La mia prima volta a Campobasso si consuma in una bella giornata estiva con al centro una partita che, per alcuni versi, mi ha riconciliato un po’ con il calcio. Sia quello giocato che quello sugli spalti. Andiamo con ordine.

Nonostante i 200 km che dividono Roma dal capoluogo molisano, raggiungere la città di Tony Dallara non è proprio l’impresa più veloce di questo mondo. Il Regionale “veloce” impiega infatti poco più di tre ore. 180 minuti a bordo di un Minuetto stracolmo fino a Cassino e al limite del praticabile per il resto del viaggio. Quando si vuole un fedele specchio dell’arretratezza italiana penso sia sufficiente un viaggio su questa linea.

Ma bando alle lamentele, sapevo ciò a cui andavo incontro. Arrivo a destinazione a mezzogiorno e dopo aver fotografato alcune vecchie insegne e, ovviamente, le caratteristiche littorine per Larino (patria, fra gli altri, del buon Biscardi) posso avviarmi verso lo stadio.

Google Map parlava chiaro in merito, quasi 4 chilometri da percorrere a piedi. Il Romagnoli si trova infatti fuori città e la passeggiata, sotto un sole che picchia duro in ottobre inoltrato, è tutt’altro che piacevole. Mi inerpico per viuzze e stradoni desolati senza vedere la meta, poi finalmente, dopo circa 40 minuti, ecco spuntare i riflettori.

A prima vista l’impianto di Selvapiana appare una cattedrale nel deserto, tipica struttura anni ’70-’80 che ricorda stadi come Benevento ed Avellino. Molti tifosi rossoblu sono già intenti a sorseggiare birre nei pressi della Curva Nord ed io, dopo un giretto di ricognizione, decido di entrare per sbrigare le classiche pratiche di consegna del documento e ricerca della pettorina.

Scendo le scalette, con l’occhio che cade sulla statuetta della Madonna con tanto di cero acceso, posta esattamente prima dell’ingresso in campo (non lo dico per scherno, sia chiaro, è un qualcosa che mi fa sorridere perché mi sa molto di calcio alla Oronzo Canà).

All’interno il Romagnoli ha davvero il suo fascino. Innanzi tutto perché mi fa pensare a quella Serie B anni ’80 di cui i Lupi molisani erano assidui frequentatori. Ultima apparizione nel 1987 quando, a seguito della sconfitta negli spareggi di Napoli con Lazio e Taranto, arrivò la retrocessione in C, il lento declino verso le categorie minori e ben quattro fallimenti negli ultimi vent’anni.

Eppure questo Campobasso sembra aver riportato entusiasmo: un buon numero di spettatori affolla la tribuna coperta e la Nord, unici due settori aperti oltre a quello ospite. Di fronte a me, nei distinti, campeggia lo storico striscione del Commando Ultrà mentre in curva già sono presenti tutte le pezze dei gruppi rossoblu.

Gli ultras di casa sono una di quelle tifoserie dalle quali rimango sempre un po’ stupito in un certo qual senso. Fallimenti e categorie infime non li hanno distrutti ed hanno saputo rigenerarsi continuando a portare in alto il nome della propria città ed il loro credo. Nonostante tutto. Può sembrare scontato, ma non lo è.

Quando mancano pochi minuti al fischio d’inizio fanno il loro ingresso i supporters teatini. Sembra strano, ma è la prima volta che li vedo. Forse numericamente mi aspettavo qualcosa in più, ma a livello di tifo e qualità devo dire che non verrò affatto deluso. Oltre alle loro pezze viene appesa anche una bandiera del Monopoli, cosa che non piace molto ai molisani, i quali lo fanno presente mandando a quel paese i pugliesi. Tuttavia il battibecco si chiude praticamente qui e tra le opposte fazioni ci sarà totale indifferenza per tutta la gara.

Alle 14 le squadre fanno il loro ingresso in campo, dalla Curva Nord si leva una fumogenata rossoblu intensa e molto bella da vedere, mentre i teatini mostrano subito i muscoli con cori a rispondere ed un paio di torce gettate in terra. Come inizio non c’è male. Mi sistemo a bordo campo, benedicendo la Serie D e l’assenza di imposizioni spesso assurde come quella di sistemarsi dietro le porte.

Neanche il tempo di effettuare i primi scatti che il Chieti trova il vantaggio. Bella l’esultanza dei neroverdi, tutti sotto al settore a ricevere l’abbraccio dei tifosi. Gli ultras abruzzesi sono ovviamente gasati e tirano fuori la voce tifando in maniera pressochè impeccabile, con i bandieroni sempre al vento e l’incessante suono di un tamburo.

Dall’altra parte i campobassani non sono da meno, il nucleo ultras non smette di incitare i Lupi neanche quando subiscono, a fine primo tempo, il doppio svantaggio. Allo scadere il direttore di gara assegna un penalty ai padroni di casa, Miani dal dischetto non sbaglia e riporta in gara i suoi. Bella l’esultanza seguita dalla sciarpata.

Approfitto dell’intervallo per passare qualche minuto all’ombra, il sole incontrando l’erba del campo produce infatti un caldo umido a tratti davvero fastidioso. Al rientro delle squadre le due curve scaldano nuovamente i motori. Se nella prima frazione la prestazione ospite era stata di ottimo livello, nei secondi 45’, anche grazie ad una migliore disposizione nel settore, sarà davvero impeccabile. Ennesima dimostrazione di come, ormai, la morte degli ultras e del tifo nelle piccole città, coincida troppo spesso con la militanza in Lega Pro. Una serie dove senza carte ministeriali è impossibile seguire i propri colori e che, con la sua burocrazia, i suoi orari e le sue limitazioni, non invoglia certo il pubblico a frequentare gli stadi. In un paese normale si rifletterebbe sul fatto che le squadre hanno più seguito in Serie D che in una categoria professionistica.

La partita è bella e divertente. Il Chieti avrebbe almeno tre nitide occasioni per chiuderla ma i suoi attaccanti sciupano clamorosamente a tu per tu con il portiere molisano così, come insegna la più antica regola non scritta del calcio, gol mangiato gol subito. In pieno recupero, al 93’ Di Gennaro svetta più in alto di tutti e approfittando di un’uscita a vuoto del portiere teatino schiaffa la palla in rete, facendo letteralmente esplodere il Romagnoli. Un boato da altre categorie che fa da contraltare alla disperazione abruzzese. Finisce in parità, un punto che fa contenti i padroni di casa mentre gli avversari si mangiano le mani per l’occasione buttata al vento.

Prima di andarmene non posso non assistere ai saluti delle squadre alle tifoserie. Il Campobasso festeggia giustamente con la Nord al coro “Totalmente dipendente” mentre è molto bello anche l’attestato d’affetto che i supporters teatini tributano ai propri giocatori, i quali in cambio donano loro le maglie. Non mi stancherò mai di dirlo, dove non ci sono loschi personaggi a frapporsi tra calciatori e tifosi, tutto risulta più bello e naturale.

Non posso perdere molto altro tempo. Il mio treno infatti partirà alle 16:58. Un altro viaggio della speranza con il solito Minuetto che si riempe all’inverosimile accumulando anche qualche minuto di ritardo. Ma in fondo ne è valsa la pena, una bella giornata ed una bella partita di fronte a due tifoserie in forma alle quali, un tempo, avrei augurato il salto di categoria. Ma in questo periodo forse è meglio augurare agli ultras qualche anno di sana Serie D, con trasferte libere e biglietti non nominativi. Almeno fino a quando non decideranno di rovinare anche questa piccola oasi semi felice.

Simone Meloni.