Il fiume Tronto scorre adagio emettendo l’unico rumore udibile nella notte. La Salaria è deserta e la mia macchina ha ben pensato di lasciarmi a piedi poco dopo il confine tra Marche e Lazio. Chissà se il Dio della “partitelle” ha voluto punirmi per il poco tempo che gli ho dedicato ultimamente. Di sicuro ricorderò a lungo questa partita. E non solo per lo spettacolo vissuto all’interno del Riviera delle Palme.

Passo buona parte della nottata a pochi chilometri da Accumoli, facendomene una ragione allorquando una pattuglia dei carabinieri arriva e con fare sicuro sfodera tutto il proprio genio: “Ragazzo, devi chiamare un carroattrezzi. È l’unica soluzione”.

“Ha da passà ‘a nuttata”, citando una celebre frase di “Napoli milionaria!”.

Ma se il finale di questa giornata è stato a dir poco scalognato, riavvolgendo il nastro posso soltanto parlare di una bella domenica passata in riva all’Adriatico. Una di quelle che mi ha fatto apprezzare lo stadio, il tifo e anche il calcio. Sarà che venivo da un periodo di scoramento e sensibile distacco verso questo ambiente. Spesso mi è capitato di pensare a cosa mi spinga ancora nell’andare a vedere partite, parlare di ultras e analizzare ogni loro singolo atteggiamento.

Cos’è che non ho visto ormai in un contesto italiano dove l’appiattimento e la mediocrità sono spesso i padroni? Forse nulla. Ma di sicuro occorre stare alla finestra, saper raccogliere quel poco di buono che ancora germoglia e portarlo appieno nei propri polmoni.

Sambenedettese-Cosenza è innanzitutto una sfida tra due compagini blasonate. Due club che hanno scritto – nel loro piccolo – la storia del calcio di seconda fascia. Ricordo, negli anni ’90, il Cosenza dei Tomaso Tatti e Giuliano Sonzogni. Erano le ultime stagioni di B per i silani, prima della caduta nel baratro, con seguenti fallimenti e ripartenze tra i dilettanti. Non che sia andata meglio ai marchigiani: i fasti degli anni ’80 e della cadetteria sono lontani, mentre vicini e ancora vivissimi nei ricordi anche dei più giovani restano incastonati fallimenti sportivi e decretati dai tribunali. Fino a tragicomiche promozioni seguite da repentini ritorni in Eccellenza.

Nelle ultime stagioni però, rivieraschi e calabresi sembrano aver trovato un minimo di equilibrio, confermandosi in Serie C e mettendosi anche in mostra con discreti campionati. Dispiace quasi – non me ne voglia nessuno – che oggi una delle due debba lasciare la contesa mentre troppo spesso sodalizi privi di storia, tradizione e seguito riescono nella scalata a palcoscenici che (diciamocela tutta) faticano ad appartenergli.

Su San Benedetto del Tronto si è detto tanto e tanto ancora si potrebbe dire. Una cittadina con poco meno di 50.000 abitanti che da sempre è rimasta fedele alla propria squadra, ignorando categorie e umiliazioni. Ricambiate quasi sempre con numeri importanti e atti di indiscutibile fedeltà. Non c’è quindi da sorprendersi se i botteghini sono stati presi d’assalto prima di questa partita e alla fine si registrino circa 11.000 spettatori.

La “voglia di Samba che cresce” – come cantano in una loro celebre canzone – è palpabile facendo un semplice giro in città. Dal Lungomare al Borgo Antico ci si imbatte sovente in vessilli rossoblù e già tre ore prima del fischio d’inizio sono tanti i motorini imbandierati e chiassosi che sfrecciano in direzione stadio. Persino un profano capirebbe che non è il classico giorno degli “occasionali”. Qua la gente allo stadio c’è sempre andata e la Sambenedettese è un sentimento, un pezzo d’identità, radicato nelle vene di un’intera cittadinanza. Chi ha preso un biglietto per la partita sa che dovrà dare il suo contributo per spingere la palla in rete e rendere l’ambiente infernale.

