Nessuno è intenzionato a giustificare gli episodi di violenza. Ciò sia ben chiaro. Ma non farlo significa anche uscire fuori dalla retorica delle notizie massive e acchiappa click, oltre che da quello squallido e becero costrutto che abbraccia, almeno per la stampa main stream, tutto il mondo del tifo. Da punire, vietare e stigmatizzare a priori.

Il fatto: prima della partita tra Avellino e Verona la macchina con a bordo il presidente degli scaligeri Setti e il direttore sportivo Luca Toni transita a pochi passi dallo stadio venendo colpita da alcuni oggetti che provocano la rottura del vetro posteriore. La sciarpa gialloblu indossata dal presidente Setti (che in seguito dichiarerà essere della propria azienda e non della squadra di calcio) è il fattore scatenante. Un qualcosa di deprecabile, ovviamente. Ma un episodio che, giocoforza, mette in evidenza una qualche falla nel dispositivo di sicurezza messo a punto per una gara ritenuta fortemente a rischio, tanto da richiedere un massiccio impiego di uomini e mezzi delle forze dell’ordine (e infatti tra le due tifoserie non succederà nulla). La notizia fa subito il giro di radio e televisioni, calcando soprattutto l’onda emozionale provocata dagli elementi coinvolti.

La prima conseguenza è l’emblema di quanto al sistema Italia piaccia rispondere a questo genere di criticità con reazioni omnipunitive, in grado di colpire proprio quell’aspetto che andrebbe incentivato per scaricare la tensione altrove: la passione e il folklore. Ai supporter avellinesi viene negato l’ingresso dello striscione, del megafono e del tamburo. E qua già viene da porsi la prima domanda: qual è il nesso? Se l’episodio si è svolto al di fuori dello stadio e ancora non si sa nemmeno se i colpevoli siano appartenenti o meno al tifo organizzato, perché punire un settore intero impedendogli il pacifico spettacolo del tifo? Inoltre, come si ricorda ormai spesso, la responsabilità dovrebbe essere un qualcosa di individuale, quindi perché colpire indiscriminatamente nel mucchio? Una domanda che vale anche per i provvedimenti in arrivo. Se infatti oggi si parla di 5-7 Daspo che verranno comminati ai danni dei colpevoli a ciò si aggiunge anche il probabile divieto per la trasferta di Cittadella. Cioè che sfugge alla logica, da ormai quasi tre lustri, è il meccanismo punitivo/scolastico che le istituzioni e gli Osservatori di turno sono soliti prendere.

Il tutto è ovviamente foraggiato dall’isteria collettiva che ne incentiva la diffusione, giustificandone qualsiasi abuso e idiozia operativa. Testate e quotidiani nazionali ne parlano (giustamente, sia chiaro, almeno quando viene fatto in maniera professionale) riducendo però il tutto al solito processo pubblico che invoca pene maggiori nei confronti dei violenti. Come se nessuno sapesse che l’Italia è uno dei Paesi con più leggi e decreti che riguardano la sicurezza durante le manifestazioni sportive. Ciò che spesso interessa è la “punizione” e non l’accaduto: alle folte e ineffabili platee di “giudici” non interessa realmente che si debelli la violenza negli stadi (peraltro ormai davvero rara e in calo diametralmente opposto rispetto a ciò che i media tentano di far passare, per giustificare ogni forma di repressione), ma a loro cuore sta innanzitutto la canonica moralizzazione attorno alle folle. La stessa che ha portato a ritenere corrette sentenze in grado di mandare in carcere ragazzi per l’accensione di un fumogeno, o interdire dagli stadi un tifoso per aver lanciato in campo un rotolo di carta igienica e aver realizzato una coreografia senza autorizzazione.

Permettetemi di dire ciò: il dovere della polizia è evitare che si compiano atti delittuosi e tutelare i cittadini (e nella fattispecie questo è riuscito in parte), ovviamente ciò non è sempre né facile né scontato. Tuttavia, soprattutto nell’ambito dello stadio, la stessa ha i mezzi per agire anche successivamente (e quasi sempre lo fa, infatti – ditemi voi – quale tifoseria, resasi protagonista di escandescenze, non è stata punita negli ultimi anni?).

