Provenendo da altre latitudini, il mio primo contatto diretto con gli ultras spallini risale agli anni in cui sembravano invischiati senza vie d’uscita in Serie D. Anni in cui comunque continuavano a sgomitare con rabbia, rappresentando con immutata dignità ed orgoglio la propria città. Seppur ovviamente con ben altri numeri e ben maggiori difficoltà. Da lì l’ascesa è stata tanto improvvisa quanto nota a tutti, passata dalla fusione con la squadra della vicina Masi San Giacomo, di tanto in tanto tirata fuori nei promemoria di scherno degli avversari.

Walter Mattioli, il presidente di quella Giacomense e ora di questa Spal, tra le altre cose, è l’unico presidente nella storia del calcio italiano ad aver scalato tutta la piramide gerarchica dalla Terza Categoria fino alla Serie A (fino alla C2 con la Giacomense e fin qui con la Spal) e questo sportivamente qualcosa dovrà pur dire. Senza trascurare l’apporto della famiglia Colombarini, proprietaria della Vetroresina spa, azienda locale che nel locale ha ramificato i suoi investimenti sportivi.

Sarebbe ingenuo credere al mecenatismo disinteressato da un qualsivoglia ritorno, che per taluni è direttamente economico e per altri di più ambigua propaganda politica, ma in questo caso quantomeno siamo a debita distanza da certe discutibili colonizzazioni. Come certe multinazionali che orientano il loro operato sul culto del brand e sul marketing applicati in maniera forzata al calcio, riducendolo a mero prodotto commerciale. Talvolta dai risultati sul campo persino importanti, ma il cui disprezzo per gli ultimi residuati di tradizione e identità (vedi denominazioni e colori sociali stravolti) sono a dir poco rivedibili. Questo per non parlare degli emuli nostrani che dalla Lombardia vanno a prendere squadre in Emilia, poi invece di investire sulle strutture sportive del territorio (visto che del connubio con la comunità locale gli interessa poco o niente) vanno come i paguri di conchiglia in conchiglia sfrattandone i legittimi proprietari con la forza del denaro. Ci sono esempi ancora peggiori, di aziende che sfruttano le squadre come mero veicolo di sponsorizzazione, anteponendo il loro nome a quello storico e poi svilendolo ulteriormente con risultati squallidi a fronte di promesse iniziali sul limite della mitomania. Esempi che nella scala evolutiva si piazzano un gradino sotto i coprofagi, ma là fuori si ostinano a voler vedere nei tifosi gli unici colpevoli di tutto: beata stupidità.

Sarà forse anche l’inequivocabile segnale che m’avverte di aver lasciato l’infanzia da un pezzo, ma per questi e mille altri motivi annodati in quel grande groviglio che è diventato il calcio, non riesco più a guardarlo con incanto. Quando sento la parola “favola” applicata al calcio, immediato avverto l’istinto – che con difficoltà tengo a freno – di andare a prendere il porto d’armi. Nove volte su dieci dietro queste “favole” ci sono realtà fatte di sceriffato economico-politico e stadi più tristi di una vaschetta di gelato aperta in preda alla fame ma che poi scopri contenere broccoli surgelati. Alla Spal almeno, oltre al km zero hanno cercato di perseguire una politica ad impatto zero, cercando di tenere compatto l’ambiente, passando per un mai scontato rispetto per le istanze degli ultras, ai quali sono andati sempre incontro come per esempio dopo le proteste per gli alti prezzi degli abbonamenti o le richieste di installare una balaustra per gli striscioni che restavano completamente coperti dagli sponsor a bordo campo.

La Ovest in questi ultimi tre anni è stata un vero valore aggiunto nell’ascesa della squadra verso l’Olimpo della massima serie. Mi premeva dunque vederla per almeno una volta in Serie A, con la segreta speranza non fosse l’ultima. Mi dispiace solo ci possa rimettere il Crotone e non uno di quei sodalizi esistenti solo per l’appagamento dell’ego dei suoi proprietari. Per questo arrivo a Ferrara con un anticipo per me inusuale, facendo tappa fuori dalla Ovest per salutare qualche vecchio amico e saggiare l’aria che tira: c’è davvero tanta gente, ragazzi, ragazze, vecchie facce, figli di ultras vestiti di bianco e azzurro che simulano la partita mentre fuori si ammazza il tempo e l’ansia fra birre e chiacchiere. C’è un’aria strana che non saprei definire, di ottimismo cauto e in certo qual modo teso, perché è vero che se il Crotone perde in quel di Napoli – come i valori tecnici potrebbero far presupporre – si salverebbero in qualunque caso in virtù della migliore classifica avulsa, ma sarebbe meglio non affidarsi alla sorte e pensare solo al massimo risultato.

Guadagnato posto nella strettissima tribuna stampa locale non posso non pensare a talaltri straccioni che, con tribune immense, ti rispondono dopo due secondi che non possono accettare accrediti perché hanno la tribuna piena, paradigma perfetto dello strisciante favoritismo con cui costruiscono la loro claque di ruffiani e leccaculi. Poi versano lacrime di coccodrillo su “fake news” e stampa asservita che loro stessi contribuiscono a creare.

