Curva Mare Cesena: Disegno dedicato all’intera tifoseria bianconera e in particolare alla porzione di stadio – la Curva Mare del Manuzzi – tradizionalmente più calda. Il Cesena Calcio – con le sue 13 partecipazioni alla serie A e 32 alla B – è senza dubbio uno dei club più prestigiosi e blasonati della Romagna e col suo seguito e la sua tradizione, alimenta la sempreverde rivalità con Bologna e con l’Emilia in genere per la supremazia calcistica regionale.

A livello Ultras, la piazza cesenate può vantare gruppi che affondano le proprie radici negli Anni ’70 e che hanno nel corso dei decenni perpetuato una continuità in termini di attaccamento e calore. Elemento peculiare di questa grande tifoseria è il forte radicamento che riscontra il club bianconero in tutta la Provincia, con sezioni e gruppi che fanno della Curva Mare davvero una bolgia sempre piena e festante, in casa come in trasferta. Per tradizione il tifo per il Cesena è molto acceso e rumoroso, senza tanti fronzoli, nell’attitudine come nel materiale da stadio, un supporto improntato all’immediatezza e alla sostanza, per una tifoseria temibile e rispettata da amici e nemici.

Venendo al disegno in oggetto, l’ho impostato sul più classico tricolore italiano (per una side che – pur senza esagerazioni ed estremizzazioni – non ha mai fatto mistero delle proprie simpatie nazionaliste); al centro ho messo lo scudo sociale del club pezzato verticalmente a strisce bianconere e col bel cavalluccio marino nel mezzo. A tal proposito è curioso constatare come un simbolo prettamente marinaro, com’è appunto il cavalluccio marino, sia emblema di un squadra espressione d’una città non di mare: in merito la tradizione racconta di come uno dei fondatori del club, il conte Rognoni, l’avesse “ideato” nei momenti di relax che trascorreva nel suo capanno da pesca sito sul porto-canale di Cesenatico. Ai lati dello stesso, nel medesimo colore bianconero, in posizione araldica e simmetrica, ho posto due leoni rampanti, simboli di maestà, nobiltà e difesa dello scudo stesso. Sopra e sotto, in nero, le due scritte che compongono il nome della Curva romagnola in un font sontuoso ed elegante insieme. Una spessa cornice nera – interna al tricolore – spezzata dalle scritte di cui poc’anzi, delimita e conferisce maggior completezza e rifinitura all’insieme. Lo immaginerei come drappo da trasferta dietro cui fare quadrato ma anche come bandierina riprodotta in serie e sventolata da migliaia di mani.

Hellas Fans Verona: Ancora un disegno per la Curva scaligera, una delle più importanti del nostro panorama Ultras, che ha fatto e continua a fare scuola. Quando nei primi Anni ’90 la Sud veronese accantonò i vecchi e tradizionali striscioni per abbracciare il cosiddetto tifo all’inglese – che avrebbe in breve attecchito in tutta la Penisola e che, almeno a livello puramente estetico, continua a rappresentare la più importante rivoluzione nel nostro modo di tifare – si fece largo tutta una serie di drappi più o meno fantasiosi, con alcuni davvero di ottima fattura, molto “stilosi” e accattivanti e in cui, oltre alla classica croce gialla in campo blu (simbolo della città), era talvolta possibile vedere dei mastini (simbolo del club).

Per questa mia nuova grafica ho scelto proprio quest’ultima opzione, ponendo al centro di un ipotetico drappo la testa d’un mastino, declinata in giallo, molto ben definita e particolareggiata, nella più classica (e abusata) posa ringhiante che mostra denti (bianchi) affilati quanto letali e con l’immancabile collare borchiato a punte, che potremmo definire d’ordinanza e che conferisce quel tocco di ulteriore bellicosità. Una particolarità del mastino: ho dipinto gli occhi di rosso, iniettati di sangue, dando – se possibile – ancor più “drammaticità” alla figura. Sopra e sotto questo logo ho posto, cubitale ed elegante, la scritta HELLAS FANS, gialla su campo blu, ch’è una delle sigle realmente esistenti in Curva Sud e che più di qualunque altra identifica il “nuovo” corso della side veneta. Una sottile riga, pure gialla e dagli angoli stondati, regala al disegno quel tocco casual sempre latente nel tifo gialloblu. Il tutto, idealmente, è poggiato sopra un tricolore italiano, a rimarcare, ancora una volta, un’attitudine nazionalista da sempre appannaggio dei ragazzi di stadio veronesi.

Aberdeen Soccer Casuals e Aberdeen Ultras: Venendo eccezionalmente incontro alla richiesta di nostri lettori in terra di Scozia, che confermano (riempiendoci di orgoglio, lasciatemelo dire) l’ormai internazionalità di Sport People, mi sono cimentato nella realizzazione di due disegni per l’Aberdeen FC e i suoi supporters.

