Dopo due giorni trascorsi in Francia l’Italia non avrebbe potuto darmi un bentornato migliore. Una cascata di colori e profumi annuncia già dalla Costa Azzurra l’arrivo della primavera. Il mare è uno specchio blu e il cielo azzurro fa perfettamente da scudo a un caldo non più latente, che si manifesta con una certa insistenza poco dopo Ventimiglia. Lo scenario è adatto al mio fine settimana: la gara del Picco come antipasto e il derby di Genova come ricca cena. Il tutto intervallato da una notte di riposto nella città della Lanterna.

L’ultima volta che venni a La Spezia non vidi una gara qualunque. Si trattava del quarto di finale della Coppa Italia contro l’Alessandria. Un match che poteva consegnare nelle mani degli aquilotti un importante pezzo di storia ma che, contro ogni pronostico, sancì il passaggio alla semifinale dei grigi. È passato oltre un anno e nonostante diverse cose siano cambiate, i padroni di casa sono sempre alla ricerca di un posto per i playoff da cui inseguire un sogno chiamato Serie A, che da queste parti balena nella testa dei tifosi da tanti anni, non riuscendo mai a concretizzarsi nonostante i discreti campionati disputati dal ritorno in Serie B.

Il regionale che unisce Genova a La Spezia come sempre offre scenari paesaggisticamente sublimi. La Liguria è uno stretto lembo di terra che riunisce quasi tutte le peculiarità italiane: il mare, la montagna e le colline. Impossibile non rimanere affascinati guardando dal finestrino. Attraversando il cuore della città per raggiungere lo stadio mi imbatto in diversi tifosi spezzini che già brandiscono fieramente la propria sciarpa tra una birra e una focaccia. Lo Spezia continua ad essere una religione da queste parti e se si pensa al grande calo di spettatori che il nostro calcio ha subito negli ultimi anni, basta dare settimanalmente un’occhiata agli spalti del Picco per capirlo.

Ritirato senza problemi il mio accredito mi avvio verso la tribuna quando manca ancora un’oretta al fischio d’inizio. Gli spalti si vanno lentamente riempiendo mentre io cerco (invano) di trovare una posizione dalla quale scattare senza l’ingombro dei pali che sorreggono la tribuna centrale. Per carità, i pali nelle tribune (un po’ come quelli storici di Ferrara e Vicenza) sono un retaggio che richiamano a un calcio ormai scomparso e dimenticato da molti, ma in queste occasioni ne farei veramente a meno.

Quando le due squadre fanno il proprio ingresso sul terreno di gioco gli ultras dell’Avellino devono ancora gremire il settore ospiti. Come spesso capita nel nostro Belpaese, infatti, sono stati fermati all’ingresso della città e viaggiano a passo d’uomo verso lo stadio. Poco importa se tutti hanno regolare biglietto e si tratti – fondamentalmente – di circa duecento supporter da gestire con relativa facilità. Ormai il persistente status d’emergenza tutto avalla e tutto permette. È così per partite di hockey e d’Eccellenza, figuriamoci per quelle di Serie B (sic!).

Nel frattempo lo zoccolo duro della Ferrovia si è disposto al centro del settore cominciando ad incitare i bianconeri. Senza giri di parole dico sin da subito che la loro prestazione sarà certamente superiore a quella cui avevo assistito contro l’Alessandria (ma là credo che la tensione e i tanti occasionali giocarono un brutto scherzo ai ragazzi chiamati ad organizzare il tifo) anche se ancora lontana dalle potenzialità e dagli standard di una curva che fino a qualche anno fa costituiva una delle realtà più solide, in forma e compatte del Nord Italia. Ovvio che la repressione abbia mietuto vittime anche a queste latitudini, inoltre gestire un settore così grande senza poter contare sull’aiuto di tamburi e megafoni è davvero difficile. Resta comunque una performance costante, colorata dalla sciarpata nel finale oltre che dalle due belle esultanze per i gol che ribaltano il risultato regalando la vittoria agli aquilotti.

Il contingente ospite farà il proprio ingresso dopo qualche minuto, accompagnato dai soliti, numerosi, bandieroni. Non è un periodo facile per la Sud biancoverde: le diffide piovute sulla testa di alcuni esponenti di spicco dopo la gara con il Verona hanno inciso molto sull’ambiente. Anche a livello estetico il direttivo ha deciso di ritirare momentaneamente lo striscione “Avellino” rimpiazzandolo con la pezza Colpevoli di una passione. Ciononostante i 223 irpini giunti in Liguria (numero sicuramente inferiore alla classica “macchia verde” che generalmente segue il Lupo per lo Stivale) si sistemano dietro la porta, compattandosi come sempre e offrendo una prova canora di tutto rispetto. Tantissimi i battimani e i cori a rispondere, oltre alle bandiere tenute costantemente al cielo.

Tra le due fazioni non corre buon sangue; gli ultras liguri inizialmente stuzzicano i dirimpettai con alcuni cori contro Bologna per poi passare all’attacco “diretto”.

Come detto sono i padroni di casa a spuntarla grazie alla doppietta di Granoche. Le squadre ricevono gli applausi delle rispettive tifoserie dopo il triplice fischio, mentre per me non c’è molto tempo da perdere se voglio prendere il treno per Genova ed arrivare a Marassi in un orario decente.

Fa ancora caldo e il sole splende alto quando riesco a raggiungere la stazione. In fondo queste sono le partite adatte per giudicare e vedere all’opera le tifoserie. Classico scontro nord-sud, in una sfida non di cartello e con una buona cornice di pubblico, rappresentato da chi le proprie squadre ha deciso di non lasciarle mai da sole. Viaggiare per lo Stivale serve anche a capire questo. Malgrado tutti i peggioramenti e l’imborghesimento dei calciofili italiani sarebbe innegabile dire che esiste ancora qualcosa da raccontare negli stadi della Penisola.

Simone Meloni