Questo dovrebbe essere il normale svolgimento delle cose. Sappiamo però che oggigiorno non basta. Si deve costantemente dare l’impressione di aver tutto sotto controllo, almeno negli ambienti che l’opinione pubblica “attenziona” con più frequenza. Quindi non basta far pagare le proprie colpe con le modalità previste, ma bisogna metterci il carico e colpire più persone possibili. Innanzitutto pugnalando al cuore la tifoseria che si è resa protagonista di tumulti (in maniera tale da far dire ai semplici tifosi: “Hai visto? Quelli della curva sono sempre i soliti, per colpa della loro idiozia non possiamo seguire la squadra in trasferta”) e poi demonizzando a mezzo stampa. Poco importa se tra qualche anno (dopo che i protagonisti avranno almeno scontato le proprie diffide) si dimostrerà che qualcuno di loro non era coinvolto nei fatti. Così come è molto “furbo” il modo di fare di alcune testate che oggi, parlando delle diffide in arrivo, non menzionano le relative denunce penali che ci saranno, facendo maturare nella mente del lettore medio il fatto che un comportamento delittuoso, registratosi nei pressi di uno stadio italiano, comporti solo una sanzione amministrativa.

Niente di più inesatto: chi ha sbagliato pagherà le proprie colpe fino all’ultimo giorno e fino all’ultimo centesimo. Di questo ne potete stare certi. Che poi se il tutto non venisse enfatizzato (e soprattutto venisse appurato prima di far scontare quella che è una vera e propria pena come il Daspo) con una chiara malafede, rientrerebbe anche nella normalità delle cose. L’Italia è quel Paese così contraddittorio da costringere i propri cittadini a pagare i debiti di una banca fallita per sue colpe, accettare, senza poter controbattere, leggi emanate con il chiaro intento di salvare le terga di qualche sommo politico e vedere il costante disinteresse di fronte a piaghe sociali come la disoccupazione o lo sfruttamento nei posti di lavoro. Ma guai, e ripeto guai, a non usare la il pugno duro della legge con chi frequenta gli stadi.

Un peccato dover lasciare il focus di questa sfida a tutto ciò. Ma inevitabile se si vuol fare una corretta descrizione della giornata. Avellino-Verona, come molte delle sfide di questa Serie B 16/17, è una partita pregna di storia. Viene in mente innanzitutto la stagione 1984/1985: quella dell’Hellas campione. In quell’annata magica la squadra di Bagnoli venne sconfitta in trasferta una volta soltanto. Sapete dove? Proprio in Irpinia, nel girone di andata. Un girone dopo la gara del Bentegodi sarà quella dei festeggiamenti, dell’apoteosi per una città ancora incredula di fronte alla realizzazione di quello che solo nove mesi prima sembrava un sogno lontano e irraggiungibile.

C’è grande attesa in città, anche per il rinverdirsi di una delle rivalità classiche per il calcio italiano. I biglietti venduti a Verona sono 318, una presenza tutto sommato buona. Come sempre i veneti dispongono maniacalmente le loro pezze, non lasciando nemmeno un centimetro di rete scoperta e dando così un bel colpo d’occhio del proprio settore. Il numero buono ma non eccessivo, a mio modo di vedere, li aiuta parecchio nel tifo. Sebbene spesso pecchino di intensità, il sostegno per i novanta minuti è continuo e contraddistinto dai classici cori che ormai riecheggiano da sempre quando c’è l’Hellas in campo. Diversi gli insulti scambiati con i dirimpettai, mentre è da segnalare la classica goliardata di un tifoso gialloblu che si presenta al Partenio in accappatoio e ciabatte. Non so se è lo stesso che questa estate ha affrontato la trasferta di Salerno (41 gradi) con la tuta da sci. Tuttavia merita sicuramente menzione oltre a un complimento: quello di aver portato un po’ di ironia in un mondo, quello del calcio e della gestione dei tifosi, caratterizzato troppo spesso da un’ottusa serietà.

Su fronte casalingo, come detto in precedenza, la Sud non può disporre dello striscione, ma soprattutto del tamburo e dei megafoni. Un qualcosa di penalizzante che il contingente ultras avellinese prova ad attenuare trasferendosi in buon numero nella parte inferiore. Sinceramente è difficile dare un giudizio complessivo. Da queste parti sono sempre stato abituato a vedere ottimi spettacoli di tifo e la prova di oggi, fatta di belle manate, bei cori a rispondere, ma priva di colore (bandieroni tenuti in basso per la difficoltà oggettiva nello sventolarli nell’anello inferiore) e del coinvolgimento del pubblico “normale” è senza dubbio al di sotto della media. Benché i presenti cantino per tutta la gara. Tuttavia, ripeto, il giudizio è fortemente influenzato da quanto accaduto agli ingressi e dall'”alterazione” della normalità per la Curva Sud.

In campo finisce 2-0 per i Lupi. Un successo che manda in visibilio i tifosi biancoverdi e “regala” a quelli veronesi l’ennesima sconfitta esterna del campionato.

Simone Meloni