L’Aberdeen FC è la squadra principale dell’omonima città di Aberdeen che, coi suoi oltre 220.000 abitanti, è la terza per popolazione di Scozia dopo Glasgow ed Edimburgo. Questo club, fondato nel 1903 dalla fusione di squadre pre-esistenti, è molto rinomato in patria e – insieme ad altri pochi sodalizi – rappresenta un piccolo “punto di rottura” nel Calcio scozzese storicamente dominato, in maniera pressoché quasi assoluta, dallo strapotere di Rangers e Celtic, le due squadre di Glasgow, che rispettivamente con 54 e 48 titoli nazionali vinti, fanno la voce del padrone. Inoltre, dopo i successi delle stagioni 1954-55, 1979-80 e 1983-84, con l’ultima vittoria del campionato (la Scottish Premier League: l’equivalente della nostra Serie A) nella lontana stagione 1984-85, l’Aberdeen FC rappresenta l’ultimo club che non sia Rangers o Celtic ad essersi laureato Campione di Scozia. Un altro vanto di questa indomita squadra è il rappresentare – unitamente al Celtic – l’unica squadra del proprio Paese a non essere mai retrocessa in Scottish Championship (l’equivalente della nostra Serie B). Nel palmarès dell’Aberdeen FC figura anche la vittoria di ben sette Coppe di Scozia (Scottish Cup) di cui tre consecutive tra il 1982 e l’84.

Il periodo di maggior fulgore del club è senz’altro quello che va dalla fine degli Anni ’70 fino a circa la metà degli ’80, quando, sotto la sapiente guida del leggendario Sir Alex Ferguson (considerato uno dei più grandi tecnici e manager di tutti i tempi nella storia del Calcio e che avrebbe in seguito guidato per oltre un quarto di secolo il Manchester United portandolo di trionfo in trionfo) nel breve volgere di sette anni, l’Aberdeen FC vinse tre campionati (di cui due consecutivi) e quattro Coppe di Scozia; ma soprattutto – terzo club scozzese nella storia, dopo l’ovvio succitato duo dell’Old Firm – riuscì a vincere, nella stagione 1982-83, un trofeo continentale, la Coppa delle Coppe (una delle progenitrici dell’attuale UEFA League che in pratica metteva difronte le squadre europee vincitrici delle rispettive Coppe nazionali) battendo l’11 maggio dell’83 in finale unica a Göteborg il più blasonato Real Madrid, piegandolo per 2-1 al settimo minuto del secondo tempo supplementare con un goal siglato da John Hewitt (nativo proprio di Aberdeen) e fatto entrare in campo da Ferguson pochi minuti prima del 90°.

Fu una vittoria storica e per certi versi irripetibile per la compagine nord britannica che davvero in quegli anni giocava un grandissimo Calcio ed era affiatata e oleata come la più navigata delle orchestre, con una squadra tutta di scozzesi purosangue e che aveva il suo direttore nell’inarrivabile mentore Ferguson. Non pago della straordinaria vittoria della Coppa Coppe, a fine anno l’Aberdeen FC rimpinguò il successo andandosi a prendere anche la Supercoppa UEFA (che metteva difronte le vincitrici della Campioni e della Coppe; oggi invece si disputa tra le vincitrici di Champions League ed Europa League) in doppia finale contro l’Amburgo (che a sorpresa s’era aggiudicato la Coppa Campioni avendo ragione della grande Juventus di Platini in una delle sette finali pese dai bianconeri italiani in questa competizione) andando ad impattare 0-0 in terra teutonica ed imponendosi al ritorno per 2-0 tra le mura amiche del Pittodrie Stadium.

Dopo l’uscita di scena di Ferguson nel 1986, l’Aberdeen non ha più saputo replicare i successi del passato, soccombendo (un po’ come tutto il Calcio scozzese) all’egemonia Rangers/Celtic. Però c’è da dire che – pur tra alti e bassi – questo club continua a far parlare di sé anche con qualche puntatina nelle competizioni europee e comunque mantenendo vivo il proprio blasone e la propria tradizione, rappresentando di fatto una “terza strada” per il tifo di matrice scozzese subito dietro le due compagini di Glasgow.

Infatti il tifo per i Dons, come sono chiamati i calciatori dell’Aberdeen, è sempre stato numeroso e corposo, straordinariamente colorato; a tal fine basta scorrere qualche loro fotografia per rendersene conto, con una Richard Donald Stand (ma spesso con tutto lo stadio) sempre molto colorata e coreografica che – soprattutto negli ultimi decenni – ha abbracciato, a livello estetico, un tipo di supporto più latino. I biancorossi di Scozia vantano anche un’importante amicizia italiana, con la Curva Sud di Verona, una delle nostre side più celebri e prestigiose che proprio ad Aberdeen ha anche un proprio distaccamento di tifosi.

Coi miei due disegni ho voluto rendere omaggio sia alla parte più tradizionale del tifo per l’Aberdeen FC, quella che si rifà più espressamente agli Anni ’80, sia alla parte più moderna e d’ispirazione fine Anni ’90/2000.

