Avevo già preparato l’itinerario, avevo già gli accrediti pronti e mi ero già fatto un piano per fare avanti e indietro tra Treviso e Bologna. Un anno fa, esattamente, l’Osservatorio e tutto questo ridicolo baraccone che quotidianamente si premura di far impazzire i tifosi con le sue folli decisioni, mi ruppero letteralmente le uova nel paniere.

Dopo la prima partita della serie disputata al Palaverde e segnata da qualche tensione tra bolognesi e polizia, si decise per il divieto sistematico all’interno di tutta la serie per ambo le tifoserie. Interdizioni di trasferta che i felsinei si portarono dietro persino nelle finali di Brescia. Il mio “sogno” di assistere a una delle sfide più calde e storiche del basket italiano andava in frantumi, lasciando addosso a me (ma soprattutto addosso ai tifosi delle due squadre) una rabbia latente, trasformata presto in polemiche e isterismi tipici di questa nostra Italia, che cerca di celare i propri problemi o le proprie mancanze dietro la parola “divieto”.

Così ho temuto che anche quest’anno la solfa si ripetesse, ed ho aspettato che si arrivasse a ridosso delle prime due sfide in terra veneta per assumere una certa consapevolezza che finalmente ce l’avrei fatta ad assistere a un Treviso-Fortitudo. Eppure la Questura di Treviso ci ha provato ugualmente a mettersi di traverso, obbligando (a poche ore dalla palla a due) i tifosi emiliani partecipanti alla trasferta (150) a comunicare i propri dati anagrafici.

Una qualcosa che i fortitudini si erano visti richiedere già in occasione della partita disputata a Udine in campionato, allorquando la Fossa decise di disertare la trasferta. Stavolta no. Con un eloquente comunicato lo storico gruppo bolognese ha annunciato che – sebbene le iniziative volte a non trasformare il basket nel calcio si protrarranno – “incoerenza per incoerenza andremo a Treviso”. Una presa di posizione che francamente ritengo corretta, presa sull’onda di una decisione che forse mirava a far desistere i supporter della Effe nell’affrontare la trasferta.

Di certo, parliamoci chiaro, con gli strumenti di cui è dotata oggigiorno la polizia italiana, non è certo la schedatura preventiva di 150 persone l’unica soluzione per identificare eventuali autori di gesti violenti. Semmai – mi permetto di fare della dietrologia – con questa scelta si pensava di poter far leva sull’antropologa reazione degli ultras, generalmente restii ad accettare di buon grado questo genere di imposizioni e portati a disertare l’evento in questione. Lo avevano fatto a Udine, “magari lo faranno anche qui”, avrà pensato qualcuno. E invece no.

C’è ovvio fermento nell’ambiente. La Serie A2 è divenuta a tutti gli effetti un contenitore di vecchi blasoni. Ci sono piazze e squadre che hanno fatto la storia della pallacanestro e solo paragonando i nomi di chi disputerà questi playoff a quelli di A1 si può capire quanto si sia lavorato male nell’ultimo decennio. Treviso-Fortitudo e Virtus Bologna-Roseto, ad esempio, sono sfide che meriterebbero ben altri palcoscenici. Ma tant’è.

Certo, in città come quella veneta ci sono state trasformazioni, cambiamenti e scossoni epocali. La vecchia Pallacanestro Treviso (meglio conosciuta come Benetton Treviso), vincitrice di scudetti e coppe, non esiste più e al suo posto si è fatta largo la Universo Treviso Basket, società creata da un consorzio di vecchi giocatori, che dal 2012 è divenuta idealmente prosecutrice di quel marchio che tanti successi aveva portato tra il Sile e il Cagnan. La risposta del pubblico non è mancata e il Palaverde resta uno dei palazzetti italiani con la più alta media di spettatori.

Particolare non trascurabile è il passaggio dal colore verde ai colori biancazzurri, riprendendo così quelli del gonfalone comunale.

Ma Treviso-Bologna è anche un salto indietro di vent’anni. Quando le due compagini erano solite giocarsi le fasi finali dei tornei di A1 e le due tifoserie darsi battaglia in palazzetti letteralmente infuocati. Una rivalità storica, che finisce volta per volta nel tramutarsi in un vero e proprio spot per il basket italiano. Me ne accorgerò da qui a poco, quando, dal mio piccolo scranno di palla a spicchi romana, capirò ancor più cosa vuol dire questo sport a simili latitudini.

Gara 1 e gara 2, distanti due giorni ma in grado di mandare in fibrillazione due tifoserie. È la mia prima volta a Treviso e ne approfitto anzitutto per una visita al grazioso centro cittadino, non disdegnando neanche una puntatina al vecchio stadio Omobono Tenni: anche il calcio ha conosciuto il suo splendore, con la Serie A a metà anni duemila. Ma Treviso è soprattutto basket, volley e rugby. Sebbene le prime due discipline abbiano conosciuto un recente declino a causa dell’abbandono dei Benetton.

L’autobus numero 4 è quello che porta a Villorba, piccolo comune distante sette chilometri dal capoluogo dove è ubicato il Palaverde, impianto costruito nel 1983. Uno dei primi a divenire di proprietà privata.

Tra le tante bancarelle che vendono cibo si fanno strada centinaia di tifosi muniti di sciarpe e bandiere. Treviso non ha di certo smorzato la sua passione per questo sport e sogna il ritorno in A1. La città sembra quasi non aver avvertito il crollo che l’ha portata a dover risalire la china dai bassifondi del basket italiano, e ora la sua fame di vittorie si manifesta nel perenne tutto esaurito del palazzetto. Chi ha l’immagine stereotipata del tifoso nordico freddo e senza “rabbia” in giornate come queste rischia di mettere a serio repentaglio le proprie certezze.

