E’ questa la frase che probabilmente riassume l’approccio con il quale tutti noi ci siamo avvicinati al mondo del calcio. Una frase detta dall’allenatore dell’Atletico Vescovio a un suo calciatore, impegnato a brontolare mentre vedeva allontanarsi le maglie offensive degli avversari. Sì perché, non va dimenticato, in principio non furono gli ultras, almeno per me, ma fu proprio quel pallone che rotolava calciato da 22 giocatori. Un minuto dopo venne l’amore per il tifo, è vero, ma non va mai ignorato che il calcio dovrebbe essere alla base di qualsiasi aggregazione relativa al tifo.

L’Atletico Vescovio è un progetto che nasce diversi anni fa. Sul loro sito si legge che l’embrione dell’idea risale addirittura al 1997. Ufficialmente il club è stato fondato nel 2003 da un gruppo di ragazzi del quartiere Trieste-Salario, il cui cuore è per l’appunto Piazza Vescovio. Un’idea lungimirante, che a livello calcistico ha saputo mantenersi viva in una giungla spietata, e spesso batterica, quale è il calcio minore del Lazio. Lo stesso che negli ultimi anni ha saputo partorire veri e proprio aborti come la Lupa Roma e la Lupa Castelli Romani, in luogo di vecchie e storiche società, vedansi Lupa Frascati.

Un percorso netto quello dei biancorossi, che hanno saputo risalire le sabbie mobili del calcio dilettantistico approdando fino alla Promozione, dove ora occupano il primo posto a un passo dall’Eccellenza, che rappresenta il gradino più alto a livello regionale. Già anni fa si faceva un gran parlare dell’interesse che ruotava attorno alla squadra e dei suoi tifosi, capaci di rompere, dopo decenni, l’assioma che voleva le squadre capitoline vere e proprie sparring partner quando giocavano negli sperduti, e spesso poco ospitali, paeselli della campagna laziale.

Considerata la netta decadenza, a livello di interesse e seguito, della Serie A e del calcio professionistico, era quasi inevitabile che quest’anno, con i biancorossi al primo posto e la riscoperta tendenza del Support your local team, salisse agli albori delle cronache il tifo organizzato del Vescovio. Mi basta fare un giro in internet per vedere le loro foto e leggere qualche loro resoconto delle domeniche passate appresso ai proprio beniamini. Così aspetto l’occasione per vederli da vicino, e questa arriva puntuale oggi, grazie alla vicinanza tra Tarquinia e Viterbo, dove nel pomeriggio seguirò Viterbese-Sora.

Parto relativamente presto da casa, con un bel sole che mi accompagna per tutto il viaggio. In poco più di un’ora risalgo buona parte del Lazio raggiungendo la cittadina celebre per le necropoli etrusche e per la sua importante storia classica e medioevale. Proprio a quest’ultimo periodo è legato il nome della squadra locale. Corneto è infatti il nome della rocca da cui si sviluppò l’omonimo centro abitato dopo la distruzione della città di Tarquinii da parte delle invasioni di popolazioni germaniche in epoca romana.

Trovare lo stadio non è affatto un compito facile. Inizialmente infatti mi ritrovo nel campo posto proprio al centro del paese, dove però non c’è nessuno. Capisco che qualcosa non va e un signore mi fa notare che il Corneto non giochi più qui da anni, essendosi trasferito nell’impianto vicino alla stazione, pochi chilometri più a valle. Con molta pazienza risalgo in macchina e mi metto in cerca di una fantomatica Via Raffaello Sanzio. Fortuna vuole che dopo alcuni giri a vuoto mi imbatta proprio nei ragazzi dell’Atletico Vescovio, che hanno il mio stesso problema, non trovano il terreno di gioco. Mi metto alle loro calcagna e alla fine ci ritroviamo nello spiazzale dell’antistadio.

Mi sbrigo a parcheggiare, prendere la macchinetta e dirigermi verso l’entrata. Il simpatico strappabiglietti non vuol sentire ragioni quando gli dico che ho un accredito come fotografo. Lui esige i suoi 5 Euro. Gli faccio presente di dover lavorare, pena licenziamento. Ma si sa, questi vecchietti sono terribili quanto poco affabili. Capisco che non è neanche il caso di perderci tempo e compio il giro del campo riuscendo a trovare un pertugio per accedere alla zona posta proprio dietro le panchina.

Gli ultras biancorossi fanno il loro accesso agli spalti, attaccando immediatamente le pezze Manipolo e Ospiti Indesiderati. La gara è cominciata da qualche minuto quando l’intensa cappa dei fumogeni rossi, accesi dai supporters ospiti, viene spazzata via con velocità dal forte e freddo vento che soffia sulla zona. Non passo far a meno di notare la presenza del tamburo, suonato veramente bene. Come detto in precedenza, quando raccontai una partita del Casal Barriera, il fatto che questo strumento venga utilizzato da una tifoseria della Capitale è un chiaro sintomo dell’apertura mentale del gruppo. Peraltro a fare il tifo non ci sono solo giovincelli novizi, ma la maggior parte dei presenti credo superi tranquillamente i trent’anni. E questa è certamente un’altra nota a loro vantaggio, dimostrazione di come superata una certa età non si debba per forza rinnegare il mondo che si è vissuto e in cui si è cresciuti, anche se ora non ci si riconosce più. Del resto il modo per migliorare qualcosa che si ama non è certo girargli le spalle, ma semmai tentare di inventarsi qualcosa a propria immagine e piacimento dimostrando di poter restare vivi e attivi. Più che mai.

Il tifo si mantiene su buoni livelli, con un paio di bandieroni e alcune bandierine che vengono sventolati per tutta la partita e alcuni cori mantenuti per diversi minuti. Nel secondo tempo bello l’impatto con il petto nudo mostrato da tutti i presenti e il tifo che migliora dal punto di vista dell’intensità, anche grazie alla prestazione della squadra che travolge gli avversari chiudendo il match sullo 0-3. Se al Vescovio riuscirà di salire in Eccellenza sarà interessante vedere questi ragazzi confrontarsi con altre realtà. Alcuni vere e proprie istituzioni del tifo laziale. L’avere di fronte altre tifoserie, infatti, penso possa soltanto accrescere il livello di un gruppo, perché si hanno più parametri per giudicare il proprio operato e, in caso, migliorarlo.

Quando il direttore di gara decreta i minuti di recupero decido di andarmene per non incappare nella congestione di macchine che si creerà dopo il fischio finale sulla piccola stradina adiacente lo stadio. E’ vero che sono in perfetto orario per raggiungere il Rocchi di Viterbo, ma non voglio rischiare di arrivare a ridosso del match essendo poi costretto a fare i salti mortali. Me ne vado mentre gli ultras biancorossi stanno festeggiando la vittoria con l’ennesima accensione di fumogeni rossi. Non fa mai male sentire quell’odore e vedere tutta quella condensa di fumo alzarsi al cielo. Per me resta l’essenza del football. Ne sono sempre più convinto mentre mi inoltro per le campagne viterbesi immerso nei miei pensieri.

Simone Meloni

https://www.youtube.com/watch?v=nsRAwikW3fE