Nel primo disegno ho omaggiato una storica crew, gli Aberdeen Soccer Casuals, formatisi nel 1980 e che rappresentano la parte più tradizionale e autoctona del sostegno per le rosse casacche. Nati proprio all’inizio degli eighty, sulla falsariga dei più importanti gruppi hooligan che fiorivano nella finitima Inghilterra, da cui gli ASC (questo il loro acronimo) mutuarono estetica e atteggiamento di fierezza e spavalderia, per quanto il tifo da stadio in Scozia è sempre stato più “leggero” e meno “drammatico” di quello inglese, privo (per quanto possibile) di taluni eccessi ed estremizzazioni degli Anni ’80 che hanno prodotto – a conti fatti – più danni che benefici, trasformando spesso il sabato (giorno del football per gli inglesi) in una vera e propria guerriglia urbana e segnando di fatto con la loro eccessiva violenza la fine stessa del tifo per mano del primo ministro Margaret Tatcher che decise di estirpare l’hooliganismo col pugno di ferro. C’e da dire, comunque, che anche gli ASC si resero protagonisti di atti violenti anche se i loro scontri furono sempre contro  crew rivali, non coinvolgendo mai, per quanto possibile, gente inerme – rispettando, nella sostanza, una sorta di codice non scritto – e affermandosi come una delle frange più temute di Scozia.

Ho sempre visto il tifo scozzese differente da quello inglese; più a misura d’uomo, più genuino e, passatemi il termine, meno “pericoloso”, con partite che rappresentano prima di tutto una festa. E credo che il supporto per i club calcistici locali e l’atmosfera che si respirava (e per certi versi si respira ancora) negli stadi scozzesi sia davvero unica. Un sostegno che trova poi nel seguire la Nazionale calcistica il suo momento più alto e di più grande, totale e catartica partecipazione collettiva. Il connubio tra i Blu di Scozia e la Tartan Army è realmente qualcosa di straordinario e commovente… una nazione intera che tifa per il proprio undici senza nessuna divisione. Il sano nazionalismo degli scozzesi è davvero qualcosa di unico e irripetibile. In tutte le competizioni internazionali a cui hanno partecipato le varie Nazionali delle highlands, i supporters al seguito hanno sempre riscosso unanime simpatia per la loro correttezza e sportività.

Tornando al disegno: ho posto al centro il bel logo sociale del club – realizzato unicamente dai due colori bianco e rosso – inserendolo su un’ideale pezza rossa. Sopra e sotto il logo, in bianco – in un font che richiamasse senza mezzi termini lo stile casual – ho inserito le scritte SOCCER e CASAUALS senza ripetere la parola ABERDEEN già presente all’interno del logo di cui sopra. Intorno ho tracciato una sottile riga bianca dagli angoli stondati che conferisse quell’ulteriore tocco casual e moderno al disegno. Volendo inoltre rendere omaggio alla nazione di questa crew, ho “poggiato” il tutto su una “pezza” sottostante che avesse l’immancabile e inconfondibile croce di Sant’Andrea così cara da quelle parti.

Nel secondo disegno, invece, ho voluto ispirarmi alla parte per così dire più “giovane” (in termini anagrafici di nascita del gruppo) del tifo per l’Aberdeen FC; mi riferisco ai Red Ultras, nati nel 1999, che già dal nome, come pure per l’abbondante uso di elementi coreografici tipici della cultura da stadio latina e italiana (vedi striscioni) vogliono essere un’esplicita dichiarazione d’intenti sul volersi discostare da un modello più tradizionale e british, abbracciando un’attitudine più sud-europea… Facendo, paradossalmente, il percorso inverso a quello fatto da noi in italiani quando, gradualmente, abbiamo abbandonato (se non del tutto, almeno in parte) i nostri modelli “tifologici” più folkloristici e tradizionali, lasciandoci fatalmente irretire da uno stile più asciutto e british.

Anche in questo disegno non ho voluto dimenticare la provenienza geografica di questi ragazzi e l’inscalfibile connubio che li lega alla loro madrepatria e ho quindi posto il logo sociale del club su una bandiera scozzese. Nella parte bassa del logo, ho tirato un nastro pure di colore rosso al cui interno ho inserito la parola ULTRAS che vuol essere un omaggio all’intera tifoseria dell’Aberdeen FC (e alla sua anima, per così dire, maggiormente moderna e latina) più che al quasi omonimo gruppo (che fa perlopiù uso, per il proprio materiale, esclusivamente dei soli colori biancorossi).

Udinese Calcio 1896: Con ben 45 partecipazioni alla Serie A, l’Udinese – uno dei club più antichi d’Italia, datato infatti 1896 – è una delle società storiche del Calcio di casa nostra. Ha sempre avuto un pubblico fedele e caloroso sin dal 1976, anno d’inaugurazione dell’immenso e bellissimo Stadio Friuli (così chiamato in onore delle vittime del terribile terremoto di quell’anno che devastò e sconvolse la terra friulana) cui gli sponsor – senza alcun rispetto per la tradizione e per tutti gli sportivi udinesi e friulani ma soltanto per mere questioni commerciali – hanno, dopo il recente rifacimento, arbitrariamente cambiato il nome in Dacia Arena… nomenclatura mai riconosciuta dall’intero popolo sportivo delle zebrette.

