Ascoli, stadio Cino e Lillo del Duca. Non mi soffermo sul fascino che questo impianto, come altri simbolo della Serie A degli anni ’80, esercita su di me solamente per non replicare il resoconto dello scorso anno quando per la prima volta vi misi piede in occasione della sfida contro il Perugia. Dico solo che vederlo da lontano mi concilia ancora con ciò che sto facendo. I chilometri da Roma e le ore sottratte agli affetti familiari sono giustificati davanti ad una delle mie personali cattedrali.

Il viaggio è ormai un qualcosa di collaudato. La Via Salaria, fatta eccezione per qualche tratto soggetto a lavori di allargamento, è tutto sommato un’arteria più che funzionale per raggiungere il capoluogo piceno. Qualche pioggia mi coglie nella curiosa e simpatica località di Favalanciata, ma il cielo si rasserena man mano che l’arrivo si fa più prossimo.

Evito l’uscita diretta per lo stadio pensando a possibili posti di blocco con conseguenti perdite di tempo che, essendo le 15, non posso assolutamente permettermi. Dal centro del resto il Del Duca è davvero a pochi passi ed una volta lasciata la macchina nei dintorni della stazione mi avvio a piedi. Con il passare dei metri si fanno sempre più fitte le sciarpette bianconere, al baretto prima del ponte che porta agli ingressi della Sud ci sono già decine di ragazzi della curva che con birre alla mano stanno facendo un tranquillo pre partita. Non mi resta che raggiungere il botteghino, fare la mia ordinata fila e ritirare l’accredito. Intoppi non ce ne sono.

Prima di entrare voglio concedermi qualche foto all’esterno, in particolar modo per quanto concerne la placca che indica la via intitolata al Presidentissimo Costantino Rozzi e la targa dedicata a Nazzareno Filippini.

Rispetto alla partita dello scorso anno in cui ospiti erano i tifosi perugini, il clima sembra molto più disteso e non ci sono neanche le alte cancellate gialle a delimitare la zona marchigiana da quella dove entreranno i supporters abruzzesi. Presa la pettorina posso scendere sul terreno di gioco. Le tribune si stanno riempiendo, in settimana l’Ascoli Calcio ha operato un’intensa pubblicità per invogliare i tifosi del Picchio a sottoscrivere l’abbonamento. In città è tornato l’entusiasmo dopo gli ultimi anni della gestione Benigni in cui la passione bianconera era stata letteralmente anestetizzata con campionati mediocri ed un atteggiamento menefreghista nei confronti della storia e della tradizione di questo club. La Curva Sud presenta già tutti gli striscioni, al centro quegli Ultras 1898 che da qualche tempo hanno ridato organizzazione e compattezza al tifo ascolano.

Quando mancano cinque minuti all’inizio dell’incontro vedo arrivare i pullman con a bordo i tifosi aquilani. La perquisizione all’entrata deve essere alquanto minuziosa, almeno a giudicare dalla lentezza con cui vengono fatti entrare. Ciò che mi piace è il fatto che nessuno salga le scalette finché tutti non hanno superato il tornello e lo sbarramento di poliziotti. Un segnale forte di unità, che resta il vero punto cardine della tifoseria rossoblu. Nel frattempo la partita ha inizio e nella curva di casa viene acceso qualche fumogeno con il sottofondo del tifo coordinato dal lanciacori e ritmato dal tamburo. Devo dire che a cantare, e questo per l’intera durata del match, sarà quasi sempre la maggior parte del settore, una rarità in tempi come questi dove si vede sempre più un nucleo ultras cantare ed il resto della curva seguirlo in base all’andamento della partita.

Gli aquilani fanno il loro ingresso raggruppandosi nella parte alta del settore dietro le proprie pezze. In totale penso si possano quantificare attorno alle trecento unità, di cui duecenti a tifare ed i restanti sparsi nel settore come semplici spettatori. Sicuramente l’aspetto numerico li penalizza un po’, soprattutto considerati i pochi chilometri che dividono le due città, ma laddove non arriva la quantità arriva la qualità, e questo aspetto per me è diventato quasi un’ossessione, a tal punto che spero sempre di non trovare esodi di tifoserie in trasferta. Gli ultras rossoblu sono una certezza sotto questo punti di vista, si muovono in cento e cantano in cento, si muovono in duecento e cantano in duecento. Come tipico del loro repertorio si esibiscono nella sciarpata iniziale che si trasforma poi nel coro “Stanno arrivando i rossoblu”.

