Non è ancora sorto il sole quando la sveglia impietosa suona. La stanchezza dei giorni passati fuori e dei chilometri macinati al seguito di stadi e tifoserie, si fa sentire. Anche se so di avere l’ultima riserva di energia per affrontare questa giornata. Del mio tour olandese/tedesco, la domenica era il giorno più difficile da indirizzare. Poche partite nella zona della Ruhr, peraltro con scarso interesse dal punto di vista ultras. Sfoglio il calendario e mi accorgo che il Fortuna Dusseldorf giocherà in trasferta, ad Heidenheim, 500km più a Sud.

Non ho molte informazioni sui tifosi del Fortuna, eppure vorrei concedermela una trasferta in mezzo a un gruppo tedesco. Sarebbe l’ideale per capirne ancor più le dinamiche e le usanze. Attraverso l’ecumenica Sport People riesco ad entrare in contatto con un ragazzo che segue assiduamente le sorti della squadra cittadina in casa e in trasferta. Scambiamo qualche chiacchiera su Facebook e mi dice cordialmente che potrò andare sul pullman con loro, comunicandomi, qualche giorno prima del match, data e orario dell’appuntamento.

Sono le 4 quando esco dall’ostello lasciando il mio bagaglio nel deposito. Il rendez-vous è a pochi metri da lì, in Corneliusstrasse. Un ragazzo mi viene a prendere in ostello, riconoscendomi in un battibaleno. Ci salutiamo e subito mi chiede come mi sia venuta in mente di fare questa pazzia. Gli dico che per me in fondo non è un qualcosa di tanto anormale, ho voglia di conoscere, sperimentare e vedere con i miei occhi un movimento di cui in Italia si fa gran parlare negli ultimi tempi.

Davanti la sede del gruppo ci sono già diversi ragazzi. Altri arrivano con ogni tipo di bevanda alcolica nelle buste. Per loro non ci sono paranoie su come viaggiare, sul fatto di poter essere fermati, perquisiti e rapiti dalla polizia in chissà quale landa sperduta del paese. La trasferta è ancora un qualcosa di apotropaico e magico, da effettuare con il sorriso sulle labbra e tanta voglia di cazzeggiare. Entro nel loro covo, tante foto della curva e manifesti che ricordano il loro credo politico, schierato nettamente a sinistra. Come la maggior parte delle curve tedesche. La politicizzazione non è un qualcosa che apprezzi moltissimo, eppure devo ammettere che in tutta la giornata non sentirò mai ne’ un coro ne’ un discorso che non faccia riferimento alla squadra e agli ultras.

Informandomi un po’ ho saputo che la tifoseria del Fortuna è divisa in casa, con gli Ultras Dusseldorf da una parte e i Dissidenti Ultrà dall’altra. Tuttavia mi spiegano che in trasferta le frizioni non contano, si tifa tutti assieme per il bene della squadra. Guardo attentamente le movenze di questi ragazzi, che in fondo sembrano quelle di una grande famiglia dove ognuno ha il suo compito. In ciò sono davvero molto tedeschi. Precisi e ordinati. C’è chi si occupa di portare le scorte di cibo, chi delle bevande, chi di raccogliere i soldi del pullman, chi di prendere bandiere e tamburi e chi di contare che tutti i presenti della lista siano arrivati prima di chiudere le porte del torpedone.

E’ ovvio che da questo viaggio non potrò tracciare un profilo univoco su come tutte le tifoserie germaniche affrontino la trasferta e la vita di gruppo. Come da noi ci sono differenze da una città all’altra; qua, ad esempio, la soglia è marcata dal confine, ancora mentalmente esistente, tra Est e Ovest. Ciononostante il filo conduttore è sempre quello. E lo carpisco subito, perché prima di venire a Dusseldorf ho visto queste scene migliaia di volte in Italia. Non ci sarebbe bisogno neanche di parlare una lingua comune, tanto fungono da passpartout gli atteggiamenti di chi frequenta abitualmente lo stadio.