L’Udinese è sempre stata squadra di rango, un osso duro da masticare per chiunque e in talune occasioni – seppur lontane nel tempo – s’è addirittura inserita nella lotta Scudetto, mettendo in riga squadre e piazze ben più titolate e blasonate di Udine. Nella stagione 1954-55, l’Udinese del tecnico Bigogno si piazzò a fine torneo al secondo posto assoluto in Serie A, a soli quattro punti dal Milan che andò a vincere il suo quinto Scudetto con una sola giornata di anticipo. Nel suo palmarès, l’Udinese vanta anche la vittoria di un Trofeo anglo-italiano nel 1978, una Mitropa Cup vinta nell’80 e una Coppa Intertoto nel 2000. Il club bianconero ha inoltre partecipato – nel corso dei decenni – a svariate edizioni delle Coppe europee come la Champions League e l’Europa League, competizione quest’ultima che vide i friulani arrivare ai quarti di finale (quando il trofeo si chiamava ancora Coppa UEFA) ed uscire per mano dei tedeschi del Werder Brema nella stagione 2008-09.

Superfluo dire come gli anni più belli e indimenticabili per il club friulano siano stati i primi Anni ’80 e in particolare la stagione 1983-84 allorquando giunse ad Udine – al termine d’una clamorosa e sensazionale operazione di mercato – uno dei calciatori più forti di tutti i tempi, il brasiliano Arthur Antunes Coimbra, meglio noto come Zico. Quell’anno lo Stadio Friuli fece registrare, non a caso, il suo record (a tutt’oggi imbattuto) di abbonati con quasi 27.000 tessere sottoscritte (che per una città di circa 100.000 abitanti è tutto dire). Portare un giocatore come Zico in una piazza provinciale quale era Udine non fu cosa da poco e questo la dice lunga sulla serietà e lungimiranza che nel corso degli anni hanno sempre avuto le varie società che si sono succedute alla guida economica del club, divenuto col tempo sinonimo di competenza e oculatezza manageriale.

Gli Ultras dell’Udinese hanno sempre rappresentato una bella realtà, molto attaccati alla propria terra e alle sue tradizioni. Non è raro vedere, tra i vari vessilli che domenicalmente vengono innalzati dai ragazzi di fede bianconera, bandiere ed effigi recanti l’Aquila Friulana, simbolo di tutto il Friuli e che i tifosi più oltranzisti vorrebbero veder riprodotta nel logo sociale del club. Tutti i vari gruppi che nel corso dei campionati hanno seguito l’Udinese, si sono messi in mostra e non hanno mai sfigurato difronte ad avversari e rivali di turno. Sarebbe qui impossibile ricordarli tutti.

Una più che doverosa citazione va comunque fatta per i Friulani al Seguito, gruppo che intorno alla metà degli Anni ’90 ha portato una reale ventata di freschezza e novità in un mondo Ultras italiano ancora legato a simbologie e attitudini di sostegno retaggio degli Anni ’80. Sulla falsariga d’un tifo di stampo più british e spontaneistico, quella innescata dai FaS fu una vera e propria rivoluzione estetica – maturata contemporaneamente a gruppi di altre Curve, dall’altra parte dello Stivale: gli O.F.C. Arezzo su tutti – che introdusse nel materiale da stadio elementi fino a quel momento estranei alla cultura Ultras italiana: palloni da Calcio (possibilmente retrò), allori, target mods, scarpette da football e giocatori di Subbuteo. Elementi che sarebbero ben presto stati ripresi praticamente da tutte le tifoserie, senza esclusione, dalla Serie A alla Terza Categoria, divenendo una vera e propria moda che pare ancor lungi dal terminare, assurgendo anzi a elemento che potremmo ormai definire un “classico” di tutto il materiale Ultras.

Piccola nota: il titolo di questa rubrica, One Step Beyond, è stato da me ripreso proprio dal nome dell’omonima fanzine – a sua volta ripreso dal titolo d’una canzone ska-giamaicana coverizzata e resa popolare dalla band inglese dei Madness – che pubblicavano regolarmente i Friulani al Seguito. Era giustamente considerata come una delle migliori fanze in circolazione, se non la migliore in assoluto. Per grafica e packaging non aveva nulla da invidiare a prodotti professionali e non avrebbe certamente sfigurato nelle edicole.

Venendo al disegno: ho voluto inseguire la strada della semplicità e del minimalismo, per una grafica dalla forte impronta Anni ’80 ma con lo sguardo proiettato nel futuro. Al centro della scena, su sfondo nero, ho posto il logo sociale del club ch’è a sua volta ripreso da quello cittadino e che vede uno scudo bianco recante all’interno uno scaglione nero. Questo scudo è pedissequamente mutuato dall’araldica e rappresenta il blasone della casata aristocratica friulana della famiglia Savorgnan. Lo scudo da me utilizzato è quello di “ultima generazione” e che vede lo scaglione “proseguire” anche al di fuori dello scudo e coi colori invertiti. L’ho posto all’interno d’una cornice dagli angoli stondati e divisa diagonalmente nei tre colori della nostra bandiera nazionale (per una tifoseria che – pur vantando, come visto, la propria friulanità – s’è sempre sentita fortemente nazionalista). Lo scudo e la cornice, nel loro incastro, vanno quasi a formare una sorta di nuovo logo in cui ho inserito, nella parte bassa – in un font serif, elegante e imponente – la semplice nomenclatura del club, così com’è conosciuto da tutti. Nella parte destra e sinistra del disegno ho tirato due sottili righe bianche che conferiscono quel tocco di rifinitura ulteriore. Immaginerei questo disegno come drappo, adesivo, ma – perché no? – anche come bandierina.

