Anconitana) ed essendo in pratica quasi a digiuno totale di Calcio – si appassionò man mano – nel giro di quattro anni Rozzi riuscì a portarla nella categoria superiore, al termine della stagione 71-72, quando l’Ascoli (guidato da un altro grande del Calcio italiano più romantico e sanguigno: sor Carletto Mazzone) approdò per la prima volta nella sua storia in Serie B. Al primo anno tra i cadetti (72-73) ai bianconeri sfuggì una clamorosa promozione in massima Serie per un solo punto; ma la gioia fu soltanto rimandata: l’anno successivo (stagione 73-74) la compagine di Mazzone vinse il campionato centrando la prima posizione (seppur in coabitazione col Varese). Al debutto assoluto per una marchigiana in Serie A, l’Ascoli (sempre guidato in panchina da Mazzone) si salvò piazzandosi dodicesimo in graduatoria, mentre l’anno successivo (stagione 75-76) con il nuovo tecnico toscano Riccomini come allenatore, retrocesse da terzultimo classificato, seppur soltanto a causa della peggior differenza reti contro una derelitta Lazio che soltanto due anni prima s’era laureata Campione d’Italia (e che quell’anno aveva dovuto patire l’abbandono del suo bomber Chinaglia, volato a giocare Oltreoceano, negli States).
Dopo un altro anno di assestamento in Serie B, arrivò la famigerata stagione 77-78, a lungo ricordata come quella dell’Ascoli dei record. Pur partendo senza i favori del pronostico, il Picchio marchigiano (allenato dal leccese Mimmo Renna) fu assoluto protagonista di una stagione trionfale, d’una cavalcata solitaria senza precedenti che riportò i bianconeri prontamente in massima Serie, al primo posto e staccando le seconde in classifica (le forti Catanzaro e Avellino) di ben 17 lunghezze!… e parliamo di campionati in cui, per le vittorie, venivano assegnati ancora i 2 punti, a differenza dei 3 attuali. Quel fantastico Ascoli stabilì tre record a tutt’oggi imbattuti in Serie B (per campionati a 20 squadre e, come visto, con 2 punti per vittoria): maggior numero di punti conquistati: 61; maggior numero di vittorie: 26; e maggior numero di reti realizzate: 73. Dalla stagione 79-80 alla stagione 91-92, l’Ascoli giocò sempre in serie A – tranne che in due occasioni, quando, retrocedendo dal massimo campionato, entrambe le volte si riscattò prontamente vincendo immediatamente l’anno successivo il campionato di Serie B – e divenne una squadra simbolo del Calcio italiano provinciale di quegli anni, vincendo anche una Mitropa Cup (Coppa dell’Europa Centrale, che quell’anno si disputò proprio nelle Marche) nel 1986 battendo in finale i cechi del Bohemians Praga.
Una compagine, l’Ascoli, che in serie A se la giocò spesso alla pari con tutti (centrando anche un sorprendente quarto e sesto posto), temibilissima tra le mura amiche in cui non era facile per nessuno fare punti, in un Del Duca ribollente di tifo ed entusiasmo, mettendo spesso in difficoltà o addirittura battendole (talvolta anche in trasferta) le “regine” del nostro football.
La compagine marchigiana di quei perduti e meravigliosi Anni ’80 divenne un vero e proprio fenomeno sociale e di costume (impossibile non ricordare il corrispondente per 90° minuto Tonino Carino, fatto oggetto d’ironia e sberleffi per anni e, dopo la morte e come spesso accade, in seguito totalmente rivalutato). Anche il Presidentissimo Rozzi, da sempre strenuo e combattivo difensore del Calcio di Provincia contro i soprusi e le ingiustizie perpetrate dalle “grandi” piazze del pallone nostrano ai danni delle “piccole”, a mezzo di arbitraggi non sempre imparziali, ebbe modo – attraverso una polemica mordente e sfrontata e una dialettica assai casereccia e senza troppi peli sulla lingua – di mettersi in luce, diventando anch’egli e suo malgrado, un personaggio televisivo conosciuto da tutti attraverso la nota trasmissione calciofila Il processo del lunedì.