Alle 5,20 il pullman saluta Dusseldorf. Piove in maniera fitta e continua. Mi auguro che a 500km di distanza la situazione sia migliore, per evitare un bis della bagnatissima serata di Rotterdam. Ovviamente la mia presenza non manca di suscitare curiosità negli altri ragazzi. “Da dove vieni? Che squadra tifi? Che ne pensi degli ultras tedeschi?”, mi domandano con reale voglia di ascoltare le mie risposte. Hanno voglia di sapere notizie sul movimento ultras italiano. Ne conoscono vita, morte e miracoli. Il mio personale gancio mi dice di esser stato a Parma-Sampdoria qualche settimana prima, svelandomi chiaramente che per loro il modello di riferimento resta quello nostrano. Io resto sempre colpito dall’umiltà con cui i ragazzi tedeschi si pongono nei confronti delle nostre tifoserie. E’ un qualcosa che spesso a noi manca, così ci dimentichiamo delle nostre tradizioni, della nostra storia e dei nostri costumi. Loro hanno foto del CUCS Roma , della Fossa dei Leoni del Milan e degli UTC sul cellulare, e se le tengono come reliquie. Noi invece tante volte ci sputiamo sopra.

“Siete fortunati a poter andare in trasferta liberamente e portare striscioni, tamburi, megafoni e bandiere senza molti problemi”, gli dico. “Non siamo fortunati. Questo è il frutto di un lavoro che parte da lontano – mi dice un ragazzo – in Germania si è costretti ad avere un legame con le società. A loro va bene che le curve siano colorate, creano problemi in caso di scontri o accensione di torce e fumogeni, dato che la Federazione è molto severa in questo caso”. Ed in effetti, almeno nella parte Ovest delle Germania, di artifizi pirotecnici non se ne vedono poi moltissimi. Il rapporto con la società è una qualcosa di assai complesso in Italia. Teoricamente, e sottolineo teoricamente, ultras e società non dovrebbero mai entrare in contatto secondo il famoso e controverso codice non scritto. Eppure, se si guarda in faccia la realtà con un po’ più di sincerità e meno idealismi sterili, che davvero in pochi sono riusciti a mantenere in questi anni, in quanti nel Belpaese non hanno e non hanno mai avuto rapporti con le proprie società?Apriremmo un capitolo a parte, perché poi bisognerebbe parlare anche di tutti i risvolti che questi rapporti hanno. Ma meglio non farci del male.

Con questo voglio dire che a volte, se facessimo meno i duri e puri per facciata, e tenessimo un po’ più alla nostra sopravvivenza, sarebbe più giusto ammettere di dover costantemente scendere a compromessi. Anche solo per mettere piede nei nostri diroccati stadi. In Germania spesso te lo dicono apertamente: “Da noi, fatta eccezione per qualche realtà, non c’è mentalità”. Magari esagerando, ma mi verrebbe da chiedere cosa sia questa mentalità. Chi ce l’abbia. Ed in base a quali criteri si assegni.

Altro punto su cui mi soffermo è quello relativo alle diffide. “Da noi le interdizioni vanno dai 3 ai 5 anni. Non c’è obbligo di firma. La diffida può valere anche per un solo stadio”, mi spiega Markus mentre gli altri ragazzi lo ascoltano con attenzione. Penso che tutto sommato, per essere un paese che lascia impuniti i tifosi come si vuol far credere all’estero, 5 anni di diffida sono praticamente lo stesso limite massimo in vigore da noi fino a poco tempo fa.

Non ci sono solo chiacchiere sul movimento, c’è anche tanto spazio ludico. Come già descritto in occasione del Derby della Ruhr, la peculiarità dei gruppi teutonici è quella di fare aggregazione. In ogni modo e maniera. Dalla bevanda passata a tutto il pullman al momento delle scommesse sula gara. Sì tratta di una vera e propria Snai artigianale, in cui un ragazzo passa per tutto il pullman a prendere gli importi puntati segnando il risultato finale con accanto il nome del giocatore. Punto un euro sul 2-1 del Fortuna, divertito da tutto ciò. Certo, non posso negare che sui nostri pullman spesso c’era molto più becerume. Qua si va un po’ più sul politically correct, ma in fondo il divertimento non mi manca sicuramente.

Ci si ferma almeno una volta l’ora alle aree di sosta, dove forse noto con più evidenza la differenza con il modo di affrontare le trasferte da parte degli ultras italiani. Da noi quando si scende in Autogrill tendenzialmente non si è proprio rilassati e diciamo che spesso non mancano scorribande di ogni qual genere. Qua le cose vanno un po’diversamente e forse nessuno si sognerebbe di dover chiudere interi reparti dell’area di sosta per evitare saccheggi oppure piazzare volanti della polizia in vista di eventuali contatti tra tifoserie. Semplicemente un’altra cultura. Perché poi, come visto a Dortmund, gli incidenti al di là delle partite ci sono eccome. Con tornei degli avversari attaccati e teatro di striscioni sottratti.