Pisa Calcio 1909: Uno dei club storici della Toscana e del panorama centro-settentroniale, il Pisa Calcio è una vera e propria istituzione per la città, seguito da un pubblico numeroso e straordinario per attaccamento e calore. Nella sua lunga e travagliata storia, il sodalizio toscano ha disputato 7 campionati di Serie A e 32 di B. Oltre a ciò ha conosciuto tanta Serie C, ritrovandosi anche, causa i soliti dissesti finanziari (ahimè comuni a tanto Calcio provinciale nostrano) nell’inferno della Quarta Serie e dei tornei regionali. Nella sua vicenda sportiva il club in riva all’Arno ha messo in bacheca anche due Mitropa Cup (1986 e 1988) e una Coppa Italia di Serie C (edizione 1999/2000).

Centrale e indimenticabile nella storia del club nerazzurro, è la figura del compianto e controverso “presidentissimo” Romeo Anconetani – che insieme a una generazione d’altri storici presidenti, Costantino Rozzi su tutti, negli Anni ’80 rappresentò una nuova frontiera per il Calcio provinciale italiano che grazie alla loro caparbietà e a i loro portafogli, se la giocava con le “grandi” – che riportò il Pisa in Serie A dopo la parentesi del 1968-69. Fu proprio il focoso e burbero Anconetani – spesso inviso a stampa e giornalisti e che non di rado si scontrava col “palazzo” per i presunti torti arbitrali ma che era amatissimo dai suoi tifosi… una volta addirittura seguì la partita in Curva in mezzo agli Ultras! – a ereditare un Pisa caduto in disgrazia e relegato in Serie C, riportandolo dapprima in cadetteria e quindi facendogli fare il grande salto nella massima serie nazionale. Un presidente amato proprio per il suo parlare in faccia, senza peli sulla lingua, anche al di là di certe sue uscite assai infelici, come il progetto di fondere, calcisticamente, Pisa e Livorno nel mostruoso quanto improponibile Pisorno.

In circa nove anni – dal 1982 al 1991 – il Pisa si rese protagonista di clamorosi saliscendi tra Serie A e B, con quattro promozioni nella massima serie (stagioni 81-82, 84-85, 86-87 e 89-90) e altrettante retrocessioni in serie cadetta, divenendo comunque una delle realtà provinciali più illustri del Calcio italiano e giocandosela alla pari contro tutti. Furono quegli Anni ’80 i più belli del Calcio pisano e il constatare come questa “magia” legata a quel particolare decennio sia comune a tanta Provincia italiana, la dice lunga sull’irripetibilità di quegli anni ricchi di possibilità, in cui per ognuno – a livello calcistico – era lecito sognare e dove talvolta gli stessi sogni si realizzavano.

Di quello splendido periodo in cui il Pisa era spesso inquilino dei piani più alti del Calcio italiano, impossibile non ricordare i tre calciatori stranieri che vestirono la casacca a strisce nerazzurre (senza per questo nulla togliere ai tanti talenti italiani più o meno famosi che resero grande il club all’ombra della Torre Pendente): Kieft, che militò in club prestigiosi quali Ajax e PSV Eindhoven e che fu nazionale olandese campione d’Europa nel 1988; Berggreen che fu anche nazionale danese; e soprattutto il grandissimo Dunga, brasiliano, che della Seleção  verdeoro fu anche capitano nonché Campione del Mondo nel 1994. Nomi che, ai ragazzi di oggi, potranno suonare sconosciuti o privi di pathos… invece per chi, come me, è stato bambino o ragazzino in quegli anni, schiude tutto un mondo fatto di partite a pallone giocate in strada, album di figurine Panini, almanacchi del Calcio sfogliati fino alla cecità e sogni a occhi aperti. Nomi celebri di quegli anni, il cui essere titolari delle rispettive nazionali dei propri Paesi la dice lunga sulla grandezza che aveva allora il nostro sport più popolare e del fascino che esercitasse sull’intero mondo pallonaro la nostra Serie A (e talvolta anche la B) se calciatori di tale stampo e importanza, pur di venire a giocare in Italia, erano disposti ad accasarsi anche in piazze provinciali quali Pisa, Udine, Ascoli, Avellino, Cremona, Lecce ecc. Senza retorica: erano anni magici, in tutto e per tutto.