Del resto l’idea del forte collante tra tutte le componenti lo ha dato anche la reazione di tutti i supporter rossoblù alla vicenda Fanesi, il tifoso marchigiano lungamente in coma dopo alcune cariche della polizia post Vicenza-Samb e da qualche settimana destinatario di un Daspo di cinque anni. Oltre il danno la beffa.

E se si volesse essere più cinici e polemici ci sarebbe da approfondire l’indegno sistema con cui – nella fattispecie – la Questura di Vicenza ha gestito e sta gestendo i fatti. Oltre alla sanzione amministrativa comminata a Fanesi, infatti, ce ne sono altre 27 (arrivate proprio a ridosso della sfida d’andata al San Vito) indirizzate ad altrettante persone presenti quel giorno. Nella maggior parte dei casi mancano vere e proprie prove per certificare il comportamento violento degli stessi, basti pensare che qualcuno è stato diffidato con la sola colpa di essere immortalato mentre correva nel momento delle cariche.

La celerità e la solerzia con cui sono state prese tali decisioni non sono state purtroppo ancora utilizzate per far luce su come Luca Fanesi sia finito in coma e sulle responsabilità effettive di chi quel giorno era chiamato ad espletare il servizio d’ordine fuori dallo stadio Menti. Un atteggiamento che rientra di diritto in quel continuo strappo che le istituzioni sembrano voler perpetrare nei confronti di tifosi e cittadini, preferendo offuscare comportamenti sopra le righe da parte degli agenti anziché condannarli pubblicamente con lo scopo di migliorare sia il loro lavoro che i rapporti con i loro interlocutori (in questo caso i tifosi).

San Benedetto del Tronto ha appoggiato sin da subito la Nord e le sue iniziative, applaudendo sempre gli striscioni esposti in merito e cercando di non far dimenticare al mondo esterno l’ennesima ingiustizia che si sta consumando e di cui – purtroppo – conosciamo ormai prequel, storia e sequel.

I provvedimenti di cui sopra, colpendo quasi tutte figure di spicco, hanno ovviamente obbligato gli ultras sambenedettesi a rivedere l’economia della propria curva. Dovendo ritirare l’accredito al botteghino ospiti sono costretto a passare sotto il Distinto e scorgo giocoforza una parte della Nord, vedendo appeso lo striscione Curva Nord Massimo Cioffi. Chiaro segnale di come per l’occasione si sia voluta dare un’idea di compattezza, pur mantenendo “vive” le insegne dei vari gruppi, che infatti saranno esposte a più riprese durante la partita.

Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio e dopo aver fatto un paio di volte il giro dello stadio, riesco nell’impresa di ritirare l’accredito, superare i controlli ed entrare in campo. Il caldo umido è davvero micidiale e mi viene quasi da ridere pensando all’ultima volta che sono venuto da queste parti: era l’inverno scorso, si giocava Samb-Vicenza e in campo i miei piedi erano diventati ghiaccioli a causa del freddo e della fanghiglia.

Il colpo d’occhio è logicamente importante. Così come la presenza nel settore ospiti. I bruzi hanno staccato circa 750 biglietti e sin da subito spicca tra loro la presenza degli anconetani, motivo delle prime scaramucce tra le tifoserie.

Cerco di essere sincero e andare a ruota libera: venendo a questa partita non sapevo bene cosa aspettarmi dai cosentini. Se in casa bene o male ne ho capito le dinamiche, in trasferta faccio sempre fatica a comprendere talune movenze. Sempre per essere onesti: negli anni precedenti non mi hanno mai convinto in trasferta. Troppo spesso pochi e sparpagliati. Quasi disorganizzati oserei dire. Anche a causa delle divergenze sulla tessera, che hanno ovviamente tagliato fuori dalle trasferte una buona fetta. Un peccato per una piazza che ha contribuito a scrivere la storia del nostro movimento e che certamente ha sempre avuto un’importante base attiva e pensante.

