Erano alcuni anni che non tornavo a Liegi, ma quando ho avuto l’occasione di andare nella “Città ardente” per vedere l’ultima partita della stagione dei “Rouches” (i rossi) locali, ho preso subito la palla al volo.

La giornata è perfetta, sole su tutto il Belgio ed un fine di campionato pazzesco: lo Standard, che ha dominato il girone di andata e di ritorno del campionato, ha fatto alcuni passi falsi nella seconda parte, quella costituita dai play-off. Sì, perché il campionato belga è molto strano, con una prima parte come in tutti i campionati europei, ed una seconda in cui le sei prime classificate si affrontano tra di loro in un girone all’italiana, con il totale di punti che viene diviso per due ed arrotondato per eccesso. Il vantaggio iniziale dello Standard si è perso per strada e, in quest’ultima giornata, le restano pochissime speranze di vincere il titolo, perché Anderlecht precede con due punti in più.

Basta un pareggio, ai viola della capitale, per aggiudicarsi un altro campionato belga. La cosa assurda è che l’Anderlecht ha totalizzato più vittorie durante questi famosi play-off che non durante il campionato, lasciando più di qualche perplessità sulla bontà o la giustizia di questa formula. Un sistema pazzesco che, da buon francese quale sono, definirei proprio di… belga.

Questi dettagli non mi scoraggiano comunque dal venire a Liegi. Per essere sicuro, ho sentito uno dei ragazzi della curva dello Standard e mi ha assicurato che anche se la speranza di vincere è ridotta al 1%, il tifo ci sarà eccome.

Arrivo a Liegi, nella moderna stazione presso il centro e dopo un quarto d’ora di pullman arrivo nei dintorni dello stadio di Sclessin, ubicato nel omonimo quartiere, un ex-villaggio lungo il fiume Meuse, dove sorge un immenso impianto siderurgico che ci fa capire che siamo nell’antico cuore industriale del Belgio. C’è anche un terril, una collina fatta dei rifiuti delle miniere, dietro la curva di casa.

A due ore della partita ci sono un sacco di tifosi del Standard in giro, e in questo quartiere molto particolare, col suo fascino industriale, tra le case basse in mattoni rossi, sembra di essere in Inghilterra o nel Nord della Francia. Arrivo dietro il settore ospite e posso notare alcune scritte dagli ultras del Genk, i… “Drughi”, fatte di recente: hanno lasciato diverse scritte politiche contro il credo antifascista degli ultras locali, un po’ strano visto che gli ultras del Genk hanno avuto per anni la bandiera con Che Guevara.

Lo stadio è immerso in questo quartiere dove c’è anche un bel po’ di verde, con le foreste delle Ardenne tutt’attorno. Appena ritirato l’accredito, vado nella famosa via Solvay, dove c’è una concentrazione di bar altissima e di camion di cibo industriale venuti apposto per accontentare i tifosi. L’atmosfera è allegra, con maglie rosse ovunque.

Arrivo di fronte al club del principale gruppo ultras dello Standard, gli “Ultras Inferno”.  La Cosa S.L. (che sta per Standard Liegi) assomiglia ad un bar, ma è molto di più, perché serve non solo da sede a questo gruppo, ma anche da punto di ritrovo per tutti i tifosi locali. Un bancone grande accoglie gli astanti, ci sono bei murales, una bancarella col materiale e pure un DJ set nel fondo. Davvero un luogo di vita perfetto per questo gruppo.

Di fronte c’è un altro posto, dove l’età media dei tifosi è più alta ed alcune facce sono davvero brutte. Gli “Hell-side”, il gruppo storico dei “siders” dello Standard si ritrova lì.

Il Belgio ha una cultura molto anglosassone per certi versi, una prossimità culturale che si nota negli stadi dove, per anni, ha dominato la “non-organizzazione” del tifo. Le curve erano il covo dei siders che, per definirsi, prendevano il nome della porta da cui erano soliti entrare. A Liegi un giornalista aveva definito lo stadio come “l’inferno di Sclessin”, e per questo nel 1981 i siders hanno preso il nome di “Hell side”. A quel tempo dominavano questi tifosi che prendevano spunto dalla vicina Inghilterra, l’elemento hooligans e casuals era già ben presente e c’era pochissimo colore, tra cui alcuni drappi con scritto il nome del loro “Side”, ma il paese rimaneva assolutamente ermetico alla cultura ultras che si andava diffondendo in tutta l’Europa latina.

