Prologo

Ritornare a macinare seriamente chilometri per una partitella italiana era un qualcosa che, onestamente, non avevo preventivato né tanto meno creduto possibile. Parliamoci chiaro sin da subito, ci sono state annate in cui assieme ad altri “disperati” si partiva dalla Stazione Termini per mete davvero lontane, ma c’era sempre una buona motivazione per farlo. Insomma, il gioco valeva la candela. Oggi non è più così, a parte rarissime occasione. Non è la voglia a mancare, ma proprio la materia prima.

Sarà l’astinenza quindi, o forse l’inoltrarsi della bella stagione che porta con sé un fascio di positività, oppure la semplice curiosità di assistere a un Derby dello Stretto, cosa che mi ronzava nel cervello sin dalla composizione dei gironi di questo campionato di Lega Pro. Come detto, so che niente sarà uguale o assimilabile a un Messina-Reggina di una decina d’anni fa. Quelli della Serie A per intenderci. Eppure, perché non fare questa mattata e tornare ai vecchi fasti “partitelliferi” una volta tanto? Ok. Si va.

Ci sarebbe anche l’entusiasmo, eppure nel giro di sette giorni Lega, Prefetti, Questure e società fanno davvero di tutto per fiaccarmi. Un po’ come avere sempre una vocina nell’orecchio che dice: “Stai a casa, dove vai?”. Dapprima la vendita centellinata per i messinesi a Reggio Calabria, in occasione della gara di andata, poi le probabili porte chiuse al San Filippo per il ritorno, con il via libera alla vendita dei biglietti dato solo il giovedì con la partita da disputarsi il sabato.
La pietra dello scandalo? Gli autobus che devono trasportare i tifosi calabresi dal porto di Tremestieri allo stadio. L’ACR Messina si rifiuta di rispettare la convenzione con il Comune, che molto probabilmente vorrebbe dire pagare i danni apportati dai supporters amaranto ai bus. La società giallorossa fa spallucce, nonostante, ragionevolmente parlando, convenga pagare qualche migliaia di euro all’azienda di trasporti piuttosto che rinunciare all’incasso della partita. Anche su questo c’è da parlare. Sì perché in uno stadio da 40.000 posti come il San Filippo, l’omologazione è solamente per 6.900 spettatori. Il motivo? Aprire i tornelli ad un numero maggiore di tifosi vorrebbe dire, per i dirigenti peloritani, pagare quanto meno il doppio per le spese di gestione.
Insomma, basterebbe questo per capire che parliamo pur sempre di un derby a metà. Se ci mettiamo poi lo svolgimento del campionato, ampiamente falsato tra penalizzazioni date e revocate, società fallite in corso d’opera e calcioscommesse che incombe sempre più concretamente sulla categoria, i motivi per farsi passare la fantasia di partire ci sarebbero eccome.

Come se non bastasse, poco dopo l’apertura della vendita dei tagliandi per ambo le tifoserie, che mi risolleva un morale che pian piano mi stava consigliando di lasciar perdere, ci si mette anche la questura di Reggio Calabria, che decapita letteralmente il direttivo della Curva Sud reggina. 24 diffide relative al derby di andata per esser entrati in campo prima del match. Motivo? Stupro? Violenza? No di certo. Per preparare una coreografia incensata da tutti nei giorni successivi. Un vero e proprio schifo tutto italiano. Un chiaro tentativo di gettare fumo negli occhi di chi stava legittimamente criticando il modus operandi con cui si stava organizzando la sfida, oltre che per evitare qualsiasi problema negando, di fatto, a una parte attiva della tifoseria organizzata di partecipare alla sfida. Tanto è vero che a poche ore dalle diffide (se in Italia si usasse tale rapidità nella giustizia ordinaria saremmo ai livelli dell’Islanda) i ragazzi della Sud annunciano che a Messina non ci saranno.

Cosa fare? Mi consulto con tutte le fonti possibili ed alla fine decido di partire, speranzoso che almeno un contingente ultras giunga al seguito della Reggina. Su fronte casalingo la prevendita è andata ovviamente a gonfie vele e i tagliandi sono terminati. Ci penso mille volte ma alla fine decido di partire. Come sempre l’itinerario è lungo e frastagliato, almeno all’andata, per risparmiare qualche Euro. Treno fino a Napoli e da lì passaggio con Blablacar per Villa San Giovanni.

In viaggio verso la Sicilia

Esco dal lavoro con un regolare mal di testa, accentuato ancor più dal caos perenne che popola i mezzi pubblici capitolini. Lo stress comincia a diradarsi quando il treno in corsa esce dal Lazio. Mi rilasso leggermente pensando che, in fondo, sto pur sempre facendo una bella esperienza. Avendo appuntamento a mezzanotte con il tizio di Blablacar, ne approfitto per incontrare un vecchio amico di Napoli e passare la serata assieme. Poi, quando il tempo comincia a stringere, mi riporto a Piazza Garibaldi.

