Il fascino che squadre come Cesena, Catanzaro, Pisa, Ascoli e Avellino esercitano nei miei confronti è facilmente spiegabile con la storiografia di queste compagini. Sodalizi ben radicati nel costume dell’italico calcio grazie alla loro lunga permanenza nella Serie A tra gli anni ’80 e ’90. Campionati a me giunti, prima della televisione e dei video YouTube, grazie ai racconti di mio padre e a qualche vetusto album Panini di mio zio. Colori, magliette e simboli che mi si sono subito stampati nella mente, quasi guardati con nostalgia quando iniziai a seguire il pallone a metà degli anni ’90. Un periodo buio per quasi tutte le squadre sopracitate, che uscivano da un doppio decennio di soddisfazioni per affrontare spesso campionati fallimentari, oscillando senza problemi anche tra la C2 e la D.

Non è una caso quindi che appena ho avuto l’opportunità, mi sono fiondato nei templi di queste società, i loro stadi. Impregnati di storia e vecchi aneddoti. Come lo erano le cronache di 90esimo minuto tanti anni fa. Non certo assimilabili ai troiai che ora contraddistinguono palesemente i programmi sportivi griffati Rai.

E a Cesena allora si va. Dopo la tappa intermedia pomeridiana effettuata al Romeo Neri di Rimini, per l’incontro tra i locali e il Piacenza, posso raggiungere il Dino Manuzzi. Appena venti minuti di treno e sono a destinazione. Il buio sta calando sulla cittadina romagnola, così le luci dello stadio sono ben visibili già dalla stazione. Mi incammino e non posso far a meno di notare decine di tifosi fermi a diversi chioschetti che vendono piadine e cassoni. Molto caratteristico e perfettamente in sintonia con l’aria di paese cantata nella celebre Romagna e Sangiovese. Rimango sempre colpito dalla tranquillità e dal buonumore con cui la gente di queste latitudini approccia la vita. Così come sull’altro versante, quello Emiliano, ammiro la posatezza e la signorilità nel porsi. Guai a dare dell’emiliano a un romagnolo e viceversa. Inutile dire che ciò, a livello antropologico, mi fa letteralmente impazzire. Eppure sono due mondi diversi, nonostante geopoliticamente uniti. Diversi ma ugualmente interessanti e belli. Almeno per chi li vede da fuori.

Per i bianconeri si tratta di una partita importante, e la grande calca presente all’esterno dello stadio preannuncia che se stasera non c’è il tutto esaurito poco ci manca. Discorso diverso per i tifosi ospiti. I romanisti sono reduci dalla cocente delusione di Europa League patita in casa contro la Fiorentina. Una sconfitta pesante che ha definitivamente rotto gli indugi e dato il là alla contestazione dei tifosi capitolini. I biglietti andati via in prevendita sono pertanto un migliaio, poco se si pensa  ai numeri standard su cui viaggia la tifoseria romana.

Una volta ritirato l’accredito e incontrato l’immortale e indomabile Giangiu, posso fare il mio ingresso al Manuzzi. La sensazione avvertita dall’esterno è più che corretta, lo stadio presenta davvero un bel colpo d’occhio. Gli occhi vanno subito verso il settore ospiti e la Curva Mare. Nel primo i numeri pronosticati sono pressochè corretti, con le solite pezze e i soliti stendardi che ovunque seguono la Roma. Nel cuore del tifo cesenate spicca la presenza, nell’anello inferiore, degli ultras dell’Osasuna, gli Indar Gorri, il cui striscione è messo esattamente su quello dei Viking. A pochi metri da segnalare anche le pezze dei ragazzi di Bellaria. Nella parte alta invece ci sono le classiche sigle delle WSB e degli Sconvolts. Impossibile non notare come dentro lo stadio spicchino striscioni che rappresentano diverse città e paesini della Romagna. E’ chiaro che il Cesena, con la sua buona tradizione calcistica, ha fatto breccia in molti cuori romagnoli. Un fattore che da queste parti, stritolate da Milan, Juve ed Inter, rappresenta un vero e proprio privilegio. Da segnalare inoltre la presenza di almeno un tamburo, vera e propria mosca bianca ormai negli stadi italiani.

Le due squadre scendono in campo e gli ultras bianconeri si producono nella classica sciarpata sulle note, per l’appunto, di Romagna e Sangiovese, accendendo numerose torce. Un bell’effetto, soprattutto per il grigiore cui ci ha abituato la Serie A. Dall’altra parte non c’è nulla a livello pirotecnico, tuttavia dopo aver ricordato all’undici di Garcia che la serataccia di coppa è tutt’altro che dimenticata, i romanisti cominciano a tifare e, sfruttando l’esiguo fattore numerico, la compattezza non verrà quasi mai meno. Molto buoni i battimani ed alcuni cori tenuti a lungo. I decibel si alzano dopo il vantaggio siglato da De Rossi. Un gol che sa di liberazione per il centrocampista della Nazionale, con un’esultanza che però non soddisfa al massimo i tifosi giunti da Roma. Quella gioia spalle alla curva, quella corsa ad abbracciarsi tutti assieme e quelle dichiarazioni di Nainggolan nel finale (“da oggi siamo soli contro tutti”), dimostrano quanto questi esseri capiscano davvero poco il privilegio che hanno, facendo persino i superiori e gli offesi se qualcuno prova a contestare il loro lavoro.

La Curva Mare mette in mostra un primo tempo davvero di buon livello. I cori partono sempre dall’anello superiore, quello delle WSB, per poi espandersi spesso anche nella parte inferiore. Diversi i bandieroni sventolati costantemente, come numerose sono le offese scambiate con i dirimpettai. Nella ripresa, forse complice anche il risultato, calano leggermente per poi riprendersi nell’ultimo quarto d’ora, quando anche la seconda sciarpata, stavolta su Romagna Mia, prende forma. Al triplice fischio la squadra viene ovviamente applaudita. Va ricordato infatti che il Cesena, dopo un avvio tragico, negli ultimi mesi si è rimesso in carreggiata recuperando diversi punti e tornando a sperare di conquistare la salvezza. Da sottolineare anche la presenza degli storici gemellati mantovani e bresciani.

Terminato l’incontro, restiamo qualche minuto a parlare per poi prendere le nostre strade. Molto più lunga la mia, che vedrò casa solamente alle 4 del mattino. Stanco e assonnato ma con la solita sacca di esperienze e racconti da poter incamerare con gioia. Mi accontento di poco nella vita.

Simone Meloni