Scendo velocemente per la Strada Nuova. Lambendo i suoi palazzi cinquecenteschi ed inoltrandomi poi per i carruggi che stancamente mi portano verso la Darsena. Devo raggiungere la stazione di Piazza Principe. Benché sia tarda sera e il mare sia là a un tiro di schioppo, non c’è la classica brezza che a fine gennaio ti condannerebbe alla più stupida delle influenze se non stessi attento a coprirti. Il clima è addirittura tiepido.

Mi sto lasciando Genova alle spalle, per l’ennesima volta in questi anni. Con l’ennesima “fuga” dal Ferraris per non mancare l’appuntamento con il pullman di ritorno. E con l’ennesimo ritorno a Roma intriso di stanchezza e soddisfazione nell’aver presenziato in quello che ritengo uno degli stadi più belli del Paese all’interno di una città che sa sempre offrirmi spunti e sensazioni nuove oltre che contrastanti.

Sampdoria-Roma è in realtà il recupero della terza giornata di andata, che lo scorso settembre non si giocò per maltempo. Nel bislacco calcio dei nostri tempi nessuno si sorprende più di tanto se una partita viene giocata a distanza di mesi e, soprattutto, nella stessa settimana in cui è in programma il medesimo match ma a campi invertiti: domenica, infatti, i blucerchiati saranno di scena all’Olimpico nuovamente contro i giallorossi.

Chiaramente lo stesso discorso vale per Lazio-Udinese, anch’essa sfida di recupero che si gioca quest’oggi, nel pomeriggio.

Credo che il momento più interessante nelle ore che precedono una partita, sia quello in cui per le strade della città uomini, ragazzi e bambini cominciano a circolare con i colori del club. Non mi devo ripetere su quanto Genova, a tal merito, sia particolarmente “all’avanguardia”. Di sicuro però entrare in un bar di Corso Italia, venendo a piedi da Boccadasse, laddove il sole ha prematuramente salutato questa giornata invernale calando tra le acque del Mar Ligure, e vedere decine di vecchietti incalliti, con il loro spritz o il loro bicchiere di bianco, già armati di foulard blucerchiati e impegnati a parlare di calcio, ti rincuora.

Anzi, te li fa quasi invidiare.

È ora di risalire il Bisagno dalla zona Foce, superando la stazione Brignole e cominciando a intravedere lo stadio Ferraris da lontano. Man mano che i metri passano la folla che si unisce nella stessa direzione aumenta. Motorini e macchine si intrecciano all’impazzata, mentre i vecchi autobus che ancora caratterizzano Genova rimangono incastrati nel marasma generale. Mi accorgo che sono talmente abituato a questo genere di scene da non farci ormai neanche caso.

Mi permetto un giro lungo, attraversando prima il torrente e dando un’occhiata al clima che regna sotto la Gradinata Sud, per poi circumnavigare l’impianto di Marassi, passando anche nei pressi dell’omonimo carcere, per sbucare in zona Distinti. Dove tra un’insegna che invoglia alla focaccia e la lunga camminata che ormai ha polverizzato le calorie assunte con un sommo piattone di trofie al pesto, supero il prefiltraggio e sono dentro.

Essendo un giorno lavorativo, quando manca mezz’ora al fischio d’inizio il grosso dei tifosi deve ancora fare il proprio ingresso. Discorso diverso per il settore ospiti, che si presenta pressoché esaurito nella parte superiore e, durante il riscaldamento delle squadre, si fa sentire a più riprese mostrando di non gradire le ultime uscite pubbliche e gli ultimi possibili movimenti di mercato (possibili cessioni di Emerson Pamieri e Dzeko al Chelsea) del presidente Pallotta. Del resto le ultime settimane, con comunicati ufficiali e malcontento palesato nel frenetico e nevrotico etere capitolino, è innegabile che la già esistente frattura tra il patron e parte della tifoseria, si sia acuita.

Ma se nei confronti del numero uno americano non ci sono parole di stima, di contro la squadra viene subito sostenuta a gran voce, con la vistosa intenzione di scuotere gli uomini di Di Francesco dall’ultimo mese di torpore.

Sul fronte casalingo il clima è invece tutt’altro che burrascoso. La Sampdoria sinora ha dimostrato di essere una gran bella squadra, in grado di navigare nelle acque alte del campionato e togliersi più di qualche soddisfazione tra le mura amiche. Su tutte, senza dubbio, c’è la bella vittoria contro la Juventus.

Se poi ci riferiamo prettamente all’ambiente curvaiolo, l’anno corrente ha portato un qualcosa forse ancora più vitale dei risultati: il ritorno in trasferta della Gradinata Sud. La non obbligatorietà della tessera del tifoso per diverse partite ha permesso agli ultras blucerchiati di tornare a calcare i gradoni anche al di fuori di Genova e indubbiamente questo ha giovato all’entusiasmo e alla salute del settore popolare. Una concatenazione di eventi che ha prodotto un giusto e comprensibile entusiasmo, soprattutto da parte di chi determinate imposizioni le ha sempre combattute, pur dovendo rinunciare a diversi anni di trasferte. E chiunque abbia bazzicato un minimo l’ambiente stadio sa quanto ciò sia pesante.

