L’evento più nefasto di questo fine settimana è senza dubbio quello accaduto a Torino, nella principale Piazza San Carlo. Il calcio, o il tifo se vogliamo, è solo una parte del tutto, ma la questione è un po’ più complessa, esonderebbe persino nella sociologia e nella psicologia di massa, per cui dovrebbero essere persone più accreditate a parlarne, senza ridurla al solito chiacchiericcio idiota da bar.

Durante la finale di Champions League poi persa con un secco 4-1 dalla Juventus, a Torino è stato disposto un maxischermo per seguire collettivamente la gara. Un rito consolidato in caso di grandi eventi mediatici che addirittura, quando riguarda la Juventus, trova realizzazione non solo nella città in cui ha sede sociale la squadra bianconera, ma sull’intero suolo italico, da Nord a Sud, visto che la Juve raccoglie un sacco di simpatizzanti lungo tutto lo Stivale.

In buona sostanza, e per farla breve, ad un certo punto, qualche minuto dopo che il Real aveva segnato il goal del 3-1, si è diffuso improvviso ed incontrollato il panico fra la folla, che ha cominciato a correre all’impazzata credendo ad un attentato. L’eccitazione nervosa della folla, la ressa, la presenza sul selciato di tantissime bottiglie vuote, ha causato la caduta di tante persone, che a loro volta ne hanno fatto cadere altre o ne sono finite schiacciate dalla “mandria” umana in fuga.

Secondo i dati forniti dalla prefettura, alla fine sono stati registrati 1.527 feriti per la maggior parte in codice verde, quindi con ferite non gravi, per lo più tagli, escoriazioni, contusioni riconducibili appunto all’ampia presenza di bottiglie per terra. Tre le persone ricoverate con codice rosso, quindi in condizioni gravi, tra cui un bambino di sette anni, che per qualche altro giornale sono 4 anni, elemento che ovviamente ha dato il la al solito modo enfatico e emozionale di dare le notizie che andrebbe fortemente censurato dall’Ordine dei Giornalisti, visto che i direttori di testata non se ne preoccupano, se portano qualche click in più.

Non si capisce bene la causa scatenante di questo delirio. C’è chi sostiene sia riconducibile ad una bomba carta, chi più prudentemente ad un semplice petardo, mentre diverse altre persone – secondo una delle poche ricostruzioni giornalisticamente ineccepibili ed equlibrata apparsa su “Il Post” – hanno semplicemente sentito urlare “Bomba!” ma senza udire alcuna deflagrazione effettiva. Tra le ipotesi, si pensa anche che abbia potuto trarre in inganno il rumore e i movimenti della folla successivi alla caduta di alcune transenne.

La Procura di Torino ha aperto in merito un’inchiesta per procurato allarme. Nel frattempo, cavalcato anche da taluni giornalacci, è partito il solito e preventivo processo popolare che ha eletto a “folk devil” un ragazzo a torso nudo con uno zainetto, giudicandolo già colpevole quando ancora gli inquirenti brancolano alla ricerca di elementi davvero probanti. Mentre la giustizia ordinaria muove i suoi primi passi, secondo le accuse del Tribunale di Internet, il ragazzo sarebbe colpevole oltre ogni ragionevole dubbio perché, dopo che è scattato incomprensibilmente il panico e tutti hanno cominciato a correre e fare il vuoto, lui è rimasto fermo al centro “in inequivocabile posa da kamikaze”. Potrebbe altrettanto verosimilmente essere uno che non ha ceduto al panico e con i palmi delle mani verso il basso, invitava semplicemente la gente alla calma. Come fa anche un altro ragazzo ai bordi. D’altronde portava anche una sciarpa della Juve al collo, non aveva di certo una bandiera nera del Califfato e almeno l’identificazione visiva non lo ricollega immediatamente e emotivamente a un membro dell’Isis. Non per niente, mentre davanti a lui c’è il vuoto, dietro invece c’è gente che non si cura particolarmente di lui, a parte una ragazza che lo tira via forse per esortarlo ad abbandonare il luogo. Potrebbe esser stato lui a dare il presunto allarme bomba, oppure no, ma la democrazia del web ha espresso il suo verdetto…

Raggiunto ed interrogato dalla Procura, è stato però rilasciato senza alcuna accusa ed ora come ora la sua posizione è quella di un semplice testimone dei fatti. Il Tribunale di Internet griderà al complotto, ma prima di mandare una persona al patibolo è forse meglio appurare con serenità i fatti. A proposito di complotto, o di polemiche persino politiche se vogliamo, forti sono state le critiche al Sindaco di Torino (Chiara Appendino, Movimento 5 Stelle) che ha permesso l’allestimento del maxi-schermo e, più che altro, ha tollerato la presenza di venditori abusivi di bibite che hanno contribuito a creare il tappeto di bottiglie, fra le cause principali dell’elevato numero di feriti. Ovviamente le critiche di scarsa vigilanza non possono essere direttamente addebitate al sindaco, ma è nell’intera catena della gestione dell’ordine pubblico (Comune-Prefettura-Forze dell’ordine) che va ricercata la mancanza.

