Quando verso la fine d’agosto del 1992 Francesco De Gregori pubblicava il concept-album “Canzoni d’amore”, chi scrive non aveva ancora completato il primo giro di questo Monopoli chiamato vita. Mentre un piccolo ragazzino di appena sei anni, poteva alleviare le pene di un’infanzia contraddistinta dagli sguardi verso un cielo portatore di morte, sognando un futuro migliore per la sua neonata Bosnia. Sul fronte Roma, la formazione del neo-tecnico Boskov – che nel corso dell’estate aveva sostituito Carlos Bianchi – aveva iniziato la stagione imponendosi per 4-1 sul Taranto in Coppa Italia, grazie alle reti degli esordienti Mihajlovic e Benedetti e alle realizzazioni di capitan Giannini e Carnevale. Cornice dell’evento uno Stadio Olimpico non gremito in ogni ordine di posto, come spesso accade alle porte dell’autunno, capace però di sostenere incessantemente l’undici giallorosso trainato dalla forza dirompente della sua curva.

Viaggi e miraggi – terza traccia dell’album del noto cantautore romano – Edin Dzeko e la Curva Sud: i protagonisti di questa storia iniziata una mattina come tante al seguito della propria squadra e culminata in una casa che, un tempo, aveva un odore inebriante come quello del ragù che brontola in pentola e accogliente come un pranzo domenicale.
Da Sampdoria-Roma alla sfida di ieri sera tra gli uomini di mister Spalletti e la Fiorentina.

“Dietro a un miraggio c’è sempre un miraggio da considerare,
come del resto alla fine di un viaggio
c’è sempre un viaggio da ricominciare”

Il binario 12 della stazione Termini si apriva ai miei occhi colpito dai primi raggi del sole, mentre una masnada di bucanieri metropolitani si addentrava nelle carrozze del Freccia Bianca squarciando il silenzio dell’alba con qualche timido coro.
Era iniziato così il viaggio per Genova, circondato da amici, facce note e perfetti sconosciuti che si saranno certamente domandati cosa avessero fatto di male per finire in mezzo ai temibili tifosi di calcio. Spoiler doveroso: benché li descrivano ancor oggi come “mostri a tre teste”, nessun vagone riporterà danni né tantomeno lamentele da parte degli altri viaggiatori.
Ricordo ben poco delle quattro ore abbondanti di percorso, se non un’occhiata oltre il vetro in un timido momento di risveglio, per accorgermi di esser appena passato per Massa Carrara. Intorno alle 11:30 passavo la fermata Genova Brignole saltandola a piè pari, onde evitare di finire sotto i riflettori dei tanti agenti disposti sui binari, impegnati nel controllo e nel successivo smistamento dei sostenitori giallorossi sui bus diretti in zona Marassi.
Sceso a Piazza Principe in compagnia di un amico, venivo accolto da un altro compagno di viaggio, componendo così un terzetto sospettoso di romani in giro per la città ligure. Dopo l’immancabile e doverosa sosta nell’antico e bucolico borgo marinaro di Boccadasse, tra una vista mozzafiato e una deliziosa focaccia, ci dirigevamo così in solitaria verso il settore ospiti, passando direttamente sotto la Gradinata che ospita il cuore pulsante del tifo blucerchiato.
Tutto intorno a noi profumava di Sampdoria, loro sapevano di noi e noi di loro: nessuno però disse nulla all’altro e viceversa.

Marassi regala ancora delle briciole di calcio fatto di buon senso e rispetto delle persone, tra controlli blandi e per nulla invasivi e un afflusso regolare e piuttosto rapido. Posizionato il nostro vessillo sotto i raggi di un sole dai colori estivi, prendevano il via le danze e le due battaglie sportive: blucerchiati e giallorossi sul terreno di gioco (gli ultimi in un discutibile arancione fluo), Gradinate e settori ospiti sugli spalti. Alla vivace tenzone sportiva si accompagnava così quella fatta di cori di incitamento e sfottò tra le tifoserie, novanta e più minuti di buon tifo, ma non eccelso.

“Perciò partiamo, partiamo che il tempo è tutto da bere,
e non guardiamo in faccia a nessuno e nessuno ci guarderà.
Beviamo tutto, sentiamo il gusto del fondo del bicchiere
e partiamo, partiamo, non vedi che siamo partiti già?”