Sul pubblico pisano si potrebbero scrivere tomi su tomi. Sanguigno, caloroso, passionale, tumultuoso, che incute rispetto e che intimorisce gli avversari. Un pubblico perfetto rappresentante della migliore e più radicata tradizione toscana, con una sua cifra stilistica assai peculiare. Senza nulla togliere a tutte le numerose tifoserie di quella splendida Regione Ultras che è la Toscana, credo che Pisa – in termini numerici e di totale commistione squadra-città – sia, insieme a Firenze e Livorno, la principale e più autorevole delle piazze del Granducato. Un pubblico, quello nerazzurro, che nel corso degli anni s’è sempre dimostrato all’altezza di ogni situazione e non è mai venuto meno, neppure negli anni più bui del dilettantismo, quando un calo fisiologico sarebbe stato più che giustificabile ma che questa piazza calcistica non ha mai conosciuto. Ecco: potremmo tranquillamente dire che una delle caratteristiche salienti della tifoseria pisana è proprio la continuità, in barba a qualsiasi categoria. Questo il loro principale motivo di vanto, a mio avviso.

Anche sulla Curva Nord dell’Arena Garibaldi c’è poco da dire che non sia già stato detto: una side spettacolare, sotto ogni punto di vista. Un tifo senza mezzi termini, semplice e travolgente, che riesce tangibilmente a influenzare le gesta degli atleti in campo. E capace di spettacolari e sontuose coreografie che negli ultimi anni si son fatte sempre più elaborate. Ho ancora negli occhi l’imponente e macchinosa coreografia messa in atto in occasione della finale play-off di Serie C di due stagioni fa contro il Foggia… veramente sbalorditiva, da rimanere a bocca aperta, incantati e basiti.

Passiamo al disegno: l’ho immaginato come una sorta di drappo molto semplice e diretto, com’è nelle corde degli Ultras nerazzurri. Come sfondo ho scelto un quadrato diviso equamente e orizzontalmente nei colori azzurro e nero. Al centro ho posto quello ch’è una parte dello stemma civico dell’ex Repubblica Marinara: la Croce Pisana. Questa croce, stando a quanto racconta una delle tante leggende, fu donata nel 1017 da papa Benedetto VIII ai pisani che si recarono in Sardegna per liberarla dai saraceni. È naturalmente un simbolo di cristianità e i dodici “globi” che adornano le estremità della croce stessa, rappresentano i dodici apostoli. Nello stemma comunale (e spesso nel materiale da stadio dei supporters nerazzurri) la croce è bianca in campo rosso; io, invece, ho voluto inserirla, sempre in bianco, ma privata del rosso. Sopra e sotto la stessa, in un font che fosse ridondante e fisico insieme, ho inserito la ragione sociale del club, un semplice PISA CALCIO che possa essere il compendio delle varie nomenclature che nel corso dei decenni hanno rappresentato la prima squadra calcistica cittadina. A destra e sinistra della croce, nel medesimo font delle scritte ma più in piccolo, ho inserito le cifre identificative dell’anno di fondazione del sodalizio nerazzurro. Una sottile cornice bianca, racchiude e conclude il tutto, per un disegno che vuol essere immediato e inequivocabile, (spero) in sintonia con lo spirito più genuino di questa grande realtà del nostro tifo nazionale.

L’Aquila Ultras: Uno dei club storici dell’Abruzzo, il L’Aquila Calcio è squadra simbolo ed emblema della sfortunata e travagliata città capoluogo di Regione che – nel suo sapersi rialzare e ricominciare anche dopo una tragedia simile al sisma del 2009 che l’ha sconvolta portandole via oltre 300 dei suoi figli – rispecchia fedelmente lo spirito tenace della sua gente.

Sebbene la data ufficiale di nascita del club sia comunemente riconosciuta nell’anno 1927, già dagli Anni ’10 del secolo scorso, a L’Aquila si giocava al football con società polisportive che primeggiavano anche in altri sport e dove il Calcio era praticato nei primi e improvvisati campi di gioco ubicati nel centro città (Piazza San Basilio), nelle adiacenze della famosa basilica di Santa Maria di Collemaggio e in Piazza d’Armi. Nel 1933 e fino all’anno scorso, le aquile abruzzesi hanno giocato nello Stadio Fattori, così chiamato in onore dell’omonimo grande rugbista che ha militato, non a caso, anche nella locale formazione di palla ovale (l’altro più popolare sport cittadino che, proprio insieme al Calcio, usufruiva del vecchio e vetusto impianto di cui poc’anzi). Dal 2016 i rossoblu locali giocano le proprie partite casalinghe nel nuovissimo e modernissimo impianto Gran Sasso d’Italia/Italo Acconcia sito in località Acquasanta, uno stadio meraviglioso, ideale per il Calcio, un gioiello di architettura.

Il L’Aquila Calcio, che nei suoi novant’anni di storia ha conosciuto tanta Serie C, Quarta Serie e categorie regionali, può vantarsi del titolo di prima squadra abruzzese ad aver disputato un campionato di Serie B (l’avrebbero poi seguito, nel corso dei decenni, il Pescara – unico club regionale ad aver fatto anche la Serie A – il Castel di Sangro dei miracoli e il Lanciano; a questa particolare categoria andrebbe aggiunto il Teramo che pochi anni fa aveva conquistato la Serie B ma che , per ragioni di Calcioscommesse, ne è stato estromesso).