La Appendino, da parte sua, ha fatto sapere che la gestione dell’evento è stata ceduta alla società “Turismo Torino” che:

ha operato con le medesime modalità messe in atto nel 2015 in occasione della finale proiettata il 6 giugno. Anche in quel caso la Città, con propria delibera, aveva incaricato Turismo Torino quale soggetto organizzatore e non era stato approvato alcun provvedimento di ulteriore limitazione nella vendita di vetro e metallo, oltre a ciò che è previsto dall’art. 8 bis del Regolamento di Polizia Urbana.
È stato inoltre predisposto dalle forze dell’ordine un servizio di controllo degli accessi e presidio delle vie di fuga.

Nelle ore immediatamente successive ai fatti, un altro esponente dello stesso partito, il senatore Airola, aveva denunciato come farlocchi i numeri dei feriti, montati ad arte solo per screditare il lavoro della Appendino e della sua giunta, salvo poi ritrattare nelle ore successive e scusarsi delle sue parole, esprimendo altresì solidarietà ai feriti.

Le polemiche più assurde e grottesche, sono però quelle che è stata capace di fare “Repubblica.it” secondo la quale, attraverso una testimonianza di un sedicente “ex ultrà, che vuole restare nell’anonimato”:

«Alcune ore prima del fischio d’inizio la piazza è stata invasa dai venditori di birre abusivi, con le bottiglie di vetro», racconta un tifoso che era in piazza e conosce bene le dinamiche di curva.

Un peso in questa scelta potrebbe averlo avuto la presenza, piuttosto numerosa, di ultrà bianconeri che non erano a Cardiff, ma avevano deciso di restare in città: «Hanno conquistato di prepotenza la guida del tifo, si sono installati sotto il maxi schermo e avevano di tutto, fumogeni, petardi ed erano loro a decidere cosa fare». Più di un centinaio di ultrà, diffidati dalla questura di Torino si sarebbero trovati in piazza San Carlo, denuncia il tifoso: «La gestione dell’ordine pubblico era sfuggita di mano già un’ora e mezza prima della partita. Non si capiva chi controllava chi — racconta — Prima hanno fatto entrare i venditori abusivi, mentre dopo i disordini le forze dell’ordine, in particolare la polizia municipale, bloccavano l’accesso alla gente che voleva cercare i parenti feriti».

Una ricostruzione dei fatti che fa veramente a cazzotti con il buon senso, con la logica e con le più basilari norme professionali e deontologiche del giornalismo. Hanno verificato l’attendibilità di questo presunto “ex ultrà”? Se fossero stati “un centinaio di ultrà diffidati”, come si sostiene, non avrebbero dovuto invece andare come minimo due volte in caserma a firmare? Non sarebbe stato per loro impossibile presenziare stabilmente in piazza? E proprio in virtù della diffida, in caso di qualsivoglia inconveniente, non avrebbero rischiato ulteriori aggravi temporali della stessa? Ma erano davvero ultras o mitomani che si atteggiavano a ultras? Basta indossare una maglia di uno dei tanti gruppi juventini, facilmente acquistabile su internet o la domenica allo stadio, per fare di chicchessia un ultras? Oppure basta accendere un fumogeno o un petardo per renderlo tale? Le colpe singole possono essere addebitate collettivamente ad un intero movimento, tra l’altro diversissimo al suo interno?

Ci sarebbero mille interrogativi che si potrebbero porre e che dovevano porre le giornaliste in questione a questo spacciatore di facili sensazionalismi, prima di farsi a loro volta amplificatori di una versione veramente parziale e pregiudiziale oltre che lacunosa. È da anni che l’Ordine dei Giornalisti preme per un approccio etico nel modo di raccontare notizie, promuove Carte e codici, cerca in tutti i modi di instillare professionalità e deontologia ad una categoria spesso svilita nella sua essenza da logiche editoriali discutibilissime.

LE NOTIZIE VANNO INCENTRATE SUI FATTI E NON SULLE EMOZIONI solo per carpire morbose attenzioni dei lettori. Questa assurda storia di Torino che è andata molto vicino a diventare una tragedia, se insegna qualcosa è che bisogna smettere di far sensazionalismo, di giocare sui nervi scoperti della gente, di farla ammalare di terrore, sennò poi basta che il primo cretino in una folla gridi “Bomba” o “Allah Akbar!” per continuare ad andarci ancora e ancora vicino fino a quando qualche tragedia non si consumerà davvero.

È evidente che qualcosa non ha funzionato, che ci sono delle responsabilità individuali o persino collettive, ma vanno cercate nelle istituzioni e non in un movimento di persone che, non può diventare alibi e nemmeno paravento. Qualsiasi cosa succeda in Italia, ormai, è colpa sempre degli ultras.