Mi piacerebbe scrivere un resoconto serenamente. Come sempre. Parlare del viaggio e della partita. Ma penso ci siano volte in cui occorra fermarsi e riflettere approfonditamente su ciò che succede a margine.

La premessa, che spero venga accolta e compresa anche da chi fa di internet una continua cloaca virtuale, sprigionando in essa tutta la sua ignoranza ed il suo fetore scrittorio, è che non so e neanche mi interessa sapere chi tra frusinati e baresi abbia ragione su quanto successo nel dopo partita. Sono un semplice osservatore esterno, quindi lungi da me prendere le parti di una delle due fazioni. A me interessa giudicare ed analizzare questa fantomatico Daspo di gruppo in maniera scevra da ogni vittimismo e da ogni retorica che spesso anche il nostro mondo si tira dietro a mo’ di zavorra.

La notizia mi ha colpito. E non perché non me lo aspettassi o, ancor più realisticamente, perché qualcosa del genere non fosse mai accaduto prima. Parliamoci chiaro, nel sottobosco del nostro complesso modo di vivere lo stadio, questo genere di cose accadono da sempre. Tizio e Caio rubano all’autogrill e tutto il pullman ne fa le spese, Tizio e Caio non pagano il biglietto del treno e 50 persone vengono diffidate, Tizio e Caio lanciano un fumogeno in campo e le telecamere di servizio, non si sa come, intercettano 30 persone incolpandole dell’accaduto.

Ora, il problema è la vera e propria legalizzazione di un qualcosa di altamente pericoloso per la società, prima ancora che per gli ultras. Il movimento, ahimè, è destinato a morire. Come tutto nella storia del mondo. Esiste un inizio ed una fine. Ma la nostra società non ha un termine, ma si evolve/involve. Ed in questo processo rientra a pieno il Daspo di gruppo.

Ricordo un tempo proteste per biglietti salati, colori sociali cambiati, giocatori acquistati da acerrimi rivali etc etc etc. Oggi questo non esiste quasi più. Ormai abbiamo intrapreso una linea che non solo si attesta su una comprensiva prudenza, ma vira su una più preoccupante e grigia arrendevolezza, dettata anche dal modo di vivere il calcio delle nuove generazioni. Riteniamo sia normale che un pullman con 52 tifosi a bordo venga fermato e daspato tout court, ma non lo è ragazzi. Da sabato scorso si è ufficialmente detto che se a compiere il reato è il mio vicino di casa, anch’io posso essere tacciato di colpevolezza.

Tralasciamo tutti i soliti discorsi su quanto inopportuna sia questa scelta di una task force presieduta da politici pluripregiudicati e dalla morale tutt’altro che limpida. Ciò che mi turba ed a cui non farò mai il callo, è l’abitudine incurante di noi italiani a vivere in un regime di illegalità e leggi incostituzionali/liberticide. Alla fine della fiera tutto ci passa davanti e tutto viene assimilato come cosa normale. Ci comportiamo alla stregua della massaia di Voghera.

Questa ulteriore misura da parte del governo rischia di essere veramente la tomba definitiva prima per gli ultras e poi, peggio ancora, per il nostro quotidiano. Rimanendo nel nostro campo, forse davvero in pochi ci siamo resi conto di cosa voglia dire interdire lo stadio a 52 persone.

A me questo atteggiamento fa fare un salto a ritroso nel tempo. Sì, su quei libri di storia che tanto hanno voluto propinarci da piccoli per trasmetterci questo senso di uguaglianza e tolleranza che nelle stanze dei bottoni di questa squinternata Italia non ha nessuno. Ma davvero nessuno. In fondo nulla è cambiato e siamo legati dallo stesso filo conduttore di chi prima rastrellava ed oggi punisce persone in gruppo.

Sotto le dittature non si può camminare in strada in più di un tot perché si rischia l’identificazione e la denuncia, in Italia non si può viaggiare sullo stesso pullman dove magari una persona lancia un sasso alla tifoseria avversaria, perché si viene diffidati e denunciati in toto. E questo attualmente. Chissà tra vent’anni come sarà la situazione. Meglio non immaginare.

Ma noi, intesi strettamente come movimento ultras, dormiamo anche su queste cose. Abbiamo da pensare agli acquisti milionari delle nostre società, alle promozioni, alle retrocessioni, agli stadi nuovi ed alle tv digitali. Tutto giusto, perché il primo ruolo del tifoso è quello di combattere e seguire la propria squadra per portarla alla vittoria.

Non siamo certo noi a doverci sostituire ad eventuali sommosse popolari, e sbaglia chi ce lo chiede credendo davvero gli ultras in grado di trasformarsi nella panacea di tutti i mali italiani. Ma qualcosa, anni addietro, sarebbe stata fatta. Magari in maniera inconcludente, come nella maggior parte dei casi, ma quanto meno in grado di smuovere l’opinione pubblico.

Ricordo che lo scorso anno si sollevò, giustamente, un gran polverone per i 96 doriani identificati in quel di Livorno. Diffidare un intero pullman di tifosi è un qualcosa da dittatura sudamericana. Oltre che una chiara dimostrazione di come, da parte delle istituzioni e non solo, non ci sia voglia di comprendere i tifosi, intavolare un vero e proprio dialogo ed approntare nei loro confronti un comportamento equo e civile.

Mi dispiace, ma anche essendo cresciuto in una curva, avendone assorbito tutti gli aspetti, positivi e negativi, io non ce la faccio ad abituarmi a questo scempio. Ci si scanna ancora per tessera, voucher, away e biglietti. Giusto. Ma nel frattempo questi ci stanno avvelenando la tavola dove mangiamo senza che a noi interessi qualcosa.

Sarà che crescendo ed affacciandomi anche al mondo di tutti i giorni, da quello del lavoro a quello della gestione giornaliera delle nostre città, ho immagazzinato davvero troppa rabbia e troppo livore per tutto ciò che non va. Siamo alla frutta. Come paese e come organizzazione sociale. Siamo indietro, ma così indietro che non riusciamo neanche ad immaginare che ci sia un avanti. Un dopo. Un futuro.

Ed allora, non me ne vogliate, ma non penso abbia senso scrivere un resoconto su questa partita. Non lo ha dal momento in cui un’occasione di festa e di aggregazione viene trasformata in Forca Caudina. In check-in di guerra dove prendere i propri ostaggi e fucilarli.

Abbiamo le nostre colpe, nessuno lo mette in dubbio. Ma in fondo si chiede solo di punire, se necessario, laddove si configura realmente un comportamento illegale. Invece in Italia si continua a colpire nel mucchio. Si continua a pensare agli ultras come unico problema mentre tutto il resto cade a pezzi. Non me la sento di far finta di nulla.

Oggi non ci sono manate, bandieroni, sciarpate e fumogeni. C’è solo tanta amarezza per l’assurdo andamento delle cose. Lo splendore dei bei giorni non tornerà più, siamo d’accordo. Ma arginare questa emorragia di civiltà, libertà ed equilibrio tra Stato e cittadini sarebbe un dovere di tutti noi. Ultras o meno. Con la morte nel cuore e tanta rabbia in corpo chiudo questo pezzo.

Simone Meloni.