All’interno della Ovest di casa si riversa la stessa identica atmosfera dell’esterno: una tensione emotiva che va sciogliendosi in atti quando le squadre scendono in campo. Dall’alto viene calato un bandierone copricurva a bande verticali biancazzurre e in basso lo striscione “Che sarà sarà, ovunque ti seguirem, ovunque ti sosterrem”, esplicativo della scelta di campo della tifoseria che, come fatto in tutta questa annata, si schiera accanto alla propria squadra a prescindere da quelli che saranno gli esiti al novantesimo. Ritirato il bandierone, il settore si presenta ulteriormente colorato da bandiere, due aste, sciarpe, bandieroni mentre in basso si accendono alcuni fumogeni il cui effetto è però vanificato dal vento che soffia contro. Fra i tanti bandieroni si nota anche nettamente quello della “Curva Nord Ancona”, anconetani che vengono poi beccati a distanza dai doriani, sgarbo ricambiato dagli spallini che stigmatizzano i parmigiani, omaggiati in uno striscione degli “Ultras Tito” che saluta il fresco ritorno in Serie A della loro squadra. Fissate le reciproche distanze, la contesa è continuata senza ulteriori e stucchevoli repliche.

I doriani son tanti (700 secondo Estense.com) per essere una partita senza più alcun significato per loro. Al calcio d’inizio si presentano con due piccoli copricurva ai lati, uno con lo scudetto della Sampdoria e l’altro con uno scudo recante la croce di San Giorgio, simbolo di Genova. Tantissime bandiere blucerchiate che offrono un colpo d’occhio davvero sontuoso. A differenza dei loro dirimpettai, liberi da qualsiasi zavorra psicologica, saranno autori di un tifo davvero molto bello. Non dico potente o da epica del mondo ultras, ma sicuramente molto continuo e molto vario nei cori, accompagnato da una serie infinita di battimani e dall’infinito sventolio delle bandiere.

Se c’è una cosa che risalta nella prestazione dei liguri è l’evidente divertimento che trasuda dai loro cori, totalmente disinteressati da quanto avviene sul terreno di gioco. Tifano esclusivamente per se stessi, per la propria maglia e per i propri valori. Ad un certo punto, in assenza di stimoli da parte dei loro calciatori, si lasciano andare ad una serie di esultanze sfrenate come se avesse segnato la Samp. Altro momento particolarmente apprezzabile è quando si abbassano tutti nel loro settore per un coro, saltando in aria e esplodendo nel ritornello. Veramente, veramente bella la loro prestazione. Poco da dire, anzi, dovendo muovere obiezioni vanno direzionate alla squadra che, dopo una stagione senza arte né parte e una gara da spettatrice non paganti, avrebbe potuto e dovuto ringraziare chi il biglietto l’ha pagato e li ha persino sostenuti con (per loro) immeritata generosità. Un timido applauso da distanza siderale, poi tutti verso gli spogliatoi. Nessuno si sogna nemmeno lontanamente di omaggiare i presenti con il classico lancio di casacca di fine campionato, ci pensa un ragazzo che entra in campo per prendersene una, ottenendola persino, ma a giudicare dal numero di steward che l’hanno poi accerchiato e portato via è facilmente ipotizzabile che il costo di quella maglia risulterà molto elevato.

Tornando sul tifo dei padroni di casa, come detto appare molto contratto e condizionato dall’interesse che la partita giocoforza riveste. Intendiamoci, non stiamo parlando di una prova indecorosa: c’è ottima presenza numerica, battimani perfetti, c’è tanto colore, garantito dalle sciarpe che colorano il cielo e dalle bandiere che sventolano con buona costanza, tra le quali due in particolare attirano l’attenzione: una raffigurante Savonarola e l’altra con il volto di Federico Aldrovandi, a cui anche gli ospiti dedicano uno striscione ad inizio secondo tempo. C’è anche continuità nei cori e il settore non resta praticamente mai silente, ma manca quella potenza che in un paio di circostanze si sprigiona e che, amplificata dalla copertura, se avesse trovato ulteriori repliche, avrebbe reso la prestazione e la giornata di una bellezza clamorosa. Da menzionare, infine, uno striscione di sincero ringraziamento per Schiavon e Lazzari, due degli storici protagonisti dell’epopea spallina in campo, verosimilmente destinati a lasciare Ferrara nel prossimo futuro. Per restare in tema, invece, pesanti cori verso Borriello, dai più giudicato inutile se non addirittura pericoloso per un ambiente che nella sua granitica compattezza ha costruito e rincorso i suoi obiettivi.

Chiosando dunque con i protagonisti in campo, la gara si incanala immediatamente sui giusti binari: al primo affondo l’arbitro ravvisa un fallo di mano in area e concede un calcio di rigore generoso che bomber Antenucci segna con freddezza. Con immutata concentrazione la squadra di mister Semplici affronta il resto della gara, al cospetto di una Samp che onestamente non sembra voler guastare la festa agli emiliani. Alla mezz’ora viene espulso (anche in questo caso forse un po’ troppo frettolosamente) Caprari fra le fila ospiti e la partita appare ormai segnata. Si deve aspettare poi la ripresa perché accada altro, con i goal di Grassi e ancora di Antenucci a mettere il risultato in cassaforte, mentre la Samp trova il goal della bandiera al ventesimo del secondo tempo. Anche se le notizie che arrivano da Napoli-Crotone mettono un ulteriore sigillo al verdetto, i restanti minuti si trascinano in una lunga e impaziente attesa del fischio finale che poi finalmente arriva.

La Spal è salva e una liberatoria esultanza si leva dal “Mazza”, poi incanalata in maniera un po’ troppo coatta all’interno di una passerella con dichiarazioni dei vari protagonisti che si prolunga più del dovuto rispetto ai miei piani, impedendomi di poter assistere alla festa vera, quella spontanea della gente che si riverserà per le vie del centro e che devo accontentarmi di guardare dalle immagini di Simone. Lo saluto, saluto Ferrara, ben felice di poterla ritrovare in Serie A al mio ritorno. Lo merita.

Testo di Matteo Falcone.
Foto e video di Matteo Falcone e Simone Meloni.