Nel 1996, per rilanciare l’atmosfera nello stadio in ristrutturazione che doveva accogliere l’Euro 2000 (organizzato nel Belgio e nei Paesi Bassi), una sezione del Hell-Side prese il nome di “Ultras Inferno”. L’idea veniva da giovani belgi di origini italiane che importano, nel loro paese d’adozione, le tecniche e l’organizzazione vista negli stadi italiani durante le loro vacanze. Tra alti e bassi il progetto decolla, dovendosi muovere tra mille difficoltà.

A partire dal 2001, altri gruppi ultras si costituirono nel resto del Regno, la maggiore parte nella parte Vallona, cioè francofona. Oggi come oggi, gli spalti del sud del paese, sono organizzati sul modello italiano. Anche Bruxelles, che ha uno statuto a parte (il Belgio è uno stato federale, Bruxelles-Capitale ha pure il suo governo), ha il suo gruppo ultras al seguito dell’Anderlecht, mentre al Nord (cioè nelle Fiandre), ci sono alcuni gruppi soprattutto nelle città industriali laddove forte è la presenza di comunità di migranti italiani.

Genk, città fiamminga, entra in questo novero, con due gruppi attivi sugli spalti: i “Drughi” nati nel 2002, poi raggiunti dai “Geneches” nel 2007.

Entro allo stadio e noto pochi poliziotti, la sicurezza è affidata tutta agli steward. Ci sono tornelli pure qua, ma il “modello italiano” è riservato alla curva locale, mentre le altre tribune hanno solo piccoli tornelli, tipo da metropolitana.

Lo stadio è particolare, molto alto, con una capienza di 30.000 spettatori, ed è un vero cattino. Si espande su tre anelli tranne i distinti che sono su due livelli. La curva principale è occupata dai due striscioni degli Hell Side e degli Ultras Inferno. Nell’altra curva prendono posto i “Publik Histerik Kaos”, un gruppo costituito da alcuni fuoriusciti degli Ultras Inferno nel 2004, per accendere un altro focolare di tifo nella seconda curva.

Il settore ospite non è gremito, ci sono tra 400 e 500 tifosi del Genk, tra il secondo anello e il terzo.  Ma la squadra del Genk, cittadina di 63.000 abitanti distante appena 50 kilometri da Liegi, non ha niente da aspettarsi oggi da quest’ultima giornata, dunque il numero di tifosi biancoblu non è disprezzabile. Lo stadio è quasi pieno, con circa 27.000 spettatori.

Una cinquantina di bandiere bianche, rosse e nere sono disposte nella curva di casa e già a cinque minuti del via, vengono fatte sventolare con alcuni stendardi di contorno. Un bel tocco di colore, ma la vera sorpresa arriva quando le due squadre entrano sul prato verde, con una marea di fumogeni si accendono nel secondo anello e creano un colpo d’occhio stupendo. L’arbitro deve aspettare alcuni minuti prima di dare il fischio d’inizio, perché una nuvola rossoarancione rende impossibile lo svolgimento della partita.

Di fronte, nella curva occupata dai PHK c’è un più classico misto di stendardi e bandiere mentre accanto, nel settore ospite, c’è niente o quasi, se si considera una bandiera sventolata come colore.

La curva è calda e i primi minuti sono un’autentica bolgia, con il tifo guidato dagli Ultras Inferno che la gente è pronta a seguire.

Dopo neanche tre minuti c’è il goal, lo stadio esplode e spera in una sconfitta dell’Anderlecht. Ma il nervosismo prende pian piano il passo ed il tifo finirà per restar limitato agli ultras, cioè al settore degli Ultras Inferno, con cento/centocinquanta persone che canterano fino alla fine, oltre ad una cinquantina del PHK. La maggiore parte della curva seguirà in silenzio la partita, malgrado i tanti sforzi dei lanciacori.