In campo i marchigiani partono subito bene. Forti della vittoria ottenuta sul campo della Pistoiese alla prima giornata, i bianconeri sfruttano l’entusiasmo e l’ottimo telaio costruito dalla società, tessendo un’interessante trama di gioco che si tramuta quasi subito nel vantaggio firmato dal bomber Perez. Una rete che fa esplodere di gioia lo stadio, con l’esultanza della Sud fotografata in una bella cascata umana.

La conformazione del Del Duca, con un’ampia pista d’atletica attorno al campo, mi permette di girare in lungo e in largo, immortalando senza sosta le due curve. La rete ha chiaramente infuocato il pubblico di casa, ciò si traduce in bei battimani e potenti cori a rispondere che coinvolgono l’intero stadio.

Si va negli spogliatoi con il parziale favorevole al Picchio mentre il sole splende ed irradia un caldo più consono al mese di luglio che agli inizi di settembre. La cornice che peraltro stringe l’impianto ascolano è foriera di fresco con montagne e alberi verdi che, ignari della partitella che si sta consumando sotto di essi, fluttuano libere sotto le folate del Maestrale.

La seconda frazione di gioco ricomincia, con le due squadre che sgambettano bellamente in mezzo al terreno di gioco. Anche le curve ritornano ai propri avamposti ricompattandosi e preparando le corde vocali per gli ultimi 45′. Il risultato sarà ancora più che sufficiente. Un livello ottimo mantenuto dalle due fazioni che macinano tifo con magistrale continuità, la conferma che questa è certamente, causa tessera, una delle migliori sfide del girone. Seconda sicuramente ad Ancona-Ascoli che si giocherà in dicembre e che dovrebbe (di questi tempi è meglio usare il condizionale anche con una tifoseria in possesso di tessera) vedere la presenza di ambo le tifoserie. L’unico appunto che mi sento di fare a bianconeri e rossoblu è la solita nota stonata che mi ritrovo a constatre al termine di diversi match: l’eccessiva omologazione dei cori. Ormai si viaggia soprattutto sui canti ripresi dall’Argentina, sul tormentone “Che fatica che ti chiedo” e su qualche evergreen che fortunatamente resiste insossidabile. La trovo una pecca perché tradizionalmente siamo il paese della fantasia e dell’inventiva, caratteristiche che una volta erano ancor più amplificate all’interno del movimento ultras.

La squadra di casa continua a giocare d’attacco riuscendo a trovare il punto del 2-0 ancora con il biondo Perez. Chi si aspetta un L’Aquila a questo punto arrendevole ed ormai piegato alla sconfitta si sbaglia di grosso, gli abruzzesi infatti si rimboccano le maniche seguendo l’esempio dei propri tifosi, che forse perdono qualche unità mischiatasi con loro e distaccatasi a risultato compromesso, ma alza ancor più i decibel per la spinta finale. Ed in parte funziona, perché gli ospiti riescono a trovare la rete che riapre il match.

Gli ultimi minuti sono a dir poco al cardiopalma per l’Ascoli, ma il fortino difensivo tiene ed al triplice fiscio il Del Duca può lasciarsi andare nell’urlo di gioia. Due vittorie nelle prime due giornate e tanti buoni propositi per il resto del torneo. I bianconeri si portano giustamente sotto il settore festeggiando con la propria curva che nel frattempo li invoca con entusiasmo. Fanno altrettano gli aquilani con gli ultras che, a dieci minuti dal termine, continuano ancora a cantare e saltellare.

Me ne vado così con questo scenario positivo, lasciando lo stadio in mezzo ad una sorta di sagra dove bimbi e padri ingurgitano fieramente birra e salsicce. Non so se invidiarli, io ho davanti un paio d’ore e mezza di viaggio. Li affronto con il buio che cala lentamente sui fianchi dell’Appennino e la temperatura che scende bruscamente. La poesia del paesaggio che accompagna il viaggiatore incosciente e perennemente illuso. Questo è quanto.

Simone Meloni.