C’è una proporzione, tra causa ed effetto, che dovrebbe essere sempre rispettata. Anche in casi di criticità, anche quando soggetti (nel caso tifosi) commettono reati certificati. Innanzitutto perché esiste una giustizia ordinaria che, almeno in tema di reati da stadio, funziona benissimo e in tempi celeri. Quasi in antitesi rispetto a come vanno certe cose nel nostro Paese. Anche grazie a un apparato legislativo capillare e mastodontico.

I fatti: prima della sfida tra Verona e Roma (disputata in terra scaligera domenica scorsa) le due tifoserie vengono a contatto per qualche minuto. 21 tifosi romanisti vengono fermati, processati per direttissima il giorno successivo e rispediti nella Capitale con il divieto di dimora nella città veneta. Già questo chiarisce un punto che in molti, forse per non conoscenza dell’argomento o forse per malafede, hanno voluto sottolineare a forza: l’impunità dei tifosi. I soggetti in questione sono già destinatari di un Daspo cautelare e a rincarare la dose ci penserà, con tutta probabilità, la Questura di Verona.

Nel frattempo comincia a trapelare la voce di un probabile divieto di trasferta per la partita di Udine, tra due sabati. Così come, su fronte veronese, appare quasi certa l’interdizione per la gara di Genova, contro la Sampdoria. Se non fosse che da anni siamo abituati a simili teatrini ci sarebbe persino di che sorprendersi. E non solo per i divieti in quanto tali ma perché, in ambo i casi, i rapporti tra le tifoserie non solo sono buoni ma sfociano addirittura in amicizie che ormai durano da anni.

Come funziona? L’Osservatorio decide il grado di rischio per le partite e per quelle marchiate con un bollino rosso passa la palla al Casms (Comitato per l’Analisi della Sicurezza per le Manifestazioni Sportive). Praticamente due organi della stessa portata, con gli stessi compiti e nello stesso campo che si spartiscono l’onore di decidere il destino domenicale dei supporter italiani. Due entità alle dipendenze del Ministero dell’Interno che ovviamente ricadono ampiamente sulla spesa pubblica.

In questo caso il Casms sembra ormai orientato a infliggere il divieto alle due tifoserie e la “sentenza definitiva” dovrebbe arrivare tra oggi e l’inizio della prossima settimana. Un divieto “punitivo”. Esattamente come si fa a scuola con l’alunno che tira il cancellino al professore. Un divieto che peraltro arriva a prevendita ampiamente iniziata per i tifosi giallorossi, molti dei quali hanno già in tasca il tagliando per lo stadio Friuli.

La cosa ridicola e preoccupante in tutto ciò è il reiterarsi del criterio “punitivo” anziché “preventivo” come filo logico che muove determinate scelte. Una “punizione” che si aggiunge a quella già inflitta e in corso –  come abbiamo detto – da parte della giustizia ordinaria e che va a colpire l’intera massa. Anche chi non si è reso protagonista dei disordini o chi domenica scorsa era addirittura a casa. Tradendo proprio uno dei capisaldi delle nostre democrazie, quello che vuole la responsabilità sempre come un qualcosa di individuale. E non collettivo.

Veramente dobbiamo continuare a fare il famoso esempio: “Se sabato si verificano tre incidenti per guida in stato d’ebrezza sull’A1 il giorno dopo chiudiamo tutta la A1? Oppure, se domani c’è una rissa in discoteca e vengono anche individuati i colpevoli chiudiamo le discoteche?”. Sentiamo che simili quesiti sono ormai anacronistici, come anacronistici e liberticidi continuano ad essere molte disposizioni utilizzate in materia di ordine pubblico.

Oltre ad acuire la tensione e la percezione negativa di forze dell’ordine e istituzioni da parte dei tifosi, qualcuno ci può spiegare qual è l’obiettivo di vietare una trasferta, in generale, e soprattutto in occasione di una partita con rischio pari allo zero?

E se è vero che oggi tutto ciò riemerge prepotentemente, è altrettanto vero che non è mai cessato di esistere. Chi frequenta i campi al di sotto della Serie A (dove, evidentemente per esigenze di spettacolo la cosa è molto più limitata) sa bene che almeno una partita ogni due giornate viene chiusa o limitata agli ospiti. Spesso anche se tesserati e spesso anche se nelle settimane precedenti non hanno fatto registrare alcuna turbolenza.

Purtroppo è incontrovertibile il fatto che in Italia i divieti non si abbattano sui tifosi tanto per prevenire eventuali problemi quanto per punirli di un peccato originale (es. i catanesi si sono resi protagonisti di incidenti a Siracusa lo scorso anno, per tanto tempo non andranno più nella città aretusea). Ed è inconfutabile che questo sia realmente preoccupante per un Paese che si definisce sviluppato e libero. I suoi cittadini continuano a non potersi muovere liberamente sul territorio nazionale in base a criteri geografici o al possesso di una tessera di plastica. E le istituzioni, così facendo, gettano benzina sul fuoco di tensioni sociali evitabilissime, mettendosi in una posizione di apparente impotenza. Che molto probabilmente è più ascrivibile alla “convenienza”.