Dopo quasi sette ore entriamo nella regione del Baden-Wurttemberg. Non piove, ma ai bordi dell’autostrada c’è parecchia neve. Quando il pullman imbocca l’uscita per Heidenheim am der Brenz rimango abbastanza sorpreso nel non vedere neanche una macchina della polizia. Mi spiegano che è normale e, a meno che non siano gare calde, gli agenti li aspettano direttamente allo stadio. E infatti è solo dopo esser entrati nel centro urbano che gli uomini vestiti di verde indirizzano il conducente al parcheggio del settore ospiti.

Scendo assieme alla folla biancorossa e saluto i ragazzi per andare a ritirare l’accredito ed entrare in campo. Il mio pass è stato depositato in un albergo poco distante dalla Voith Arena. Mi incammino facendo molta attenzione a non scivolare sul ghiaccio facendo additare dai tifosi presenti come il classico italiano terrone che non ha mai visto un fiocco di neve in vita propria. Lo stadio da fuori appare ancora sotto lavori, anche se scorgendo le immagini da internet, all’interno è il classico impianto tedesco. Carino e funzionale.

Come sempre in questi quattro giorni, non vi è problema alcuno con l’accredito. Due gentili signorine mi consegnano la busta e ora posso davvero portarmi verso le entrate. Ho una certa soddisfazione nel vedere che da queste parti i tornelli non sanno neanche minimamente cosa siano. Ci sono i classici strappabiglietti davanti ai cancelli. Come era una volta da noi. Mi controllano a malapena il tagliando e sono dentro, direzione sala stampa. Un ragazzo dell’ufficio stampa mi intercetta immediatamente per darmi indicazioni su dove raccogliere la pettorina e invitandomi a usufruire del buffet messo a disposizione della società. Rimango quasi interdetto da tanta cordialità e ovviamente annuisco. Sia alla pettorina che al buffet. Quest’ultimo peraltro è davvero particolare, farcito di tipiche specialità teutoniche come il Brezel ripieno di burro o salumi vari.

Quando manca mezz’ora al fischio d’inizio decido di entrare in campo. Una sottilissima pioggerellina mi accoglie sul manto verde, ma in fondo non è neanche così fastidiosa. Gli spalti presentano già il tutto esaurito. Come mi è successo sempre in questi quattro giorni. La curva di casa si ritrova dietro lo striscione Ultras, più diverse pezze appese in balaustra. Heidenheim è una piccola città di 50.000 abitanti, al priimo anno di Bundesliga 2. La società è stata fondata nel 1846, subendo diverse rifondazioni nel corso degli anni, ultima quella del 2007. Ciò, devo essere sincero, non mi faceva pensare a un vero e proprio seguito ultras. Invece sarò ampiamente smentito durante la partita.

Alla mia destra il settore ospiti si è popolato con un migliaio di tifosi provenienti da Dusseldorf che, come detto, si celano dietro gli striscioni di Ultras e Dissidenti, mettendo subito in mostra numerosi bandieroni. Chiedo a uno steward se possa rimanere nella zona laterale del campo, mi dice che è possibile ma devo spostarmi dall’altra parte del campo. Nessun problema ovviamente. Sempre meglio che esser costretti dietro le porte non potendo praticamente scattare ad una delle due tifoserie. Mi metto tra le due panchine, respirando ancor più l’aria di campo.

Ecco le due squadre fare il loro ingresso dal tunnel, con le curve che subito scaldano i motori. I ragazzi di Heidenheim si compattano in buon numero, direi 300 unità fisse a tifare che spesso si portano dietro buona parte del settore, cominciando una prestazione che si rivelerà davvero ottima. Non mi aspettavo infatti tanta intensità e continuità da parte loro. Questa è la riprova di come il movimento ultras tedesco goda di una forma invidiabile. Quando ogni città, ogni paese, ogni realtà, persino le seconde squadre, possono godere di un supporto organizzato, vuol dire che si sta lavorando alla grande e che si è solamente all’alba di un movimento d’aggregazione che sta diventando, con tutta probabilità, il più grande e importante del Paese.

Tornando agli ultras rossoblu, la loro sciarpata iniziale è ben fatta, mentre per tutta la gara il tifo sarò ben ritmato dal tamburo e intervallato da manate eseguite alla perfezione e cori incessanti, anche con la squadra in svantaggio. Una bella sorpresa, poco altro da dire.