Costantino Rozzi fu un protagonista peculiare e imprescindibile del Calcio italiano di quell’epoca – quando ancora era possibile vedere un Verona Campione d’Italia o un Perugia secondo in classifica, quando questo bellissimo sport non era ancora stato distrutto dalle Televisioni a pagamento – e la sua figura, anch’essa in seguito totalmente rivalutata e oggi profondamente rimpianta, va ad inserirsi nel filone dei grandi presidenti (un po’ padri-padroni, seppur nell’accezione meno negativa del termine) che hanno scritto pagine importanti di storia del nostro Calcio di Provincia e del suo costume: i vari Angelo Massimino (Catania), Romeo Anconetani (Pisa), Antonio Sibilia (Avellino) e Tonino Molinari (Campobasso), solo per citare quelli che mi vengono in mente. Per rendere omaggio a quella grande personalità un po’ pittoresca che fu Costantino Rozzi – e per dire di quanto fosse amato questo presidente dal proprio popolo sportivo – al suo funerale, celebrato nella sua Ascoli nel dicembre del ’94, oltre alle più grandi “autorità” del pallone tricolore, parteciparono circa 20.000 persone… una cifra incredibile, degna d’un Capo di Stato!
Dopo di allora, inutile negarlo, nulla è stato più come prima nella città marchigiana. È vero che l’Ascoli Calcio ha una storia ultracentenaria che va al di là dei nomi e delle persone – tant’è che anche nel dopo-Rozzi il club bianconero ha rivisto per altre due volte la “luce” della Serie A: stagioni 2005-06 e 2006-07, oltre a tantissima Serie B – però è pur vero che quella magia degli Anni ’80 resta indissolubilmente legata al suo Presidentissimo capace di portare l’amato Ascoli, dai bassifondi polverosi della Serie C, verso traguardi e vette fino ad allora (e dopo di allora) impensabili… era un altro Calcio, aveva un altro sapore ed anche gli uomini che contribuirono a scriverlo erano fatti d’un’altra pasta e tempra rispetto ai presidenti manager di oggi, interessati unicamente ai profitti.
Venendo al disegno, dopo questa piacevole chiacchierata, ho voluto rendere omaggio all’intera tifoseria del Picchio, ed in particolar modo alla Curva Sud, da sempre culla del tifo bianconero. Una Curva che, personalmente, mi ha sempre impressionato facendo il rapporto grandezza della città/presenze sugli spalti. Gli ascolani sono una delle migliori tifoserie in circolazione e il loro supporto è sempre stato senza troppi fronzoli, quasi rude e che se n’è sempre fregato delle mode passeggere. Una Curva traboccante la Sud, gremita di gente e con quel muro di sciarpe che la rendono una tra le più belle dell’intero panorama. E quei boati al Del Duca che fanno paura, per una tifoseria ricca di gruppi – indimenticabile lo storico Settembre Bianconero – che di volta in volta si sono succeduti e fatti onore (con numeri importanti anche in trasferta) facendo conoscere il nome di Ascoli da Nord a Sud.
Per questo disegno, sullo sfondo d’un tricolore (che enfatizza un’attitudine nazionalista da sempre prerogativa di questa Curva) ho posto in posizione centrale uno dei simboli più abusati ma comunque più simpatici del mondo Ultras: Andy Capp che, con tanto di maglietta a righe bianconere orizzontali (che fa molto british), insegue il suo pallone puntando deciso la porta avversaria. In alto e in basso le scritte nere (in un font godibile ed efficace) indicanti il nome completo della città picena e la semplice dicitura ULTRAS; il tutto è proprio come gli ascolani: diretto, senza tante etichette. Come dire: chi vuole, ci trova qua! Un cuore del tifo ascolano che – dopo i tragici accadimenti sismici che hanno messo in ginocchio il Centro-Italia e lesionato persino le gradinate dello storico impianto piceno – può oggi paradossalmente dare ulteriore prova di sé, nell’enorme struttura metallica prefabbricata in cui s’è temporaneamente trasferito il supporto per il Picchio. A pochi metri dal terreno di gioco, sarà ancora più dura per gli avversari vedersela con la Sud ascolana.

Curva Nord Pescara: Disegno realizzato avendo in mente la tifoseria biancazzurra del Pescara. Il tifo per il Delfino abruzzese è sempre stato molto caloroso e partecipe e già nei primi Anni ’70, allo stadio Adriatico, si supportava l’undici in campo in maniera sempre meno spontaneistica ed iniziarono a nascere le prime forme di tifo organizzato.