Nel sempre solerte “Spycalcio” di Repubblica a firma Fulvio Bianchi (ovviamente solerte quando c’è da perorare la causa anti-tifosi, un po’ meno quando c’è da analizzare tutte le criticità loro inflitte negli ultimi venti anni) si apprende che il Viminale non sarebbe contento dei dati emersi dopo il girone d’andata della massima categoria, a causa dell’aumento “di incidenti e agguati, soprattutto lontani dagli stadi, a volte a quaranta chilometri di distanza”. Scivolando poi lentamente in una dubbia analisi del Protocollo d’intesa firmato il 4 agosto scorso, quello che dovrebbe portare all’eliminazione della tessera del tifoso in un triennio.

In particolar modo l’esimio Bianchi sottolinea come questo documento faccia vertere tutti i propri obiettivi attorno a una maggiore responsabilizzazione delle società (cosa effettivamente vera) facendo notare come, tuttavia, nessun club abbia ancora revocato abbonamenti a tifosi “non graditi”, chiudendo ovviamente tale eloquio con il solito, stucchevole, “come avviene invece in Premier League”. Peccato che l’esimio Bianchi, ma soprattutto l’esimio carrozzone di specialisti e specializzandi che saltuariamente partoriscono cervellotici documenti, non abbiano ancora spiegato bene come ciò debba avvenire, lasciando tutto all’interpretazione personale e rischiando di dare il la a una lotta all’arma bianca, in cui i tifosi sarebbero ovviamente le prime vittime. Essendo l’anello debole della catena.

Un esempio? Prendiamo proprio il caso di Roma. Chiaro che non ci sia bisogno di ritirare gli abbonamenti ai 21 arrestati, già destinatari di Daspo. Spostiamo pertanto il discorso in un’altra area, che poi è più “cara” ai presidenti, cioè quella delle contestazioni. Mettiamo che Pallotta non sia contento della reazione dei supporter capitolini agli scarsi risultati del campo e alle sue uscite pubbliche, spesso poco felici. In questo caso può tranquillamente revocare un titolo d’accesso a chiunque. Facendo leva su uno striscione non gradito o semplicemente su determinati settori.

A Fulvio Bianchi ciò sembra normale? A noi no. Prima di pretendere massime punizioni, si riesce a fare un’analisi su come le stesse debbano essere applicate?

C’è da dire che invece, attualmente, il famoso Protocollo fa acqua un po’ dappertutto. E non solo in virtù di quanto scritto sopra, ma anche di quello visto durante questa stagione. Oltre al contentino di tamburi e megafoni di nuovo dentro gli stadi e a qualche partita storicamente “calda” nuovamente consentita anche ai non tesserati, è chiaro a tutti che nella maggior parte dei casi è bastata una piccola scaramuccia per far saltare qualsiasi proposito di tale documento?

Basti pensare ai napoletani, a cui dopo le tensioni registrate a Udine qualche mese fa non è stato più concesso di viaggiare senza tessera. Neanche in trasferte “tranquille” come Crotone o Benevento.

C’è poi anche un altro aspetto grottesco a corollario di tutta questa vicenda, ed è quello delle multe che continuano a piovere sulle teste di ragazzi rei di lanciare cori da una balaustra per sostenere la propria squadra del cuore durante la partita. I casi più clamorosi sono senz’altro avvenuti a Roma ma simile atteggiamento è diffuso in molte città italiane. Torino (sponda granata) e Firenze sono solo due casi da portare come esempio.

Proprio nella giornata di ieri l’avvocato Lorenzo Contucci, tramite il proprio profilo Facebook, ha reso noto che alcuni tifosi giallorossi sono stati per la prima volta destinatari di Daspo per doppia infrazione del regolamento d’uso dello stadio, promettendo battaglia serrata alla norma che permette tale, folle, applicazione della sanzione.

Il dato di fatto è che l’Olimpico (e molti stadi in Italia) continuano ad essere equiparati a lager e che non ci si “accontenta” di punire i colpevoli di incidenti o scaramucce utilizzando l’immenso impianto legislativo a disposizione, ma si cerca sempre di oltrepassare il limite vessando il pubblico con cavilli atti soltanto a svuotare gli stadi e dare in pasto all’opinione pubblica una finta parvenza di sicurezza.

La domanda finale resta sempre la stessa: si vuole fare ordine pubblico, dimostrandosi Paese serio e civile che sa mandare in trasferta tutti i suoi tifosi (senza distinzione tra tesserati, romani, napoletani, milanesi etc etc) colpendo chi sbaglia ma tutelando il resto (la maggioranza) o si vuol continuare con questo teatrino che da una parte fa finta di venire incontro ai tifosi mentre dietro, con l’altra mano, nega loro sempre più libertà non modificando di un centimetro il proprio modus operandi?

Simone Meloni