Da parte ospite il contingente ultras si schiera nella parte bassa con striscioni, tamburi e bandieroni che saranno sventolati per tutta la gara. Nel loro caso credo si noti la differenza tra i ragazzi di curva e il pubblico più pacato. Il sostegno dei primi, infatti, è continuo ma spesso vanificato dall’immobilismo dei secondi. Anche ciò, da quanto ho visto in altre occasioni, è un aspetto del tifo tedesco. Sempre difficile riuscire a integrare tutti. Sta di fatto che gli ultras offrono una prova canora più che valida, premiata dalla squadra che in campo prima va in svantaggio e poi recupera, vincendo per 2-1. A fine gara tutto il Fortuna viene richiamato sotto il settore, per il classici festeggiamenti. Anche i padroni di casa ricevono gli applausi della propria curva, con il gruppo ultras che rimane un quarto d’ora dopo il fischio finale continuando a cantare e saltare.

Mi affretto nel riconsegnare la pettorina. I pullman stanno per ripartire. Ringrazio i ragazzi dell’ufficio stampa di casa per l’ospitalità (perché qua lavorano i giovani, non i vecchi babbioni messi appositamente dalla casta) e percorro la strada dell’andata a ritroso. La polizia mi blocca, costringendomi a fare un giro lunghissimo per andare al parcheggio, onde evitare percorrere contromano la strada che vede l’uscita di diversi tifosi di casa. Anche questo è molto tedesco, una precisione che per poco non mi costa una caduta epica sul sentiero colmo di neve ghiacciata e scivolosa per le mie scarpe abituate all’asfalto romano. Fortunatamente riesco a non cadere raggiungendo il pullman. “Hai vinto la scommessa”, mi dicono i ragazzi vedendomi. E’ vero, non ci avevo pensato.

Si riparte alla volta di Dusseldorf. C’è ancora spazio per le chiacchiere e per il Pfefferminz, un tipico liquore di Aue che mi viene fatto provare con grande entusiasmo. In effetti non è male. Comincio ad avvertire segni inconfondibili di stanchezza atavica. Mi addormento per un’oretta, ma alla prima sosta scendo giù dal torpedone per andare in bagno e da lì in poi non chiuderò occhio fino all’arrivo. Alcuni ragazzi infatti mi chiedono parere sulla prestazione, concordando con me sulla spaccatura tra ultras e pubblico normale. Mi accorgo che il mio inglese, disastrato e a tratti comico, mi permette comunque di sopravvivere e comunicare. E la cosa mi allevia un po’ dai ricordi scolastici in cui a farmi lezione c’era una professoressa che invece di spiegare in lingua d’oltremanica usava come mezzo comunicativo il proprio dialetto d’origine. Ma questa è un’altra storia.

Alle 22 circa siamo di nuovo davanti alla sede da cui siamo partiti. Saluto e ringrazio tutti per la bella giornata. Tranne un paio di ragazzi con cui ho stretto amicizia, che mi hanno promesso un giro nella città vecchia. E lo faccio più che volentieri, anche se sono stremato. Montiamo sul primo tram e in pochi minuti siamo in centro. La mia fedele macchinetta non può esimersi dal fare qualche scatto prima di chiuderci un pub e finire le ultime chiacchiere, stavolta sul movimento ultras tedesco in generale. Mi diletto persino in una partita a freccette. Forse per la prima volta nella mia vita. Arrivano altri ragazzi del Fortuna ma i miei occhi cominciano a chiudersi e faccio anche fatica a stare in piedi. Capisco che è arrivato il momento di andare. Anche perché la mattina successiva la sveglia suonerà nuovamente presto per raggiungere l’aeroporto di Koln/Bonn.

Stavolta saluto definitivamente e con una breve camminata sono nuovamente in ostello. Il mio tour sta finendo e il bilancio finale è certamente positivo. Tornerò, perché per avere un quadro completo ci sono da vedere ancora tante realtà e conoscere tanta gente. E qualcuno in Italia non se la prenda leggendo queste righe. Se vogliamo fare i nazionalisti e unici portatori del nostro movimento, allora salvaguardiamolo e cerchiamo di rinverdire i fasti di un’antica tradizione che ci vede inventori e innovatori. Per ora spengo la luce, il sonno incombe e la notte non è poi così lunga per riposarsi. Tornerà la luce del sole. Come per il movimento ultras italiano. Almeno si spera.

Simone Meloni