Ecco arrivare, pressoché puntuale, il conducente. Appena scende dalla macchina non posso far altro che notare la sua chioma imbrillantinata nonché splendente grazie alla tinta nero pece che la caratterizza. Zigomi tiratissimi alla Baglioni e pullover in pelle alla John Travolta. Se mi trattengo dal ridere a crepapelle è solo perché una riminiscenza dell’educazione appresa a casa ha il sopravvento. Qualche minuto più tardi arrivano anche gli altri due passeggeri: uno lo chiameremo ‘O Filosofo e l’altro Disagioman. Il primo si guadagna il nomignolo a causa delle sue perle di saggezza sfoggiate per tutto il tragitto. Un tuttologo d’altri tempi che, quando riesco ad addormentarmi, avendo intuito la mia passione per la geografia, mi tormenta chiedendomi cosa ne pensi di questo e di quell’altro posto che, chilometro dopo chilometro, appaiono sulle insegne della magica, mitica ed inimitabile Salerno-Reggio Calabria. Il secondo, invece, viene dal Nord e, oltre a dormire buona parte del viaggio, sembra conoscere ben poco l’Italia meridionale, raccontandoci di non aver potuto prendere una bottiglietta d’acqua perché in tasca aveva solo i 19 Euro del passaggio. Per carità, all’età sua, detta tra noi, sono stato più zingaro di lui, ma il nickname non si cambia. Comunque Blablacar è stupendo perché, oltre a farti risparmiare, ti permette di fare queste conoscenze uniche. L’emblema di tutto ciò è la ragazza del conducente. Schifatissima da tutta la situazione. Come si dice dalle mie parti: ‘na fregna moscia che gnente!

Questo insolito quartetto si separa allo Stretto. Gli altri tre corrono a prendere il primo traghetto, mentre io, per riprendermi dal sonno, mi fermo ad un bar per prendere un caffè. Nell’attendere di poter attraversare il lembo di mare che mi divide dalla Sicilia, noto con dispiacere come buona parte del porto di Villa San Giovanni sia ormai davvero alla deriva. Ricordo le mie prime trasferte insulari, quando le Ferrovie dello Stato offrivano un servizio regolarissimo con navi ogni mezz’ora. Oggi i traghetti sono riservati solo al servizio cargo, mentre per i passeggeri sono messi a disposizione gli aliscafi, con intervalli anche superiori all’ora. Ci sarebbe la Caronte, è vero. Ma di dare i soldi a Franza proprio non ho voglia. Quindi, tra una cosa e l’altra, alle 10 riesco a sbarcare in quel di Messina.

L’arrivo a Messina: come fotografare lo sbarco reggino?

Da bravo forestiero, la prima cosa di cui mi “approprio” è un bel cannolo con ricotta e chicchi di cioccolato. Finita la colazione posso chiamare il buon Paolo che, nel giro di una mezz’oretta mi viene a prendere assieme ad altri fotografi. La meta ora è il porto di Tremestieri, da dove vogliamo scattare l’arrivo dei tifosi reggini. E’ ufficialmente iniziato il mio derby, ma subito si stagliano all’orizzonte le prime difficoltà. L’integerrima polizia sicula non ne vuole sapere di farci scendere sulla banchina in vista dello sbarco. Va ricordato che solamente per questa occasione lo scalo di Tremestieri è stato aperto a navi passeggere. Questo perché posto a poca distanza dal San Filippo.

Cerchiamo un’altra soluzione, finendo per seguire il consiglio di una signora che da un balcone ci dice di chiedere all’amministratrice del palazzo il permesso per salire in terrazza. Autorizzazione che ci verrebbe pure data, con tanto di consegna delle chiavi, ma se ci possiamo ritenere bravi fotografi altrettanto non possiamo dire per quanto riguarda le nostre doti furtive. In quattro non riusciamo ad aprire la porta, difettosa di suo bisogna dirlo, ed alla fine riconsegniamo il mazzo di chiavi alla proprietaria e ci accontentiamo di uno scorcio che si intravede dal bordo della ferrovia. Va da sé che questa è una tipica situazione in cui solo un malato di mente come il sottoscritto si può imbattere.