In balconata noto uno stendardo sulla balconata, dove prende posto il “nucleo” degli Ultras Inferno: vi è riportato il logo del gruppo locale e quello degli “Ultras Hapoel” dell’ omonima squadra del Tel-Aviv. Una rappresentanza di alcuni elementi è venuta apposta per onorare il gemellaggio che li lega alla curva di casa. Può sembrare incredibile che questi ragazzi israeliani abbiano fatto più di tremila kilometri per questo, ma soprattutto che gente così diversa si ritrovi solo per un comune interesse. È il bello del mondo ultras, che lega ad un filo di indissolubili valori ragazzi di tutto il mondo. Non è comunque una sorpresa vera e propria, perché gli Ultras Inferno fanno parte della rete Alerta, che accomuna gruppi antifascisti di tutta Europa ed anche dell’Asia, considerata la presenza di alcune realtà israeliane e persino turche. Le diverse amicizie e gemellaggi degli Ultras Inferno sono, non a caso, tutte con gruppi dichiaratamente di sinistra e che fanno parte di questa rete: Green Brigade del Celtic, Ultras Sankt Pauli, Gate 9 Omonia Nicosia, Horda Frenetik Metz ed infine con le Brigate Rossoblù della Civitanovese.

La partita prosegue con molta tensione sugli spalti. Al 35° un bello scambio di cori tra le due curve, rimbomba nello stadio, dopo di che il tifo andrà avanti in modo ridotto.

Nel settore ospite c’è movimento, ma sento solo a due riprese la loro voce. Vedo un centinaio di giovani a petto nudo, dietro le due insegne ultras piccolissime: una è capovolta e mi sembra di leggere G07, cioè Geneches (07 per l’anno di fondazione, il 2007) ed a sei/sette metri posso vedere una bandiera italiana con scritto “Onore a Gabbo” (con una A cerchiata, tipo “Anarchia”); mi sembra che siano i Drughi.

Siamo nel paese delle birre e si nota. Con la fine del primo tempo, i tifosi dello Standard vanno a rifornirsi di birra, che è in vendita dappertutto ma non si può consumare sugli spalti.

Il secondo tempo iniza e parecchi fumogeni bianchi sono accessi nella curva di casa, creando un bell’effetto scenico. Noto alcune bandiere Vallone, gialle con un gallo rosso, anche se lo Standard non è propriamente una squadra portabandiera della Vallonia: approssimativamente il 30% dei suoi tifosi sono fiamminghi ed anche se quasi tutti i cori sono in francese, ogni tanto cantano anche in inglese.

Continuo ad analizzare i diversi drappi e noto una bandiera della Palestina sullo striscione degli Hell Side: potrei dire un classico delle curve. Sopra, al terzo anello, c’è uno striscione di carta fatto dagli Ultras Inferno con scritto “Anti Play-off!!”: posso capire l’avversione di questi ragazzi che devono subire questo campionato in due fase, pensato solo per vendere al meglio il “prodotto calcio” alle televisioni.

Lo Standard s’impone sul campo, ma è una vittoria che ha il sapore della sconfitta, visto che l’Anderlecht, che necessitava di un solo punto, vince l’ultima gara dei Play-off e si prende lo scudetto.

La gente sugli spalti è delusa, come i giocatori che, pur finendo secondi, fanno un giro d’onore fermandosi di fronte a tutti i settori dello stadio. Nel settore ospite, naturalmente, la gente prende in giro quelli dello Standard per come si sono lasciati sfilare lo scudetto da sotto al naso.

Esco dello stadio e punto dritto verso il settore ospite, ma la polizia vigila e non ci sarà niente di particolare da vedere o raccontare.

Decido così di finire la mia giornata nella famosa via Solvay, dove tanti tifosi si riversano. Tanti pullman che ritornano in tutte le città del paese, ma anche in Lussemburgo, per riportare a casa i tifosi dello Standard. Di fronte ai due locali dove si ritrovano i tifosi più caldi, c’è tensione e rabbia, tanto che un primo battibecco tra tifosi del Liegi degenera in uno scontro. Subito dopo, una voce lascia pensare che la “banda” avversaria stia per arrivare, così una cinquantina di persone si mettono subito in moto, ma non ci sarà niente tranne alcune pietre sulla polizia a cavallo, cacciata della via a colpi di sassi e bottiglie di birre.

È tempo per me di partire e lascio questo quartiere abbastanza brutto, che potrebbe tranquillamente essere in Inghilterra, visti i paesaggi e la mentalità dei tifosi belghi che, un’ora dopo la fine del campionato, affollano ancora i pub attorno allo stadio.

Sèbastien Louis.