Che poi queste sono un po’ le mie partite. Quelle senza preavviso. Quelle da cui non ti aspetti nulla e che proprio per questo finiscono con il soddisfarti. Con il vento in poppa e il sole alto nel cielo non posso che scegliere la bicicletta come mezzo per attraversare Roma da un versante e l’altro. Destinazione Monteverde, storico e popoloso quartiere. Dalla stazione di Quattro Venti tagliando per Via Fonteiana prima e Via di Donna Olimpia poi. Arterie cariche di storie e vita vissuta. C’è un bel pezzo della Roma pasoliniana qua. I “Ragazzi di vita” che vi giravano sono forse scomparsi ma nitida è rimasta la loro eco, magistralmente narrata da un maestro del genere.

È là che il Trastevere disputa le sue partite interne, nel rinato stadio Bachelet che, dopo i lavori di ristrutturazione, ha mutato il suo nome in un asettico Trastevere stadium. Devo ammettere che l’impianto è stato rifatto davvero nei minimi dettagli, con la bella e ampia tribuna attaccata al terreno di gioco e tutti i servizi necessari a fare del campo un vero e proprio gioiellino, incastonato tra i palazzi e il bellissimo parco urbano di Villa Doria Pamphilij.

È la dimora ideale per un club storico. Ebbene sì, nella regione che ormai sforna in continuazione sodalizi dai nomi strampalati, dalla genesi bizzarra e dal destino ancor più discutibile (basti pensare all’esistenza di due Racing Roma, una in Lega Pro e l’altro in Eccellenza e a tutto quello che si è sviluppato dietro il prefisso “Lupa” in questi anni. E pensare che lo stesso in origine faceva da preludio allo storico club di Frascati…) ogni tanto riesce ad avere spazio anche la tradizione. Che in questo caso affonda le radici fino al 1909, anno di fondazione di una squadra che può vantare un nome suggestivo, in grado di riempire il cuore di ogni buon romano.

Perché se oggi Trastevere significa movida e giovani in giro a tutte le ore nelle sue strette e allegre strade, per il popolo capitolino è un qualcosa di più. Vorrei dire che è “il Rione per eccellenza” ma cadrei in un tranello imperdonabile: sarebbe difficile poi spiegare a quelli di Borgo e Regola, o a quelli di Colonna e Monti che è così. Ed avrebbero ragione, perché a Roma ogni rione ha la sua storia, i suoi personaggi e le sue leggende tramandate. Elementi che se solo avessimo voluto valorizzare e mettere su un piedistallo, invece di venderci al soldo del becero turismo e del consumismo più dannoso, oggi ci ritornerebbero indietro sotto forma di ricchezza culturale.

Insomma, questo rione che si affaccia sul fiume (Trans Tiberim, letteralmente “al di là del Tevere” a rimarcare il suo sviluppo dalla parte opposta del fiume rispetto a dove Roma si è inizialmente espansa) trattiene ancora in sé un fascino difficile da descrivere se non si è del luogo o non lo si è mai visitato per una volta. Si fa fatica, ad esempio, ad immaginare che qua sorgeva l’antico Porto di Ripetta, lo scalo fluviale che per secoli ha reso la zona un viavai di marinai e viandanti.

Ma Trastevere è anche il rione delle trasteverine, le donne bramate in tutta la città (“io so trasteverina e lo sapete, nun serve bello mio che ce rugate, nun serve bello mio che ce rugate so cortellate quante ne volete” dice un celebre stornello di Gabriella Ferri) e dei trasteverini, gente notoriamente “fumantina”. Basti pensare a personaggi come Romeo Ottaviani, detto Er Tinèa e passato alla storia nel rione per essere “er più” dei bulli, quando questa parola tuttavia non aveva completamente l’accezione negativa che le riserviamo oggi. Ottaviani infatti si rese celebre per alcune intemperanze volte a difendere persone più deboli da altri bulli di Roma e celebri restano le scorribande tra le vere e proprie bande rionali: monticiani contro trasteverini, regolanti contro borghigiani e via dicendo. Il tutto si svolgeva spesso con il largo utilizzo di coltelli. Tanto che fu proprio un’arma bianca ad uccidere Er Tinéa nel 1910.

La piccola immersione storica è necessaria per contestualizzare al meglio il discorso. La squadra di calcio dell’omonimo rione è scomparsa dai radar per quasi 15 anni. 2002 è la stagione in cui il calcio trasteverino conosce il suo punto più basso. La storica S.m.i.t. Trastevere (acronimo di Santa Maria in Trastevere,  la chiesa più importante del rione) – figlia del club nato nel 1909 e fusosi successivamente con la rifondata Alba, una delle società “madri” dell’A.S. Roma e arrivata addirittura nella Serie B Bassitalia a fine anni ’40 – cessa la propria attività per problemi economici. Bisognerà attendere esattamente dieci anni per veder risorgere il club – sotto la guida del presidente Betturri –  e un altro lustro per vederlo salire agli onori delle cronache grazie alla promozione in Serie D e al campionato di vertice disputato sinora.