Data centrale per il mondo Ultras pescarese (e non solo) è il 1976, anno che vide la nascita dei Rangers, a tutt’oggi gruppo leader della Curva Nord. Dell’importanza e dell’influenza di questo gruppo abbiamo già avuto modo di parlare proprio sulle “pagine” di questa stessa rubrica con un disegno a loro dedicato (One Step Beyond #7 ). Vale comunque la pena di ricordare due caratteristiche salienti “inventate” da questo gruppo sempre all’avanguardia: i Pescara Rangers sono stati – nella nomenclatura – i primi ad anteporre il nome della città a quello del gruppo ed inoltre sono stati i primi ad utilizzare – per il proprio striscione – lo sfondo nero (colore non appartenente alla loro tradizione), su cui, nello specifico, campeggiavano le scritte nei colori bianco e azzurro. Queste due “innovazioni” furono poi abbondantemente copiate da tutti ed oggi appaiono “normali”… va comunque ricordata quale sia stata la loro primogenitura.
Il Calcio nella città abruzzese si praticava già alla fine degli Anni ’20 e – grazie all’istituzione della Provincia di Pescara, fortemente voluta da Gabriele D’Annunzio – anche il gioco del football ebbe nuova linfa andando a riunire sotto una sola sigla le varie anime che fino a quel momento praticavano il gioco più bello del mondo. Fu comunque soltanto nel 1936 che si fondò in maniera stabile l’Associazione Sportiva Pescara (dopo i tentativi degli anni precedenti) ed il club, che adottò il biancazzuro come colore ed il delfino come stemma, iniziò il suo cammino attraverso la storia. Una storia calcistica non priva di grosse soddisfazioni: i 7 campionati di Serie A (compreso quello in corso) che fanno del Pescara l’unico club abruzzese ad aver disputato un massimo campionato nazionale.
Verso l’inizio degli Anni ’70 il club biancazzurro era sprofondato in Serie D, deludendo i suoi tanti tifosi che per troppi anni avevano masticato amaro per una compagine che non gli aveva più fatto provare l’ebbrezza della Serie B persa malamente negli Anni ’40. Ma il club adriatico seppe riscattarsi con una doppia promozione: nel 1972-73 vinse il campionato di Serie D, girone H, precedendo le corregionali Teramo e Lanciano, mentre l’anno successivo vinse il girone meridionale della vecchia Serie C unica, al termine d’un esaltante duello contro i giallorossi del Lecce, precedendoli di un solo punto e mettendosi comunque alle spalle forti compagini quali Nocerina e Casertana che pure lottarono per il vertice.
Seguirono quelli che furono tra gli anni più belli del Pescara Calcio: tre stagioni consecutivi di Serie B in cui, al terzo anno (76-77), il Delfino si piazzò al secondo posto in coabitazione con Cagliari e Atalanta; su tre squadre, due sarebbero salite in Serie A ed una sarebbe rimasta in cadetteria: fu necessaria la coda degli spareggi. Il Pescara pareggiò entrambe le partite per 0-0 (col Cagliari sul neutro di Terni e con l’Atalanta sul neutro di Bologna) piazzandosi al secondo posto dietro ai bergamaschi ed ebbe così diritto a partecipare al primo campionato di Serie A della sua storia che purtroppo durò un solo torneo e la compagine abruzzese tornò mestamente in Serie B l’anno seguente, classificandosi ultima con soli 17 punti in graduatoria, appena 4 vittorie e ben 17 sconfitte.
Rapporto, quello tra la massima Serie ed il Pescara, che purtroppo non è mai stato facile: su sei promozioni, quattro volte il club adriatico è retrocesso immediatamente in cadetteria… sembra quasi una maledizione; e lo sciagurato campionato dei biancazzurri in Serie A attualmente in corso, a dispetto d’un bel gioco lodato anche dagli addetti ai lavori, non lascia presagire – in tal senso – niente di buono; anche se, va detto, che il campionato è al giro di boa, quindi c’è ancora tempo e modo per rimediare e sfatare questo triste tabù.
La risposta del Pescara a quella prima retrocessione dal massimo campionato fu veemente: tornò immediatamente in Serie A, vincendo un rocambolesco campionato (78-79) in cui, alla penultima giornata del girone di ritorno, agguantò il Monza – che pareva lanciato senza più ostacoli verso la storica promozione, senonché i brianzoli persero malamente in casa contro il Lecce che non aveva più nulla da chiedere alla propria classifica – appaiandolo al terzo posto ed infine battendolo (2-0) nello spareggio in partita secca giocato sul neutro di Bologna.