Serie cadetta che gli aquilani praticarono per tre tornei consecutivi, stagioni 1934-35, 35-36 e 36-37, piazzandosi nei primi due anni rispettivamente al quarto e al nono posto. Sull’ultimo torneo di B pesò in maniera determinante la Tragedia di Contigliano, allorquando il treno passeggeri che trasportava il club rossoblu alla volta di Verona per una trasferta di campionato, poco distante da Rieti (in località Contigliano, per l’appunto) andò a scontrarsi violentemente contro un convoglio merci. Ci furono 15 morti tra i passeggeri, tra cui l’allenatore stesso del L’Aquila, Attilio Buratti. Nell’incidente rimasero gravemente feriti anche i 13 calciatori del club che presero parte a quella trasferta (numero spiegabile per il fatto che all’epoca ancora non esistevano le sostituzioni durante le partite) tanto che la maggior parte di loro dovette abbandonare il Calcio giocato . La Lega Italiana propose al sodalizio abruzzese – dopo siffatta tragedia ferroviaria – la salvezza d’ufficio ma, con straordinario spirito sportivo, la società L’Aquila Calcio rifiutò e continuò il campionato tesserando altri giocatori svincolati e ricevendo anche il solidale aiuto di altre compagini calcistiche dell’epoca. Purtroppo gli sforzi profusi non servirono e la squadra, mestamente, salutò la Serie B non riuscendo più, nel futuro, a riacciuffarla.

Per tutti i rimanenti Anni ’30 e fin quasi alla fine dei ’40 il L’Aquila disputò stabilmente i gironi di Serie C, fatta esclusione per gli anni della Seconda Guerra Mondiale quando i tornei italiani si fermarono a causa delle vicende belliche. Nei primi anni ’50, ripartendo dalla Promozione, il sodalizio abruzzese riconquistò la Quarta Serie e nel 1957-58 tornò in Serie C. Per tutti gli anni ’60 fu ancora stabilmente in Terza Serie nazionale, mentre nei ’70 – per dieci tornei consecutivi – fu in Serie D in uno dei periodi più bui del Calcio cittadino. Nel 1978-79 approdò nella neonata Serie C2 in cui resistette per tre anni prima di ritornare nuovamente in Quarta Serie nazionale che adesso si chiamava Interregionale. Qui restò per un’altra decina d’anni, in pratica per tutti gli Anni ’80 e i primi ’90: di quel periodo rimase mitico un doppio spareggio contro il Gualdo nel ’92 per salire in Serie C2 (erano tempi in cui non bastava aver vinto il proprio girone per accedere alla serie superiore… veramente assurdo!), perso 2-0 in terra umbra e pareggiato 1-1 al Fattori davanti a qualcosa come 13.000 spettatori!… numeri incredibili per la categoria e che testimoniano l’attaccamento del pubblico aquilano alla propria compagine.

Dopo un anno di C2 da ripescato (stagione 1993-94) il glorioso club abruzzese conobbe il fallimento per questioni finanziarie e dovette ripartire (come puntualmente successo a tante nobili decadute) dalle categorie regionali. Ma fu un periodo breve e il L’Aquila, nella trionfale stagione 1997-98, sotto la sapiente guida in panchina dei fratelli Sanderra, riconquistò con merito la C2 al termine d’un campionato da record in cui il sodalizio rossoblu totalizzò uno score di risultati mai più eguagliato: 21 vittorie, 11 pareggi e 2 sole sconfitte, per un totale di 74 punti conquistati, 51 reti realizzate e 17 subite, mettendo in riga d’un solo punto il fortissimo Rieti e staccando la corazzata Sambenedettese.

Dopo soli due anni, stagione 1999-2000, il l’Aquila fu promosso in Serie C1 passando per i play-off in cui ebbe ragione in semifinale del Fasano e in finale dell’Acireale. Seguirono quattro campionati di C1 per quello che resta uno dei momenti più alti del Calcio aquilano del Secondo Dopoguerra, con una compagine sbarazzina che nella prima stagione da neopromossa si rivelò quale matricola terribile, collezionando vittorie e risultati positivi che la portarono, al termine del girone d’andata, a “girare” in testa alla classifica, prendendosi – a pari merito col Palermo ch’avrebbe vinto il campionato – il platonico titolo di Campione d’inverno e facendo sognare la Serie B a tutti i suoi tifosi e all’intera città. Nel girone di ritorno, la squadra non seppe confermarsi sui livelli d’inizio campionato e scivolò fino a chiudere al nono posto, mancando anche l’accesso ai play-off.  Al termine della stagione 2003-04, il L’Aquila, dopo un disastroso campionato, retrocesse da ultimo in classifica in C2 e nell’estate seguente si concretizzò il temuto secondo fallimento per i soliti maledetti problemi finanziari, autentico cancro del cosiddetto Calcio Moderno.