Quando l’orologio segna le 13:30 ecco arrivare il primo dei due traghetti provenienti da Reggio Calabria. Per me ovviamente è un qualcosa di profondamente insolito il veder arrivare un contingente ospite via mare. Ed era una delle cose che più mi incuriosiva. Contestualmente arrivano anche i cinque pullman messi a disposizione dall’ATM (alla fine il Messina non ha rispettato la convenzione, ma il Comune si è fatto carico di eventuali mezzi), che con un paio di viaggi caricano i tifosi reggini. Ufficialmente i biglietti venduti sono 800, onestamente, almeno a giudicare dal colpo d’occhio del settore ospiti, penso si tratti di qualcosa in meno. 800, va detto, è il numero massimo di tagliandi messo a disposizione per un settore che ne potrebbe contenere ben 2.500.

Dopo aver visto sfilare gli autobus davanti ai nostri occhi, con relativo siparietto di tifosi amaranto che offrono anche la soave visuale delle loro terga (rimane sempre una delle usanze più esilaranti, almeno per il sottoscritto) decidiamo di avviarci verso lo stadio.
Il San Filippo, poco distante, è quella che attualmente si può definire la classica cattedrale nel deserto. Uno stadio immenso, che i tifosi giallorossi hanno riempito nei gloriosi anni della Serie A, ma che non è minimamente paragonabile al vecchio Celeste. Un passaggio certamente doloroso per la tifoseria peloritana, che all’interno del vecchio stadio ha scritto pagine indelebili della propria storia, creando un ambiente da tifo sudamericano. Molto più dispersivo il nuovo impianto, sebbene strutturalmente sarebbe anche bello. Ma si sa, in questi casi se non c’è manutenzione, il tutto rischia di andare a puttane in breve termine. Così dopo la discesa tra i dilettanti, quella che in tanti hanno definito una delle più grandi opere della Sicilia, è quasi implosa su se stessa. Basta farsi un giro nei settori attualmente chiusi per vedere bagni divelti, erbaccia cresciuta ovunque e tubature letteralmente scassate. Miglior destino non è toccato al palazzetto dello sport costruito a pochi metri e attualmente inutilizzato.

Eccomi al San Filippo: 90 minuti che valgono una stagione

Fatichiamo e non poco per parcheggiare la macchina, ma quando manca mezz’ora al fischio d’inizio riusciamo finalmente ad entrare sul terreno di gioco. La Curva Sud è quasi completamente gremita, così come la parte centrale della tribuna centrale, l’unico settore aperto oltre la curva. Si intuisce che gli ultras messinesi realizzeranno una coreografia, mentre noto con piacere tutti gli striscioni appesi in balaustra. I reggini devono ancora fare il loro ingresso. In tribuna fanno la loro comparsa anche i sindaci delle due città e il presidente dei calabresi Lillo Foti. Mentre del primo dirigente siciliano non vi è traccia. Il suo disinteresse nei confronti dei giallorossi è cosa nota, suffragata dalla gestione degli ultimi mesi che è stata a dir poco disastrosa. Il problema è che la Lega Pro foraggia questo genere di sistema. Chi credeva che la trasformazione di questa categoria a girone unico portasse vantaggi, tra questi anche io, si sbagliava di grosso. O almeno, l’anno zero della Lega Pro unica è stato a dir poco fallimentare ed al limite del vomitevole. Può essere preso sul serio un campionato deciso dall’inizio alla fine dai giudici e dalle loro sentenze? No. Questo fa di suddetto torneo il peggiore in assoluto nella piramide calcistica italiana. Giudizio prettamente personale ovviamente.

E’ una sfida, dunque, che si svolge in una ambiente monco. Come già detto. Sebbene il clima sia caldo, e non solo in termini climatici. La tensione si taglia a fette, e cresce ancor più all’arrivo degli ultras amaranto. Ora, direi delle inesattezze se mi mettessi a classificare i reggini presenti come appartenenti a questo o a quell’altro gruppo. Semplicemente non lo so. Però so che un manipolo ultras è presente e fa sistemare sin da subito i supporters ospiti per incitare la squadre in maniera compatta. All’ingresso in campo dei giocatori salutano i propri ragazzi con una bella sciarpata, condita dall’accensione di qualche torcia. Nessuno stendardo presente, ma solo alcuni bandieroni recanti la scritta “Ultras Reggio Calabria”.

Dall’altra parte il sipario si apre con una bella coreografia. Tanti cartoncini bianchi, gialli e rossi fanno da cornice allo stemma del Messina posto al centro. A mano è tenuto lo striscione “Portiamo dentro le vene i nostri colori”. Impatto perfetto, poco da dire. Ora anche la partita sul manto verde può avere inizio. La Curva Sud è un ribollire di cori e manate, oltre ai bandieroni sventolati con buona continuità ed alle tante torce accese a brevi intervalli. I tamburi ritmano i cori dei peloritani che, con grande piacere, noto non essere forzatamente copiati dal repertorio “Youtubiano”.