A una decina di minuti dall’inizio le due tifoserie cominciano a scaldare i motori. Sono i liguri ad aprire le danze mandando a quel paese i dirimpettai, i quali rispondono senza troppi giri di parole con il classico coro sulla scarsa qualità del mare genovese, diffuso in tutta la Penisola. Che poi, a dirsela tutta, quella tra doriani e romanisti non è che sia in cima alle rivalità di ambo le fazioni. Diciamo che ho sempre avuto l’impressione che si tratti di una’acredine esistente perché “deve esistere” (magari a causa di tutto l’excursus di amicizie dei blucerchiati, sicuramente poco consone alle cerchie giallorosse, e alla proverbiale esuberanza capitolina, che difficilmente riesce a conciliare con chiunque) ma non perché di fondo esista chissà quale profondo odio.

All’ingresso dei giocatori l’anello occupato dagli Ultras Tito Cucchiaroni si illumina con una bella torciata, vera e propria rarità di questi tempi, mentre tutto il settore è un tripudio di bandieroni, marchio di fabbrica delle tifoserie genovesi. A chiudere questo quadretto il battito ininterrotto del tamburo in zona Fedelissimi. Un suono che ritorna anche su sponda doriana dopo davvero tantissimi anni di assenza. Strumento che ritengo fondamentale per una tifoseria che sui cori lunghi, lenti e ritmati ha costruito le proprie fortune.

Di solito sono alquanto avaro di complimenti e certamente non mi entusiasmo con facilità. Tuttavia devo ammettere che la Gradinata Sud di questa sera ha davvero una marcia in più rispetto alle ultime volte che avevo avuto modo di vederla. Tifo ottimo: cori tenuti lungamente e sempre con ottima intensità, battimani, entusiasmo, torce di tanto in tanto e resto dello stadio coinvolto veramente in molte occasioni. Tutto molto bello.

Da segnalare la presenza degli ultras marsigliesi, con uno stendardo del Commando e una pezza in memoria di Christine, storica figura del tifo provenzale scomparsa qualche stagione fa.

Non so se in passato ho già avuto modo di dirlo, ma lasciatemi qualche riga per omaggiarne il ricordo. Ci sono stati anni in cui anche io non ho potuto mettere piede negli stadi italiani. Ero poco più che ventenne e di stare a casa proprio non ne sentivo ragione. Partii, decisi di girare e vedere quello che mi stava vicino. Marsiglia fu chiaramente una delle prime tappe. Andai in occasione di una partita contro il Montpellier, dopo cui avrei dovuto aspettare fino al mattino il primo treno per Parigi. Alcuni ragazzi mi invitarono in sede e là mi accolse proprio Christine. Parlava italiano, lo conosceva bene. Mi offrì da bere e un pezzo di pizza scusandosi perché: “Lo so che non è buona come in Italia”. Decisi di approfondire le mie conoscenze e qualche settimana più tardi mi imbarcai su un torpedone diretto a Bordeaux. Tanti chilometri su un pullman con poca possibilità di parlare, vista l’allora scorsa conoscenza del francese. Sempre lei mi venne vicino riconoscendomi e rompendo il ghiaccio, facendomi sentire a mio agio.

A me di fare retorica sulle persone scomparse non va. Anzi, mi fa letteralmente schifo. Ma credo che questi ricordi, che difficilmente ho esternato, possano essere messi per iscritto proprio perché quando ho visto quella pezza, in Gradinata Sud, un piccolo brivido ha percorso la mia schiena. Ho pensato a quelle nottate in pullman e a quella sera nella sede. A storie di vita che rimangono tali per essere raccontate ma anche a quanto nel nostro percorso di interessi e passioni, soprattutto noi che frequentiamo questo mondo, ci crediamo spesso immortali. E in fondo lo siamo. Perché addosso porteremo sempre quel senso di appartenenza e solidarietà anche se non ci conosciamo. Anche se non parliamo la stessa lingua.

Ecco, questo è il mio ricordo di Christine. Mi ha fatto piacere rivederla in mezzo ai suoi amici doriani.

Dopo aver sviato cerco di tornare alla cronaca della partita, ponendo la lente d’ingrandimento sul settore ospiti. Molto bella la balconata, interamente coperta di pezze e piccoli striscioni che con il passare del tempo sono senza dubbio migliorati in qualità. Se dovessi fare un appunto al materiale romanista mi rivolgerei sicuramente agli stendardi a due aste.

Premesso che non sono un amante del genere (in una curva nei vorrei massimo tre o quattro e di ottima fattura) credo che la moda di prendere un pennarello e scrivere quello che passa per la mente su un pezzo di stoffa sia davvero una delle più grandi pecche nell’estetica delle curve italiane. Ovvio che la mia è un’esagerazione nella fattispecie, ma è alquanto vero che molti dei due aste della Sud siano di dubbia fattura, oltre che caratterizzati da colori quasi sempre diversi dal giallo ocra e dal rosso pompeiano.

Per quanto riguarda il tifo, il settore giallorosso si mette in mostra con un buon primo tempo: belle manate, cori abbastanza lunghi e tenuti con intensità. Notevoli le tante bandierine sventolate sulle pezze dei Fedayn e su quelle del gruppo Roma. Nella ripresa il sostegno cala un pochino di intensità, anche se sostanzialmente non si avrà mai la sensazione di un settore statico.

Il pareggio di Dzeko, che in pieno recupero risponde al rigore di Quagliarella, manda in visibilio i supporter capitolini. Una bella esultanza proprio in extremis, quando la sconfitta era ormai più che una lontana ipotesi.

Finisce così 1-1. Ho il tempo giusto per fare gli ultimi scatti. Devo sbrigarmi, il perché lo sapete. Per arrivare in Strada Nuova c’è innanzitutto da salire la celebre Scalinata Montaldo. E questo, già di suo, è una bella fatica.

Simone Meloni