Pertanto entrare sul manto verde, girare gli occhi e vedere una bella macchia rossoblù compatta, nel settore superiore, è un indubbio piacere. Nella parte inferiore sono presenti invece i ragazzi della Tribuna A, in un centinaio di unità. Rimarranno in silenzio per tutti i 90′. Continuando sulla linea della schiettezza (perdonatemi, ma lo devo innanzitutto a chi mi legge) ma senza voler entrare in questioni che ovviamente non mi/ci competono, da osservatore esterno devo dire che questa divisione è senza dubbio un altro peccato. Penso che la tifoseria vista al Riviera delle Palme, al netto di tutti i suoi effettivi uniti e univoci, potrebbe davvero dire la sua e tornare su altissimi livelli. Sia in casa che fuori.

A questo vanno ovviamente anche aggiunti i risultati sportivi che – volente o nolente – portano entusiasmo e ampliano la portata di qualsiasi lavoro di aggregazione. I Lupi militano in C ormai da diversi anni, senza però riuscire mai ad entusiasmare il proprio pubblico con campionati degni di nota. E spesso la mediocrità funzionale fa molto peggio di qualsiasi retrocessione.

Si capisce sin da subito che i calabresi sono carichi, tanto che i loro cori partiranno ben prima del fischio d’inizio per interrompersi praticamente solo a fine partita. Salvo la canonica pausa dell’intervallo. A fungere da benzina al loro fuoco ci pensa anche la partita, con il Cosenza che trova il vantaggio dopo pochi minuti grazie a Mungo. La sua realizzazione manda in visibilio il settore ospiti, che tiene alti i decibel e sfoggia molto colore con bandierine e sciarpe. Molto belle anche le tante manate.

Sul fronte opposto l’entusiasmo iniziale, caratterizzato dalla bella coreografia dei distinti e dall’ottimo colpo d’occhio offerto dalla Nord con torce, fumogeni e sciarpe, viene leggermente fiaccato dal vantaggio ospite e da una Sambenedettese che stasera sembra davvero non essere scesa in campo. Tuttavia con il passare dei minuti gli ultras marchigiani ingranano, facendo perno come sempre sulla bella sincronia delle manate, sui cori a rispondere e sulla partecipazione di tutto il settore.

Nella ripresa i padroni di casa tentano di prendere il dominio del campo, ma il tutto si rivela sterile. Di conclusioni in porta se ne vedono poche e la fragilità del centrocampo finisce per regalare al Cosenza l’inerzia della partita. A mettere la pietra tombale sulla qualificazione ci pensa Baclet, che realizza nel finale un calcio di rigore.

Gli animi sono contrapposti. Tra i sambenedettesi qualcuno piange, prendendo coscienza dell’ennesima delusione patita. Ma in balaustra si fa cenno che la gara non è ancora finita, almeno quella degli spalti. E allora si fa spazio alle bandiere, alle sciarpe e ai classici cori del repertorio rossoblù. Oltre che a una buona dose di pirotecnica. Che non guasta mai.

Neanche a dirlo l’umore dei cosentini è a mille. Il settore ospiti salta, festeggia e si esibisce in una bella sciarpata. Per esplodere al fischio finale quando “…con le bandiere, con gli striscioni, perché così salutiamo i campioni…”.

Faccio gli ultimi scatti e poi lascio il Riviera delle Palme.

Sì, questi campi hanno ancora qualcosa da trasmettere e regalare. Sono emozioni, gioie, contrapposizioni e storie. Storie infinite fondamentalmente. Che non puoi smettere di apprezzare se ami il calcio e tutto quello che gli gira attorno.

Per la Samb ci sarà un altro anno per provarci. Per il Cosenza la prossima meta è Bolzano, per l’andata della semifinale contro l’Alto Adige. Là sapremo se i silani potranno tornare a Pescara per coltivare un sogno. Esattamente come nel 1991, quando all’Adriatico un gol di Marulla permise ai rossoblu di rimanere in cadetteria.

Simone Meloni