Inutile girarci intorno, certe vicende disturbano, certi fatti di cronaca vorremo non fossero mai accaduti ma purtroppo i medesimi fatti ci autorizzano a cercare una verità che spesso si vuole insabbiare. Dimenticare per alcuni diventa l’undicesimo comandamento, un mantra da ripetersi all’infinito o almeno fino a quando si arriva ad un difficile auto-convincimento. E poi l’informazione che spesso si limita a prendere per buone le prime notizie anche se queste arrivano da fonti sicuramente collegate strumentalmente alla vicenda.

Ormai il giornalismo di approfondimento è clinicamente morto. Una notizia è già vecchia dopo poche ore, si vive nell’epoca del digitale dove chiunque può postare sui social una foto, un video, una notizia. Siamo sommersi dall’informazione ma questa è di scarsa qualità quando addirittura apertamente falsa. Incoscientemente prendiamo per buone e vere le notizie che ci fa piacere leggere anche se, per dirla proprio tutta, pochi di noi si prendono la briga di andare a vedere la provenienza della notizia e, in seconda istanza, se il sito che l’ha lanciata è affidabile oppure no.

Nella vicenda di Federico Aldrovandi tutti questi fattori si sono incastrati alla perfezione: un delitto, le prime notizie sulle quali è meglio sorvolare ed infine l’obiettivo di dare un colpo di spugna alla vicenda, metterla nel cassetto, farla passare come un errore di gioventù. Eppure un ragazzo ha perso la vita apparentemente senza alcuna colpa se non quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Ho avuto il piacere di parlare con i genitori di Federico, un incontro avvenuto in una riunione pubblica dove Lino Aldrovandi ha ripercorso la vicenda con gli occhi lucidi ma con una forza di volontà da applausi. Una persona che per sua stessa ammissione, non avrebbe mai pensato che certi fatti potessero accadere e per di più con determinate conseguenze.

La vicenda di Federico ha colpito l’opinione pubblica ed in particolar modo la tifoseria estense ed il mondo ultras più in generale. Ma si sa, l’ultras è l’animale da stadio perciò per natura poco incline al dialogo, eppure la sua parola disturba come disturba una bandiera con il volto di un ragazzo. Una bandiera che non può entrare in uno stadio di calcio per il solo fatto che rimanda la mente ad un delitto che si vuole cancellare dalla memoria.

La risposta della tifoseria spallina a questo ennesimo divieto anche in quel di Genova? Striscioni capovolti, tifo continuo e caloroso per la squadra e naturalmente la convinzione di aver fatto la scelta giusta, scelta condivisa da una moltitudine di tifoserie italiane che hanno espresso spontaneamente la propria vicinanza per un divieto che, voglio pensare, avverrà anche in un futuro prossimo.

La trasferta degli estensi a Genova sponda blucerchiata è riassunta tutta in questo divieto, c’è anche il tifo ed il colore, le numerose bandiere e le bandiere a due aste, alcuni cori potenti cantati dai centocinquanta ultras che hanno animato il settore ospite, ma la mente picchia ancora su quel divieto.

La Gradinata Sud si presenta ben piena, l’entusiasmo serpeggia intorno alla tifoseria e viene dimostrato sia con i cori, sia con il colore offerto dalle tante bandiere sventolate nella parte superiore. Tifo buono nella prima frazione che subisce una profonda accelerata nella ripresa quando, complice il vantaggio, la gradinata diventa una bolgia. La Spal perde sul campo ma resta una notizia, questa sì, che si può anche dimenticare.

Foto di Alberto Cornalba