Un torneo che vede i romani al comando, proprio nell’anno che avrebbe dovuto consacrare il tecnico Sergio Pirozzi al gradino più alto del calcio dilettantistico. Pirozzi – come qualcuno ricorderà – è contemporaneamente anche il sindaco di Amatrice e – per ovvie ragioni – attualmente ha sospeso i propri impegni sportivi. Tuttavia i suoi ragazzi stanno marciando a ritmo serrato in un girone tosto che – fra le altre cose – vede la presenza di marchi storici come la Nocerina e il Bisceglie. Sono loro le rivali per la promozione e questa gara viene giocata in recupero, dopo che quella programmata qualche domenica fa è slittata per permettere ai pugliesi di recuperare un giocatore impegnato al Torneo di Viareggio.

Con mia sorpresa noto subito un discreto assembramento alle entrate. I “fiori trasteverini” hanno evidentemente deciso di riporre tutta la loro fiducia nella squadra, malgrado il giorno lavorativo e l’infimo orario (calcio d’inizio alle 15).

Sugli ospiti – devo ammetterlo – non avevo grandi aspettative, benché mi trovassi al loro cospetto per la prima volta. Giustificavo a priori una loro presenza risicata. E invece hanno saputo sorprendermi con “effetti speciali”. Sia nella presenza che nel tifo.

Quindi tutto il contrario di tutto. Non ho neanche il tempo di ragionarci su tanta è la fretta di sbrigare le solite pratiche burocratiche prima di entrare in campo. Le gradinate offrono un ottimo colpo d’occhio e su ambo i fronti le tifoserie organizzate fanno rimbombare i propri tamburi. Questo mezzo è chiaramente tornato di moda e persino una città come Roma – negli ultimi anni restia, spesso ottusamente, al suo utilizzo – ha piano piano ricominciato a conoscere la sua utilità per coordinare il tifo.

In campo la sfida è vera: accesa, dura, combattuta. Non si risparmiano colpi proibiti. Al fischio d’inizio il Bisceglie è distante solo cinque punti dagli avversari e un successo riaprirebbe definitivamente la lotta promozione. È anche per questo che i supporter pugliesi non si danno per vinti e sostengono i propri giocatori praticamente senza sosta. Volendo fare i puntigliosi, una delle poche cose da imputargli è la disposizione sulle gradinate: forse un po’ troppo larghi e dispersivi. Ma per il resto la performance è ottima. Tra cori a rispondere, manate e sbandierate. La prima linea è visibilmente composta da gente che ha un suo passato e conosce menadito la storia degli ultras nerazzurri, avendo probabilmente contribuito a scriverla.

Nessuno me ne voglia, ma la differenza che intercorre tra tifoserie come quella del Bisceglie e molti di questi gruppi alfieri del “calcio popolare” è proprio questa: i nerazzurri hanno un loro trascorso, una storia fatta di trasferte, presenze e gruppi che si sono avvicendati in gradinata. Il tutto mosso dall’attaccamento alla propria città e alla propria squadra di calcio grazie alla quale si può esprimere il vanto di esser biscegliesi anche oltre i confini cittadini.

Non dico che per i ragazzi fautori del “calcio popolare” a Roma non sia così, ma la diaspora dalle curve di Roma e Lazio ha sicuramente favorito la nascita di gruppi e gruppuscoli in cui spesso confluiscono anche elementi esterni rispetto alla vera e propria rappresentanza territoriale. Certo, innanzitutto si è romani e quindi – soprattutto in un campionato nazionale come la Serie D – il gonfalone da difendere è quello della Capitale. E se vogliamo parlare di tifo, nel senso stretto del termine, i ragazzi appostati dietro lo striscione Rione XIII Ultras hanno ben poco da rimproverarsi quest’oggi.

Ma poi abbiamo chiarito esattamente cosa sia questo calcio popolare? Per me il calcio è popolare a prescindere, riuscendo a convogliare persone di ogni sesso, età ed estrazione sociale sulle stesse gradinate. Sono altre dinamiche che lo hanno reso impopolare ad alti livelli.

Va sottolineato comunque come anche in questo contesto lo schieramento di polizia e agenti in borghese sia massiccio quanto – forse – sproporzionato per una partita che, seppur importante, non conta più di mille spettatori. Ma a Roma ormai ci siamo abituati.

Una volta tanto riesco anche a gustarmi la gara. Se – come detto – la contesa è maschia e accesa, l’1-2 del biscegliese Lattanzio fa letteralmente esplodere il settore ospiti. A nulla serve il rigore di Tajarol, i pugliesi si impongono mettendo il fiato sul collo dei romani. Il finale è incandescente: scaramucce tra giocatori e qualche intemperanza anche da parte del pubblico di casa nei confronti dei giocatori ospiti. Tuttavia ciò che nel calcio di qualche anno fa sarebbe stato archiviato con una multa e poco sensazionalismo, viene tramutato addirittura in due giornate di squalifica al campo del Trastevere oltre a una sanzione di 2.500 Euro per il club.

L’ultima immagine comunque resta quella dei festeggiamenti tra tifosi e giocatori del Bisceglie. Saltano, si abbracciano e cantano insieme.

Fuori dallo stadio la folla si sta diradando. I vigili urbani fanno fatica a regolare il traffico mentre la mia bicicletta sfreccia nuovamente in Via di Donna Olimpia. Pasolini sarebbe stato spettatore fisso ed entusiasta in questo genere di eventi.

Simone Meloni