Era il 1 luglio del ’79 e le cronache raccontano d’un’invasione pescarese allo stadio Dall’Ara senza precedenti: furono addirittura 40.000 (come canta il loro storico inno) i tifosi biancazzurri che raggiunsero il capoluogo emiliano per quello spareggio-promozione. Una cifra davvero incredibile! Pensate che la più grande trasferta di massa della storia del tifo organizzato avvenne in occasione della finale della vecchia Coppa dei Campioni del 1989 tra il Milan e la Steaua Bucarest che si disputò al Nou Camp di Barcellona: in quell’occasione furono in 80.000 a seguire il Diavolo rossonero in terra catalana… ma parliamo del Milan (una delle squadre più forti e titolate al mondo) e d’una finale di Coppa Campioni ch’è il trofeo più prestigioso per un club europeo… I pescaresi per una promozione in Serie A si presentarono in 40.000… fate le debite proporzioni e considerate il bacino d’utenza che può disporre il Milan (a Milano e in Italia) e quello di cui può disporre il Pescara… il dato è veramente impressionante e la dice lunga sul calore e sulla passione di questo popolo sportivo.
Quel secondo campionato di Serie A (79-80), il Pescara riuscì a fare addirittura peggio del suo debutto, anche se di poco: ultimo posto in classifica (seppur, dopo le sentenze del Calcio-scommesse legate al tragico Totonero finirono il Milan e la Lazio rispettivamente in ultima e penultima posizione), 16 punti totali, 4 vittorie e 18 sconfitte.
Tornato in Serie B, dopo una buona stagione a ridosso delle prime, nel torneo successivo (81-82), il Pescara addirittura retrocesse in C1 al termine d’uno dei campionati più sciagurati che si ricordino in riva all’Adriatico: 17 miseri punti su 38 giornate, le “solite” 4 vittorie e 25 sconfitte sul groppone.
In C1 (girone B) il Pescara fu soltanto di passaggio: infatti vinse quel torneo appaiato al primo posto con l’Empoli e spuntandola (per un solo punto) sul Taranto e sul mitologico Campania (che in pratica, all’epoca, era la seconda squadra di Napoli e, se la memoria non m’inganna, giocava le sue gare interne proprio al San Paolo). Seguirono altri tre anni di Serie B, altalenanti e non particolarmente esaltanti (con addirittura una retrocessione – stagione 85-86 – sventata grazie a un ripescaggio).
Fu quindi la volta dell’indimenticabile campionato cadetto 1986-87, allorquando il Pescara – che aveva allestito un organico per il campionato di C1 ma che si ritrovò, come visto, ripescato in B – fu affidato all’emergente allenatore napoletano Giovanni Galeone, proveniente dalla SPAL. Quell’anno l’undici abruzzese sorprese tutti, tifosi e addetti ai lavori, disputando un torneo eccezionale che lo portò, da primo in classifica (seppur a pari merito col Pisa) a vincere il campionato e ad approdare, per la terza volta nella sua storia, in Serie A.
Era un Calcio spettacolo quello del Pescara guidato da Galeone, molto offensivo (il bomber veronese Rebonato vinse quell’anno la classifica cannonieri con 21 centri) e assai spumeggiante tanto che fu coniata l’espressione Pescara champagne. Il successivo campionato di Serie A fu l’unico della sua storia in cui il Pescara riuscì a salvarsi. Pezzo da novanta della sua campagna acquisti (il club adriatico era stato rilevato dal facoltoso imprenditore dell’industria alimentare, Scibilia, già patron della fortissima squadra ciclistica Gis gelati-Ecoflam che aveva come atleta di punta l’immenso Francesco Moser) fu il talentuoso centrocampista brasiliano Júnior, arrivato in riva all’Adriatico dal Torino, ch’è stato uno dei calciatori più forti di tutti i tempi della nazionale verdeoro, con un’eleganza, una visone di gioco e una saggezza tattica non comuni; giocò a Pescara per due stagioni: l’anno della salvezza e l’anno seguente in cui il Delfino biancazzurro retrocesse nuovamente in Serie B (seppur fallendo la salvezza per soli 2 punti, classificandosi al terzultimo posto insieme al Tornio e precedendo Pisa e Como).
Dopo due stagioni abbastanza anonime in cadetteria (nonostante sulla panchina si succedettero tecnici del calibro di Castagner e Mazzone), nel 1990-91 il Pescara (tornato sotto la guida tecnica di Galeone, subentrato già durante la stagione precedente) tornò nuovamente in Serie A, classificandosi al secondo posto a sole 3 lunghezze dal Brescia.
