Emiliano Del Rosso non l’ho mai conosciuto. Lo ammetto. Ero ancora al di fuori da certi giri. Vi sarei entrato poco dopo, quando la mia età adolescenziale cominciò a diventare ordinatamente riottosa e i consigli impartiti da mamma e papà divennero dettami fastidiosi da disattendere quanto prima.

Emiliano Del Rosso non l’ho mai conosciuto. Ma ho conosciuto la sua ciurma. Ho ascoltato i cori a lui dedicati, ho visto la sua famiglia piangere e i suoi amici ricordarlo con orgoglio. È successo sempre in quei tornei a lui dedicati. Quelle giornate scandite dall’afa irresistibile che cingeva d’assedio le colline attorno ad Empoli.

Ci sono stato. E come me tante altre tifoserie. Anche chi durante la stagione proprio non si poteva vedere ma in Emiliano aveva trovato quel punto in comune. Punto che in fondo – cercando e scandagliando – abbiamo noi tutti che frequentiamo questo mondo. Anche i più acerrimi dei nemici.

Emiliano Del Rosso non l’ho conosciuto. Ma “Nevrite” me lo ricordo abbastanza bene durante quelle giornate. E poi me lo ricordo al Curi, di sfuggita, quelle volte in cui per scoprire il mondo al di fuori della mia città vi sono transitato.

Non ho il diritto – affettivo e morale – di scrivere più di tanto sul suo personaggio. Sarebbe persino irrispettoso. Perché sarebbero righe infarcite di retorica e per uno come il sottoscritto – che a malapena tollera gli striscioni di commemorazione all’interno delle curva – sarebbero davvero fuori luogo. Ho però la voglia di dire che a pelle mi ha sempre dato l’idea di uno di quei personaggi che negli anni il nostro mondo ha perduto. Un po’ matto, un po’ istrionico. Tanto tifoso e tanto attaccato alla sua gente. Mi rimanda indietro nel tempo la sua figura. Mi fa sentire – indirettamente – l’odore dei fumogeni mentre si canta a due metri da un tamburo e da un megafono che dettano il ritmo di una folla indiavolata.

La notizia della sua scomparsa prima e della sua morte poi non possono passarmi inosservate. E non possono che essere al centro di questa giornata che per il calcio perugino rappresenta comunque un importante approdo, dopo i terribili anni del fallimento e la ripartenza dal dilettantismo.

Una città sogna la Serie A, dopo più di un decennio. I botteghini hanno registrato circa 18.000 biglietti venduti e questo la dice lunga sull’inesauribile passione che la tifoseria biancorossa riserva nei confronti di un pallone pronto a rotolare sul manto verde.

Questo campionato è filato così velocemente da non rendermi conto che finora non ero ancora stato al Curi. Ne approfitto per visitare il Museo del Grifo, di recente istituzione. Un’opera davvero ben fatta e curata nei minimi dettaglia. Dall’ampio spazio sulla storia della società a quello dedicato alla Curva Nord. Un connubio che mi ha fatto apprezzare ancor più questo allestimento, confermando quanto penso da molto tempo: ogni club dovrebbe partorire qualcosa di simile, e possibilmente dovrebbe essere allestito da tifosi storici. Proprio come accaduto a Perugia.

Sì perché a poco servono storici di professione; per esperienza ho imparato che ogni squadra ha un suo manipolo di appassionati che saprebbero recitarti a menadito ogni singolo episodio di ogni singola stagione. Un patrimonio sterminato e inestimabile che qua ha trovato terreno fertile, dando il la a questo museo in continua evoluzione.

Ci sono le sciarpe di tutti i gruppi che hanno fatto la storia del tifo e poi ci sono le maglie di Bagni e Curi. Ma anche quelle di Nakata e Giunti. Una sola parola per descriverlo: bello! E ancor più bello perché attraverso la sua visita si ricorda quanto siano importanti la storia e la tradizione per questo sport. Benché negli ultimi anni la Serie A si sia sempre più impoverita di quei sodalizi che l’hanno resa grande in passato, benché gli investitori ormai preferiscano piazze piccole e con poco seguito ai mostri sacri da far risorgere, benché qualcuno vorrebbe dirci che staccarsi dalle proprie radici, dai propri colori, dal proprio stadio sia normale.

Perugia è uno dei massimi esempi di come l’idea di calcio aderente al popolo possa essere ancora minimamente viva. I suoi ragazzi, le sue donne, i suoi signori attempati si ritrovano già di buon’ora fuori la Curva Nord. Bevono, mangiano e cominciano a cantare. Allegri. Malgrado la posta in palio sia alta. Malgrado la sconfitta dell’andata e la difficoltà di un match che li mette contro quella che forse è la squadra più in forma del momento.

Sì respira aria buona fuori i cancelli del Curi.

Ore 20: decido di entrare. Non è facile divincolarsi tra la folla che si accalca ai prefiltraggi, ma da queste parti steward e polizia sono ancora ragionevoli e non asfissiano troppo in fase di filtraggio.