Il mio giudizio – lo dico subito – sarà complessivamente sulle due gare. Inutile star qui a sviscerare singolarmente le due tornate da quaranta minuti. Molto più interessante e giusto assemblare queste partite.

Altra cosa di cui mi compiaccio è l’atavica differenza tra la spocchia di molti personaggi del calcio e la semplice disponibilità di chi opera nel mondo del basket: società con cui è sempre possibile dialogare in maniera costruttiva (a parte qualche rara eccezione) e addetti ai lavori che fanno della gentilezza e dell’accoglienza il proprio cavallo di battaglia. Fosse così in qualsiasi sport il nostro lavoro sarebbe a dir poco agevolato e anche in caso di difficoltà si riuscirebbe comunque ad uscirne senza veleni e rancori. Ma il genere umano è bello perché vario e capiamo perfettamente in in universi dove gira un’ingente quantità di denaro ci sono interessi e gerarchie ben differenti. Oltre a nepotismi e servilismi che troppo spesso vanno a finire davanti a qualsiasi deontologia professionale.

Chiusa la parentesi polemica – che non possiamo farci mancare – apriamo quella più bella e interessante sull’ambiente. Il frame che mi rimarrà impresso alla fine dei complessivi ottanta minuti di gioco sarà il tifo assordante e continuo delle due fazioni, sin da un quarto d’ora prima della palla due. Praticamente dall’entrata nel settore ospiti dei fortitudini. Il tutto come se si stesse regolarmente giocando: sciarpate, manate e cori a rispondere. Uno spettacolo già di suo. E non sono certo uno che si esalta facilmente, ma devo dirlo con franchezza: l’ambiente del Palaverde ti fa uscire dagli spalti col mal di testa, tanto è il rumore prodotto.

Perché qui non è solo una questione di curva. Qua sono un po’ tutti a pensare ancora che il tifo, le urla e gli schiamazzi possano avere un effetto decisivo sulle sorti della partita. E come dargli torto? Quello trevigiano è un pubblico spigoloso e rude, tipicamente veneto direi. Queste caratteristiche ovviamente vanno interpretate nell’accezione positiva dei termini.

Se siete amanti del bon-ton che è ormai proprio di determinate realtà calcistiche vi consiglio di non mettere piede nei palazzetti del basket, ma soprattutto in realtà come queste. Un qualcosa che mi è rimasto impresso è come spesso lo speaker che annuncia punti e cambi venga letteralmente coperto dal furibondo vocio degli spettatori. E non può che farmi piacere essendo ciò uno degli aspetti che meno amo della pallacanestro: così come le musichette prima e dopo le partite. Tutte cose che abolirei di colpo per lasciare spazio ai soli veri protagonisti: i tifosi. E qua diciamo che se questo non avviene gli stessi, per dirla tutta, cercando di procurarselo da solo a suon di decibel alzati di volta in volta.

Il duello con quelli della Fossa (spalleggiati dagli Unici) è a tratti mozzafiato, tanto che faccio fatica a tenergli testa con la mia semplice reflex. Un botta e risposta che ha come obiettivo quello di coprire vocalmente gli avversari. Tanti gli insulti e le invettive lanciate, belle le esultanze sulle “triple” o ai canestri che poi finiscono per decidere le due contese. Come sempre il portamento dei felsinei è ben diverso da quelle delle classiche tifoserie di pallacanestro. Prima linea occupata interamente da ultras e tifo coordinato dalla prima all’ultima fila. Osservare i fortitudini dal vivo è sempre una piacevole immersione nel passato. Quel passato dove l’organizzazione e la coesione tra tutte le componenti del tifo rendevano le curve italiane (in particolar modo quelle del calcio) dei veri e propri muri umani in grado di spaventare l’avversario di turno.

Di tanto in tanto si accendono dei focolai verbali tra alcuni spettatori bolognesi assiepati proprio sotto il settore ospiti e il resto del pubblico trevigiano, ma sono schermaglie dialettiche che steward e polizia riportano senza problemi nei ranghi. In fondo spesso è meglio far sfogare verbalmente i tifosi e controllare la situazione con fermezza e un pizzico di buon senso.

Sebbene il livello non sia certo eccelso, anche le due sfide in campo assumono un interesse magnetico. Tanta la tensione che si tramuta in partite giocate punto a punto dove alla fine la Fortitudo ha il merito di mostrare maggiore lucidità sotto canestro, anche grazie a Mancinelli e Cinciarini, che in questa categoria possono pesantemente fare la differenza. Finisce così con la festa bolognese in ambo i casi, un parziale di 2-0 che indirizza la serie sotto le Due Torri e lascia gli emiliani a festeggiare dopo le sirene finali, con tanto di sfottò ampiamente ricambiati dai trevigiani.

Pubblico trevigiano che comunque non dispensa fischi ai propri giocatori, sostenendoli anche a risultato acquisito e incoraggiandoli nel finale dei match. C’è ancora una trasferta sicura da affrontare, quella del PalaDozza, dove i veneti si giocheranno l’intera stagione. Un successo infatti allungherebbe la serie. Un’impresa ardua, considerando che il fortino di Piazzale Azzarita non viene violato da tempo immemore. Ma nel basket mai dire mai, è uno sport bello proprio perché infinito e imprevedibile.

Mentre piacevolmente prevedibile sarà lo spettacolo delle tifoserie. Che a prescindere meriterebbero ben altri palcoscenici.

Simone Meloni

GALLERIA GARA 1

GALLERIA GARA 2