Scelgo col cuore molte volte, e questo non è necessariamente un difetto. Mi permette di vedere tifoserie che altrimenti non vedrei mai e di superare pregiudizi come quello mio, ormai atavico, per la pallacanestro e i suoi ultras. Torno all’Adriatic Arena  di Pesaro dopo lungo tempo, simpaticamente costretto da un caro amico di Pistoia che colgo l’occasione di andare a salutare anche perché mi è molto più semplice farlo nelle vicine Marche che non in Toscana.

Assolti gli obblighi “affettivi” guadagno comodamente la mia postazione in tribuna stampa e non ho in realtà nemmeno il tempo di sistemarmi che vengo colto dal panico: nella curva di casa infatti, con qualche minuto di anticipo sulla palla a due, viene aperta una coreografia composta da un bandierone centrale raffigurante Corto Maltese, noto personaggio del fumetto italiano nato dalla matita di Hugo Pratt, contornato da cartoncini bianchi e rossi. Con la forza della disperazione riesco a tirar fuori la macchinetta, soprattutto a trovare la memoria in un angolo sperduto della mia borsa, infilarla correttamente nel suo vano e immortalare il tutto per tempo. Un’impresa non da poco, anche per il fatto che il gradito colpo di colore viene rimosso ancora più velocemente di come era apparso, per dare il “la” a una piccola “coriandolata”. L’impatto scenico viene così ridotto davvero al minimo, se si considera poi che nemmeno i cartoncini erano stati distribuiti in maniera così fitta e ordinata. Peccato.

Il settore dei locali si presenta abbastanza pieno, per quanto nettamente frazionato fra la parte centrale dedita al tifo e il pubblico più disinteressato ai lati che fa loro un po’ il vuoto attorno. Sulla platea inoltre si raduna un gruppo di tifosi che non parteciperà al tifo, ma che inequivocabilmente mostra attitudini e stile da ultras. Il gruppo che invece si raduna a centro curva a tifare, ha conformazione molto più varia, raccoglie tanti giovanissimi e anche gente non propriamente ultras che però offrirà un ottimo supporto vocale. A rappresentarli un unico striscione, “Solo per la maglia”, molto probabilmente determinato dai tanti anni di mediocrità e ultime posizioni di classifica in cui la “Vuelle” è irrimediabilmente e regolarmente impantanata.

Contestualizzando (senza fare stupidi e improponibili raffronti col calcio, come sono abituato a fare ogni volta che guardo tifoserie di basket) il loro tifo non sarà nemmeno poi così malvagio o quantomeno si rivela molto migliore di come lo ricordassi o di quanto “temessi”. Continuando i parallelismi per quel che riguarda l’aspetto tecnico-atletico, con una compagine che dal 2012 finisce sistematicamente al 15° posto è difficile trovare stimoli o aggregare gente, eppure la riuscita finale del loro tifo – come detto – non sarà affatto male. Molto bene la prima parte di gara quando, oltre alla già citata coreografia, sull’abbrivio dell’entusiasmo iniziale saranno autori di un buon tifo, con una serie di bei cori secchi e di manate degnamente supportate dal ritmo del tamburo. Calo fisiologico sulla distanza e tifo vocale molto più sfilacciato nel proseguo del match, in cui nemmeno i loro appelli a “Tutto il Palazzo” sortiscono troppi benefici.

Va fatta un’altra importante contestualizzazione per la loro prestazione: per quanto abbastanza pieno, l’impianto pesarese è davvero deleterio per il tifo, questo tanto per la sua dispersività, in quanto sovradimensionato rispetto ai loro bisogni, e non di meno per la pessima acustica interna. Per non bestemmiare, non parliamo nemmeno dell’americanizzazione sciatta di questo sport che impone speaker invadenti che devono sottolineare con urla isteriche o musiche di dubbio gusto ogni minima inezia che avviene sul parquet. Spingere sulla spettacolarizzazione mortifica l’agonismo e lo sport in genere, ponendoli inevitabilmente in un piano inferiore a quanto la loro bellezza meriterebbe.

Venendo agli ospiti, posso dire di essere rimasto ugualmente se non maggiormente soddisfatto da loro. Sul numero innanzitutto, perché così a memoria – per quanto non sia propriamente un habitué dell’Adriatic Arena – non ricordo tante altre realtà sopraggiunte a Pesaro con tali numeri, oltre alle classiche tifoserie meridionali con il proprio bagaglio di emigranti da cui attingere o a chi si giocasse qualcosa di particolare in termini di classifica. Dietro le insegne della “Baraonda Biancorossa”, anche loro coordinati dal ritmo di un tamburo, saranno autori di un tifo molto meritevole e continuo. Il classico calo fisiologico dovuto all’incedere della gara, verrà riscattato da nuova linfa tratta dall’intervallo lungo fra secondo e terzo quarto. In questa seconda parte però, hanno il demerito di non riuscire a compattare degnamente i ranghi e far quadrato come all’inizio, risultando meno potenti e più discontinui. Niente di particolare in termini di colore, anche se presentandosi tutti con maglie rosse e sventolando con continuità le loro due bandiere, non saranno altresì disprezzabili all’occhio.

Sul parquet sembra una di quelle classiche partite di fine stagione in cui una squadra già virtualmente salva, Pistoia in questo caso, lascia l’iniziativa alla dirimpettaia alla disperata ricerca di punti. Ma Pesaro quest’oggi sembra voler fare di tutto per buttare alle ortiche l’occasione di capitalizzare: dopo un avvio in cui prende facilmente il largo sugli ospiti, quasi annichilendoli, nel terzo quarto non riescono a rispondere ai toscani che segnano un devastante parziale di 11-0 con il quale rimettono in sesto la gara. Pur trotterellando, Pistoia si mantiene costantemente 4-5 punti avanti e per il demerito di non averla saputa chiudere, subisce poi il ritorno caparbio di Pesaro che impatta nuovamente e posticipa all’overtime il verdetto finale di questa partita. Al supplementare Pistoia totalmente non pervenuta e Pesaro che porta a casa punti vitali come ossigeno, pur con qualche difficoltà in più rispetto a quel che si poteva credere inizialmente.

Matteo Falcone