Gli ultras calabresi fanno la loro parte, tifando con buona continuità e compattezza. Certo, è innegabile che i numeri sono quello che sono. Ma è altrettanto innegabile che tra la “retata” della questura e il limite imposto sulla vendita dei biglietti (oltre alle tempistiche ristrette) non sono stati certo un buon viatico per affrontare la trasferta. Ciononostate il sostegno non manca e il settore sarà colorato per tutti i 90′ dalle bandiere bianco-amaranto. Il tutto mentre in campo la gara non è assolutamente memorabile. Poche le occasioni e primo tempo che si conclude con un ovvio 0-0.

Gli ultras del Messina capiscono che è arrivato il momento di dare la scossa. Dopo lo 0-1 dell’andata, un pareggio significherebbe retrocessione. E allora i lanciacori invitano la curva a non mollare neanche durante l’intervallo, con i presenti che recepiscono cantando e saltando come se ci fosse la partita. Come se non bastasse, poco dopo l’inizio della ripresa piovono in campo numerose torce, con l’arbitro che è costretto a sospendere temporaneamente l’incontro. E’ un segnale, come per dire: “Svegliatevi!”. Segnale che il Messina non recepisce a pieno, nonostante la Reggina rimanga quasi subito in dieci uomini. Con il passare del tempo si capisce che l’inerzia del match scivola di mano agli scudati e ad un quarto d’ora dalla fine la Reggina trova il vantaggio con un colpo di testa di Balistreri. Manco a dirlo, l’esultanza del popolo amaranto è di quelle che si raccontano ai nipoti. Un gol che praticamente sancisce la permanenza in Lega Pro e la contemporanea discesa tra i dilettanti dei rivali di sempre.

Ovviamente ora il settore ospiti è tutto un muoversi tra i cori di giubilo e quelli di scherno nei confronti dei dirimpettai. La Sud diventa una polveriera e in campo piovono torce, monete e bottigliette. Qualcuno prova a scavalcare e sul terreno di gioco entra addirittura la polizia in tenuta antisommossa, con tanto di cani al guinzaglio. L’arbitro fatica a far battere una punizione assegnata al Messina e solo dopo qualche minuto il gioco può riprendere. Ma ormai i giochi sono fatti ed al triplice fischio l’urlo liberatorio è tutto per tifosi e giocatori in maglia bianca con bordi amaranto. La delusione è invece scolpita sui volti di quelli messinesi, verso i quali ora inveisce un pubblico che li aveva sostenuti in maniera incondizionata.

Il nervosismo è tanto e in campo è un continuo succedersi di piccole risse tra invasori e steward, oltre che tra i giocatori, i quali avevano già trovato modo di affrontarsi nel tunnel all’intervallo (per questo motivo il secondo tempo era iniziato con qualche minuto di ritardo). Il siparietto quasi comico è quello che riguarda il giocatore della Reggina Louzada che, scambiato dagli steward per invasore, è costretto a fuggire braccato dagli uomini in pettorina gialla. Il tutto dura qualche secondo, fin quando i compagni di squadra non se ne accorgono, bloccando il (sostitutivo) ferreo pugno della legge rappresentato da quell’inutile figura inserita dal sommo Ministro Pisanu.

E non è certo finita qua, perché movimenti si registrano anche all’esterno. Ma su questo francamente preferisco lasciare la cronaca a chi trova piacere nel descrivere tali episodi. Io mi limito a dire che, avendo visto tutto con i miei occhi, i provvedimenti assunti all’indomani dalla questura di Messina sono soltanto una delle numerose esagerazioni di quando in mezzo capitano i tifosi.

Saluti finali e sonnolento ritorno a Roma

Finisce così questo campionato. Almeno quello giocato undici contro undici. Abbiamo imparato che in queste categorie la parola fine non è mai realmente posta, e i ripescaggi come i fallimenti sono sempre dietro l’angolo. Quello che mi auguro, da amante del calcio storico, è di rivedere queste squadre e queste tifoserie in ben altre condizioni. Non affossate, umiliate e soggiogate dalle loro società, che ne hanno fatto mere “Barbie” da compagnia.

Si sono fatte quasi le 19, è ora di abbandonare il San Filippo dopo una giornata a dir poco lunga e intensa. Percorrendo la strada intasata dal traffico passiamo di fronte al vecchio stadio Celeste, che dorme là, incastonato tra i palazzi a memoria di un calcio che fu. Ancora un po’ di tempo per commentare la partita, mangiare qualcosa insieme e poi devo salire sul pullman in direzione Roma. Ringrazio il buon Paolo per l’ospitalità. L’ultimo ricordo che ho di questo sabato è il mio bus che sale sul traghetto. Quando riapro gli occhi infatti, sono direttamente alla stazione Tiburtina. Questo per farvi capire in quali situazioni versavo. Stanco, puzzolente ma più “impartitellito” che mai.

Simone Meloni.