Ancora una volta, il L’Aquila Calcio fu costretto a ripartire dalle categorie regionali e dopo un lustro in Eccellenza, patendo anche e soprattutto le terribili conseguenze materiali e morali del terremoto dell’aprile 2009, passò per un anno in Serie D e si ritrovò nuovamente in C2 /Lega Pro Seconda Divisione in cui disputò tre campionati: il primo (2010-11) lo chiuse al quarto posto centrando i play-off e perdendo poi in semifinale per mano del Prato; il secondo (2011-12) lo terminò all’ottavo posto; il terzo (2012-13) lo vinse attraverso i play-off , al termine di mirabolanti sfide tutte abruzzesi, avendo la meglio prima del Chieti in semifinale e quindi del Teramo in finale.

Il primo anni in C1/Lega Pro Prima Divisione (2013-14) la squadra del capoluogo d’Abruzzo chiuse al quinto posto il proprio campionato, accedendo ai play-off e uscendo al quarto di finale nella sfida contro il Pisa. L’anno seguente, stagione 2014-15, grazie alla posizione conquistata nel precedente torneo, il club rossoblu fu ammesso alla nuova Serie C unica e terminò quel torneo al settimo posto. Nel torneo successivo (2015-16) il L’Aquila fu risucchiato in zona play-out e infine retrocesse malamente dopo lo spareggio contro il Rimini. Attualmente milita in Serie D con pesanti nuvoloni a gravare sul proprio orizzonte sempre per le solite e odiose questioni economiche.

Per quanto riguarda il tifo per il L’Aquila: è sempre stato presente, sin dagli Anni ’70, con la nascita – come avveniva un po’ in tutta la Provincia italiana, di ragazzi che emulavano i grandi gruppi Ultras metropolitani da poco nati – nel 1978 dei Red Blue Eagles, sigla tutt’oggi presente in gradinata e che crea un forte legame di continuità col passato, per una città che nell’ultima decade – causa i drammatici eventi sismici – ha avuto a che fare con seri problemi di sopravvivenza e tenuta del suo stesso tessuto sociale avendo perso i propri punti di riferimento abituali. Un tifo sempre molto caloroso e colorato quello per le aquile abruzzesi che, negli ultimi anni, mi sembra assai maturato in termini di portamento e mentalità, con un bel gruppone a centro Curva e in trasferta, che ricerca molto la strada della qualità più che quella della quantità. Gli aquilani attuali sono tifoseria assai ricercata nei cori (a loro si devono alcune tra le maggiori “hit” curvaiole poi riprese da tutti) quanto nel materiale, molto “stiloso” e accattivante.

Proprio al tifo per il loro club è dedicato questo mio disegno, declinato in colori moto “saturi” che creano (spero) un bell’effetto cromatico. Alla destra d’una classica testa d’aquila dipinta in giallo (coi soli occhi bianchi che danno un tocco in più di verosimiglianza) ho posto una sorta di striscione pezzato orizzontalmente in rossoblu al cui interno d’ognuna delle due bande ho inserito la semplice dicitura L’AQUILA ULTRAS (in minuscolo e maiuscolo, per creare maggior dinamismo). Il font utilizzato è molto lineare e oltre a un bordino nero che contorna ogni lettera, ho tirato una sorta di “volume” per ognuna delle due parole componenti la scritta, conferendo all’insieme una dimensione tridimensionale. L’utilizzo del giallo oro per scritte e aquila l’ho pedissequamente ripreso dal vecchio materiale degli stessi Red Blue Eagles che, ricordo, utilizzavano sovente questa particolare variante cromatica. Immaginerei questo disegno come una sorta di murales.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;
One Step Beyond #20: Salerno, Ideale Bari, Campobasso, Napoli;
One Step Beyond #21: Civitanova, Frosinone, Padova, Roma, Lazio;
One Step Beyond #22: Isernia, Padova, Genoa, Como;
One Step Beyond #23: Lazio, VeneziaMestre, Napoli, Gallipoli, Manfredonia;
One Step Beyond #24: Napoli, Vicenza, Milan, Inter, Fiorentina;
One Step Beyond #25: Isernia, Venezia Mestre, Inter, Manchester City;
One Step Beyond #26: Palermo, Paganese, Cavese, Novara, Nocerina, Newcastle;
One Step Beyond #27: Ideale Bari, Isernia, Matera, Manfredonia;
One Step Beyond #28: Lazio, Livorno, Ascoli, Pescara;
One Step Beyond #29: Verona, Lucchese, Napoli, Cavese, Lazio;
One Step Beyond #30: Crotone, Foggia, Genoa, Salernitana, Cagliari;
One Step Beyond #31: Fermana, Roma, Lazio, Terracina, Fiorentina;
One Step Beyond #32: Roma, Modena, Foggia, Campobasso, Inter;
One Step Beyond #33: Nocera, Cavese, Verona, Bari, Lazio;
One Step Beyond #34: Lodigiani, Benevento, Samb, Milan, Napoli;
One Step Beyond #35: Roma, Vicenza, Cosenza, Castel di Sangro, Cremonese;
One Step Beyond #36: Isernia, Lazio, Roma, Torino;
One Step Beyond #37: Cavese, Palermo, Catania, Lazio, Atalanta, Arezzo;
One Step Beyond #38: Verona, Piacenza, Genoa, Sampdoria, Campobasso, Nocerina, Vis Pesaro;