Indovinate cosa successe l’anno seguente?… il Pescara retrocesse di nuovo, con 17 punti in classifica e con l’onta dell’ultimo posto. Dopo di allora, dovranno passare la bellezza di 20 anni per rivedere la luce della Serie A. Vent’anni passati prevalentemente in B e in C, tra vittorie di campionato sfumate per pochi punti, rocambolesche retrocessioni, ripescaggi, tornei anonimi, finali play-off perse e vinte, un fallimento nel 2009 ma senza colpo ferire in quanto il derelitto Pescara Calcio SpA fu subito rimpiazzato dal Delfino Pescara 1936 che in pratica è lo stesso Pescara di sempre, avendone ereditato colori, simboli e palmarès.
Arrivò il momento della stagione 2011-12, quando, con uno degli allenatori più controversi della storia del Calcio, il boemo Zdeněk Zeman, i biancazzurri disputarono forse la stagione più bella e incredibile della loro storia: vinsero il campionato (approdando in Serie A per la quinta volta) con 83 punti (appaiati al Torino) totalizzando 26 vittorie e mettendo a segno un numero impressionante di goal: 90 (!) frutto del gioco sfrontatamente offensivo messo in atto da quel mattacchione di Zeman e dell’anno di grazia dei suoi avanti (supportati da uno dei più grandi talenti del Calcio italiano degli ultimi anni, il pescarese doc Marco Verratti): i napoletani Ciro Immobile (capocannoniere del torneo) e Lorenzo Insigne che misero a segno rispettivamente 28 e 18 reti, ed il romano Marco Sansovini (capitàno della squadra) che ne mise a segno 16.
Come da copione, l’anno seguente il Pescara si classificò ultimo e tornò mestamente tra i cadetti: una compagine che s’era troppo indebolita; andarono via, infatti, tutti i protagonisti della trionfale stagione precedente, dall’allenatore ai quattro calciatori di cui poc’anzi.
Infine le ultime quatto stagioni: 2013-14 col Pescara quindicesimo in Serie B; 2014-15 con gli abruzzesi che centrano i play-off ed arrivano in finale avendo la peggio contro il più blasonato Bologna; 2015-16 col Delfino che centra nuovamente i paly-off – guidato dal pescarese Massimo Oddo in panchina e grazie ai fantastici goal (27, capocannoniere della Serie B) del bomberissimo Gianluca Lapadula – vincendoli nella finale in doppia sfida col sorprendente Trapani dell’ex Serse Cosmi ed approdando nuovamente in Serie A, per la sesta volta nella propria storia, in cui a tutt’oggi milita.
Venendo al disegno, ho voluto creare un’alchimia tra i tre colori bianco-azzurro-blu che sono gli stessi del logo sociale del club che ho solo provveduto a scurire alterandone il contrasto (e ponendovi, all’interno, l’anno di fondazione) cercando di amalgamarli per trarne qualcosa che fosse al contempo fresco e dinamico. Volevo creare una figura che desse gioia agli occhi, trasmettendo una sensazione di allegria e mi sembra che quest’alternanza di colori restituisca il giusto merito ad uno dei loghi più originali del Calcio italiano, per quanto non sia facile utilizzarlo in un disegno.
Ho pensato – e in questo credo d’esser stato innovativo… non mi risulta nulla di simile in riva all’Adriatico – di “declinare” questo stemma secondo una inusuale forma araldica, ponendo due delfini guizzanti e simmetrici alla destra e sinistra dello stesso. L’indicazione di Curva e città, in un gioco di scritte maiuscole, minuscole (in un font importante e rappresentativo) e linee, sovrasta una tripla banda diagonale di bianco e azzurro che dona al disegno senso di movimento e – insieme ai delfini di cui sopra – richiama alla mente le profondità marine. Nella mia fantasia tardo-adolescenziale di quarantenne, immaginerei questo disegno replicato in migliaia di bandierine sventolate senza posa dall’intera Curva Nord dello stadio Adriatico in una coreografia mozzafiato.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;
One Step Beyond #22: Isernia, Padova, Genoa, Como;
One Step Beyond #23: Lazio, VeneziaMestre, Napoli, Gallipoli, Manfredonia;
One Step Beyond #24: Napoli, Vicenza, Milan, Inter, Fiorentina;
One Step Beyond #25: Isernia, Venezia Mestre, Inter, Manchester City;
One Step Beyond #26: Palermo, Paganese, Cavese, Novara, Nocerina, Newcastle;
One Step Beyond #27: Ideale Bari, Isernia, Matera, Manfredonia;