E difatti, con le tasche vuote dopo l’amaro 3-2 per i padroni di casa, capaci di ribaltare sia l’iniziale vantaggio di Bruno Peres, sia il momentaneo 2-1 di Dzeko, mi ritrovavo sul treno di ritorno con lo sguardo cupo per la sconfitta e gli occhi stanchi di chi bramava da quasi due giorni il comodo letto di casa per recuperare le forze. E dopo domenica venne così il lunedì e dietro a gennaio si poteva intravedere ormai febbraio; e una notizia imprevista capace di riempire l’aere cittadino nella lunga attesa della prossima sfida, quella in programma martedì 7 allo Stadio Olimpico tra Roma e Fiorentina.
Il primo giorno del mese breve portò con sé la richiesta del Ministro dello Sport Luca Lotti – unitamente a quello dell’Interno Marco Minniti – di rimuovere le barriere divisorie che da oltre un anno e mezzo hanno lacerato gli storici settori popolari del tifo capitolino. La speranza di poter rivedere le curve gremite di tifosi accesi da una passione, aveva così contraddistinto la settimana, rinvigorita dall’annuncio di un incontro in Viminale, in programma il martedì successivo tra le Istituzioni e i due club della Capitale.

“Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente,
ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria”

Ieri mattina, nonostante la sfida contro la Fiorentina in programma qualche ora dopo, per le vie di Roma si parlava soltanto di questo incontro. C’erano scettici e ottimisti, pessimisti cronici ed eterni sognatori ad occhi aperti, e poi chi con raziocinio aspettava il verdetto che capire la portata di questo ponentino che avrebbe dovuto rinfrescare un’aria ormai torrida.
“Via le barriere, ma in tempi ragionevoli”, questo il responso dal Viminale, con il Ministro dell’Interno che aveva così comunicato all’ex Prefetto e attuale Capo della Polizia Franco Gabrielli di rimuovere “in tempi ragionevoli” i tanto discussi muri in plexiglass.
Colui che ne aveva deciso la creazione era stato così nominato per levarle definitivamente; agli occhi di chi scrive una decisione di buon senso, contornata dal classico modus operandi della politica incapace di tornare sui propri passi con un mea culpa pubblico e a capo chino, desiderosa di ripulirsi la coscienza puntando sull’incredibile capacità umana di dimenticare.
Le toglieranno? Sì. Quando? Molti dicono verso marzo – nonostante allora siano sorte in poche ore.
Cambierà qualcosa? Forse sì, sicuramente; ma anche se è gratuito sognare, è altrettanto doveroso rapportarsi ad una realtà confermata anche nella serata di ieri: a qualcuno gli eccessi del tifo – anche i più innocui e spontanei – proprio non vanno giù.
Sì perché Roma-Fiorentina oltre a confermare la bontà della brigata Spalletti, forte di un gagliardo 4-0 e tornata così ad essere la prima delle inseguitrici della capolista Juventus, ci ha regalato un ennesimo capitolo di questo strampalato racconto legato allo Stadio Olimpico. Maliziosamente mi verrebbe da pensare ad una forma di risposta piccata alle volontà dei due ministri, spero di sbagliarmi. Resta però il fatto appurato delle decine di sciarpe sequestrate nella serata di ieri ai tifosi giallorossi colpevoli di essersi presentati alle pendici dell’Obelisco armati di stoffe su cui erano ricamate frasi violente come “Lazio merda” – non me ne vogliano i lettori biancocelesti – e “chi ve se ‘ncula”.

“E andiamo a Genova coi suoi svincoli musicali,
o a Firenze coi suoi turisti internazionali,
oppure a Roma che sembra una cagna in mezzo ai maiali”

Genova, Firenze e Roma: le tre protagoniste di questa storia iniziata in un pomeriggio domenicale fatto di tifo passionale e e culminata in una fresca serata romana dinanzi ad una Curva Sud di fotocamere e flash, tifosi stranieri in gita turistica, ma anche di persone che smaniano nel poter tornare a vedere quello spettacolo che ha fatto innamorare generazioni intere.
Tra queste quella dello steward che ieri, nonostante il doveroso gioco di ruoli, ha esultato alla rete del vantaggio come avrei fatto io se solo non avessi il timore di incappare in una multa salata. Per fortuna non mi è mai passata per il cervello l’idea di filmare il tutto – conoscendo i pericoli di questi aggeggi che ci riempiono le tasche e la testa – se no anche lui, come il famoso “pizzardone” del Derby scorso, avrebbe passato i guai.
Perché l’eccesso, anche il più innocente, allo Stadio Olimpico è ancora un nemico da eliminare.

Gianvittorio De Gennaro.