L’articolo, pubblicato dal sito Orticalab, e passato sulla rassegna del nostro spazio web Mercoledì scorso, dal titolo, “Io, steward nella terra degli hooligans, vi racconto il virus italiano”, a me, francamente, ha lasciato più di qualche perplessità. Per carità, non è la prima volta che si sente parlare di fatti di ordinaria repressione negli stadi inglesi, che gli addetti ai lavori definiscono, fieramente, ordine. Già qualche numero fa della rivista, abbiamo visto come un gruppo di ragazzi appena adolescenti, in Scozia, sia stato allontanato dalla società, “colpevole” di far troppo rumore alle partite e danneggiare l’immagine del club. E si parlava di una squadra minore di una lega non professionistica.

Ma, l’articolo “Io steward” fa accapponare la pelle in maniera ulteriore. Personalmente, lo scenario del quale il nostro amico steward si vanta, mi ricorda molto lo sfondo sociale del fumetto (perché, prima di essere un film, era un fumetto) “V per vendetta”, scritto dai geniali Alan Moore e David Lloyd. Il racconto, che ho avuto la fortuna di leggere in lingua originale grazie al prestito di un amico, è scritto negli anni più bui del tatcherismo, e prospetta un’Inghilterra futura posta sotto una dittatura che non si limita a comandare, ma a controllare, anche per mezzo di telecamere piazzate ovunque, ogni aspetto della vita dei cittadini, plasmandolo in maniera da conformarli al proprio potere. Questo finché un uomo mascherato non risveglia le coscienze di una popolazione che, dietro la propria facciata di tranquillità, è fortemente repressa.

L’analogia con gli stadi inglesi di oggi, il cui modello viene lodato (e sbrodato) ovunque, è evidente. Ma analizziamo qualche chicca dell’intervista rilasciata dallo steward, che ritengo un bene evidenziare. Capitolo birre, che negli stadi tedeschi, austriaci e svizzeri vengono tranquillamente servite: “Quando capita che qualcuno riesce ad introdurre lattine di birra, viene immediatamente identificato. In quel caso dalla Control room si chiamano gli Steward del settore, se ne inviano almeno 4 dalla persona o dalle persone individuate. Si chiede con educazione di esibire il biglietto, con la stessa educazione si chiede di controllare lo zainetto. Trovate le birre incriminate, si sequestrano e si invita la persona ad uscire. Di solito non si degenera mai perché chi sbaglia sa a cosa va incontro”. Il sunto di questa brillante disamina è che chi introduce anche solo una birra sta compiendo un reato.

Capitolo Grande Fratello: “Negli stadi inglesi tutto viene registrato. Ci sono persone in una stanza che non devono far altro che monitorare tutto quello che le telecamere riprendono. Quando si nota qualcosa di strano, l’obiettivo zooma sulla persona sospetta. Dalla control room parte la chiamata al settore e si interviene. Chi sbaglia non ha scampo. La tecnologia ci aiuta tantissimo e soprattutto funziona alla perfezione.”. In pratica ogni gesto di qualunque spettatore viene registrato. Si va allo stadio già sapendo di non poter neanche inveire vivacemente contro l’arbitro o qualche giocatore. Ma a loro piace così.

Poi, oltre all’assuefazione dello steward, giustificata se non altro da una paga che non sarà come quelle italiane, arriva anche la visione allucinogena da parte dell’intervistato. Talmente strafatto dalle idee della cultura dominante del perbenismo inglese, alla domanda “Però converrai con me che vivere la partita in una curva italiana è molto più emozionante che farlo in Inghilterra…” lo steward risponde, con incredibile naturalezza: «Sfatiamo anche quest’altro mito. È chiaro che gli anni ’80 sono un triste ricordo. Ci si è adeguati e ci si diverte ugualmente. Le curve inglesi sono rumorose come quelle italiane. Tamburi e trombe hanno libero accesso anzi, alcune tifoserie hanno proprio la banda che suona ininterrottamente. Botta e risposta tra tifoserie avversarie sono all’ordine del giorno così come c’è libero accesso agli striscioni. C’è una concezione diversa, qui sono più piccoli ma si può dare libero sfogo alla fantasia. Se l’occhio elettronico ne becca uno che non va viene immediatamente sequestrato ma l’ironia non viene punita. Perché un tamburo non può essere introdotto allo stadio? Me lo sono sempre chiesto». Qui le cose sono due: o lo steward è in stato di catalessi dopo un trattamento rieducativo alla Arancia Meccanica, oppure il sottoscritto, dopo 20 anni che gira gli stadi, non ha capito un emerito tubo. Può passare che da qualche parte, in Inghilterra, entra qualche tamburo, ma qualcuno mi indica, gentilmente, una partita inglese dove suona la banda? E tutta questa ironia degli striscioni (che per loro uno di misura regolare non deve superare il metro) dove sta? Ammetto che qualche volta ho visto delle pezze con qualche frase di sfottò, fatto rarissimo, ma mi chiedo in quanto tempo siano intervenuti gli steward grazie all’intervento dell’occhio elettronico. Oppure vogliamo parlare dei play-off di League One dello scorso anno, dove ad un tifoso del Yeovil che voleva introdurre un piccolo bandierone con una semplice frase di incitamento per la squadra, è stato fatto un preventivo di migliaia di sterline per farglielo introdurre attorniato dagli steward (motivi di sicurezza)? Dov’è questa libertà? Di cosa stiamo parlando?

Poi lo steward parla di pay-tv, di famiglie allo stadio e via dicendo, scordandosi dei prezzi esorbitanti dei biglietti, degli impianti che al di sotto della Premier si stanno svuotando, e che pure nella massima serie i gruppi di amici sono costretti a dividersi un abbonamento andando allo stadio a turno, pur di risparmiare. Così come viene tralasciato che, almeno nella loro Premier League, il calcio è solo un business avviato, che di anima popolare non conserva più niente. L’unica consolazione è che il loro modello dorato si sta sgretolando fra le loro mani, con la nascita dei nuovi trust, delle associazioni per ripristinare i safe standings e iniziative comuni fra i tifosi, come quella contro il carobiglietti denominata “Twenty’s Plenty”. Chissà che ne pensa il nostro amico steward. Che conclude così, parlando dell’Italia: «La speranza è l’ultima a morire ma la vedo dura. Allo stato attuale l’Italia sta al 10% dell’opera. Il percorso è lungo e la strada imboccata non mi sembra sia quella giusta. Il modello inglese funziona ma da voi non lo stanno copiando bene. La mia è solo una testimonianza e spero sia servita a sviluppare un ragionamento. Io, poi, sono un soldato. Dovreste parlare con i generali. Chiudiamo questa chiacchierata con una speranza. La speranza che Coni, Figc, Questure, Prefetti si siedano attorno ad un tavolo e capiscano il modo migliore per far tornare le persone allo stadio. La colpa non è delle pay tv». Geniale.

Stefano Severi