Lo stadio si sta riempiendo e proprio alla destra della mia postazione noto un Serse Cosmi in grande spolvero. Guarda compiaciuto e fotografa la Nord, che man mano comincia a carburare effettuando una bellissima sciarpa sulle note dell’inno.

“L’uomo del fiume” resta in disparte, con l’apparente voglia di non mettersi in mostra. È venuto per sostenere veramente il suo Grifo. Come quando utilizzava le canne raccolte in riva al Tevere per realizzare bandiere da portare in Curva Nord. Sono cose che fanno sempre piacere a chi – come il sottoscritto – ama la provincia e brama dalla voglia di veder proliferare questi personaggi. Quelli che rilasciano le interviste facendo trasparire il proprio accento, quelli che preferiscono la scoppoletta al taglio alla moda. Quelli che si levano la giacca e tengono la camicia aperta fino a far vedere parte della pancia, anziché restare ingessati in giacca e cravatta.

Questione di gusti. Per me Serse Cosmi batte Josep Guardiola 10-0. Il tiki taka e le lagne iberiche beccateveli voi. Auguri.

Ma se il Curi è un catino che mostra i propri muscoli già prima del fischio d’inizio, nel settore ospiti non latita di certo la passione. Sono milleseicento i biglietti staccati ai tifosi sanniti. Anche per loro è un vero e proprio appuntamento con la storia. Quel Benevento che nella sua storia recente ha perso spareggi su spareggi è arrivato a giocarsi il più importante dei playoff, con l’obiettivo di raggiungerne uno ancora più fondamentale.

Il tempo di sistemarsi e nel settore ospiti si comincia a udire il tifo che accompagnerà l’undici di Baroni per tutti i novanta minuti.

In questi ultimi anni mi è capitato spesso di trovarmi al cospetto dei beneventani e a livello di approccio allo stadio mi sono sovente trovato in posizioni contrastanti. Voglio essere sincero: spesso non ne ho condiviso molto gli atteggiamenti. Ricordo ad esempio un L’Aquila-Benevento di qualche stagione fa in cui sul risultato di 2-2 – e la squadra che occupava le prime posizioni – dal settore ospiti partirono ripetutamente dei cori di contestazione. Fatto che mi lasciò alquanto basito, perché se è vero che le cocenti delusioni dei playoff hanno pervaso il popolo giallorosso, personalmente non ho mai ritenuto giusto contestare una squadra che comunque si sta giocando un campionato. Senza offesa, sia chiaro. Capisco l’umore e la voglia di conquistare traguardi importanti. E ammiro anche queste caratteristiche, perché sono sinonimo di un attaccamento genuino ai propri colori.

Se devo fare un’altra critica, mi permetto di esprimerla in ambito numerico. Per una squadra del Sud (che quindi conta anche su un nutrito numeri di fuori sede), al primo anno di B e autrice di un campionato a dir poco fantastico, troppo spesso ci si è trovati con settori ospiti non pienissimi anche in occasione di partite, nel loro piccolo, storiche (vedasi Pisa, all’ultima giornata, quando la Strega ha conquistato i playoff). È senza dubbio un aspetto su cui i giallorossi dovranno lavorare, soprattutto in caso di promozione in massima categoria.

Per contro al di fuori delle mura amiche la tifoseria campana è più brava nel compattarsi e questa serata del Curi ne ho forse una delle maggiori dimostrazioni dell’anno. Un tifo praticamente incessante, ben orchestrato dalla balaustra e condito da un finale ancor più arrembante, grazie all’importantissima rete di Puscas che manda il Benevento in finale. Inutile è infatti il finale pareggio dell’1-1 siglato dal perugino Nicastro.

Se nel settore ospiti si consuma quindi la festa, per i tifosi umbri si materializza la delusione. Una delusione che arriva al termine di una serata dove il tifo e il calore sono stati al centro dell’attenzione. Una Nord piena all’inverosimile che come sempre ha proposto un tifo di ottima fattura. Tante manate, cori tenuti a lungo, ampio uso della pirotecnica e bandiere sempre al vento.

L’unico appunto che mi sento di fare ai biancorossi è sulla parte destra della Nord. Con la Brigata Ultrà che sembra essersi spostata leggermente più al centro, quella zona appare infatti più statica rispetto al resto del settore. Ma è davvero una quisquilia.

Nel “dramma” dell’eliminazione, molti supporter del Grifo si sfregheranno comunque le mani pensando al prestigio della maggior parte degli avversari nel prossimo torneo di Serie B. Trasferte e avversari che ritornano dopo decenni. E altri che restano per dar vita a vere e proprie “classiche” degli ultimi anni.

La notte è ormai calata sul capoluogo umbro. Registro gli ultimi scatti prima di riporre la mia macchinetta e abbandonare gli ormai desolati spalti dell’impianto di Pian di Massiano.

Benevento-Carpi sarà la finale. In 180 minuti si deciderà l’ultima squadra ad approdare in Serie A. Al Santa Colomba preparano già coreografie e voce, mentre al Curi ripongono gli striscioni intonando gli ultimi cori per “Nevrite” e dedicando gli ultimi applausi della stagione a una squadra che ha comunque saputo lottare fino in fondo.

Simone Meloni.